Da parte del giornale dell'Unione "la Repubblica" Un ignobile attacco a Mao e alla Rivoluzione culturale Ormai è chiaro che gli attacchi denigratori e infamanti dell'organo ufficioso dell'Unione, "la Repubblica", a Mao e alla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria non sono sporadici e improvvisati, ma fanno parte di una campagna accuratamente e malignamente pianificata dal quotidiano di De Benedetti e Scalfari diretto da Ezio Mauro. E Federico Rampini, il suo inviato in Cina, un rinnegato, già iscritto alla Fgci ai tempi di D'Alema, dopo aver vissuto molti anni negli Usa dove si è costruito una falsa immagine di giornalista "indipendente" e perfino di "sinistra" per aver criticato la politica di Bush, è colui che svolge solertemente il compito di alimentare questa ignobile campagna diffamatoria anticomunista con i suoi servizi dal paese asiatico. L'ultimo dei quali, uno dei più velenosi e falsi da lui costruiti, è comparso sull'edizione del 20 marzo scorso e prende a pretesto un cosiddetto "Museo della memoria negata", costruito da un oscuro ex sindaco di una cittadina del Guangdong, definito dal giornalista il "museo degli orrori di Mao e della Rivoluzione culturale". Un servizio a cui è stata dedicata un'intera pagina, con foto di repertorio dell'epoca della Rivoluzione culturale mostranti perlopiù dirigenti revisionisti messi alla berlina dalle masse, con a fronte, non certo a caso, una pagina dedicata ai neonazisti in Germania, come a suggerire un parallelo tra comunismo e nazismo. Sarebbe inutile entrare in merito a tutte le singole falsità e tesi gratuite di cui è infarcito l'articolo di Rampini, tanto è intriso di viscerale odio anticomunista e di totale mancanza di scrupoli nel solo ed evidente intento di screditare e distruggere la figura di Mao e la sua opera immortale. Basti dire che partendo dalla visita a questo cosiddetto "museo", di cui fra l'altro Rampini ammette la "scarsità di visitatori", e che conterrebbe a suo stesso dire solo alcune foto "tratte dai giornali dell'epoca", nonché "vecchie spille di Mao, francobolli commemorativi, le prime edizioni del Libretto Rosso, i bracciali delle Guardie Rosse" e così via, cioè nulla di nuovo né degno di nota dal punto di vista della documentazione storica, l'inviato de "la Repubblica" riesce tuttavia a costruire un servizio di un'intera pagina interamente dedicato alla demolizione e demonizzazione di Mao e della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria. E però con una disonestà e una truculenza di argomenti e di toni da far invidia al neoduce Berlusconi e alle sue deliranti accuse sui "bambini bolliti" dai comunisti cinesi per farne concime. Non altrimenti, infatti, si possono giudicare certe sue affermazioni, buttate lì come se fossero di un'evidenza storica adamantina, tipo quella che la Rivoluzione culturale fu un movimento "che all'inizio appare spontaneo e liberatorio, in realtà è manipolato dal presidente per riprendersi un potere che gli stava sfuggendo". O come quella che "poi Mao ha paura che gli sfugga di mano la spontaneità del movimento delle giovani Guardie Rosse", e perciò "con un voltafaccia il Grande Timoniere scatena le forze dell'esercito regolare in una repressione feroce dei suoi stessi sostenitori". Per non parlare, naturalmente, della solita solfa dei "milioni di morti" che sarebbero stati causati dalla Rivoluzione culturale, delle "orrende torture, cadaveri mutilati e sventrati e poi appesi agli alberi per educare le masse, i morti che galleggiano nel Delta delle Perle" e via di questo passo, in un crescendo apocalittico del tutto degno del "libro nero del comunismo" tanto caro alla destra neofascista, a cui Rampini si lascia andare senza pudore e senza provare il minimo imbarazzo, come fosse l'ultimo dei pennivendoli al servizio del neoduce Berlusconi, o l'ultimo dei neocon alla corte dell'Hitler della Casa bianca. E c'è pure, a conclusione di tale vergognosa prestazione, il classico "lieto fine" (così lo chiama testualmente): e cioè - dice - "la vittoria di Deng Xiaoping, il moderato che inaugura l'apertura della Cina al mondo e le riforme di mercato". Dal che si capisce che il lavoro sporco dell'inviato Rampini consiste nel seguire passo passo e accreditare presso i lettori de "la Repubblica" la conversione "democratica" (leggi borghese, capitalista e imperialista) della Cina, esaltando tutto ciò che va in questa direzione e falsificando e infangando di conseguenza il suo glorioso passato socialista e il suo indimenticabile artefice, Mao. 29 marzo 2006 |