Affari sporchi, tangenti, bilanci truccati e soldi all'estero nell'inchiesta sull'ospedale privato fondato da don Verzè Bancarotta da 1,5 miliardi al San Raffaele Perquisiti anche gli uffici regionali che erogano i fondi pubblici al San Raffaele Quattro mesi dopo l'inquietante suicidio di Mario Cal (il vicepresidente dell'ospedale S. Raffaele di Milano che il 20 luglio scorso si è sparato alla testa nel suo studio poche ore dopo essere stato ascoltato alla procura di Milano come testimone dal Pubblico ministero (Pm) Luigi Orsi) la procura di Milano si è finalmente decisa ad alzare il coperchio sul verminaio di tangenti, truffe ai danni del Sistema sanitario nazionale (Ssn), contabilità parallela per gonfiare le fatture dei fornitori e bilanci truccati per alimentare i conti esteri, e tutti gli altri mercimoni che sono alla base della scandalosa inchiesta sul crac del San Raffaele: l'ospedale fondato dal prete manager, grande amico e adulatore di Berlusconi, don Luigi Verzè (deceduto il 31 dicembre scorso) che in pochi anni ha accumulato un buco da oltre 1,5 miliardi di euro attraverso operazioni finanziarie a dir poco sospette su diversi conti sia in Italia che all'estero. Il 16 novembre è finito in carcere il faccendiere Pierangelo Daccò: il fedele "consulente finanziario" di don Verzè che fa la spola tra Londra e Milano e che da tempo gravita intorno al movimento clerico-confindustriale-fascista di Comunione e Liberazione che in Lombardia catalizza una quantità incredibile di voti e posti di potere grazie soprattutto all'appoggio elettorale che da sempre fornisce al presidente della Regione, Roberto Formigoni, i cui uffici sono stati infatti perquisiti dai finanzieri che hanno eseguito il fermo e la notifica degli avvisi di garanzia agli altri sei indagati. Il 13 dicembre invece è toccato al direttore amministrativo Mario Valsecchi (già indagato per concorso in bancarotta, distrazione e dissipazione) finire in manette con l'accusa di associazione a delinquere per le fatture gonfiate e i fondi neri. In galera anche due imprenditori di Vicenza, tra cui Fernando Lora, coinvolti nello scandalo per fatturazioni false a carico dell'ospedale buste di contanti e bonifici per circa quattro milioni di euro. Evidentemente i Pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, non credono alle dichiarazioni di Don Verzè che, agli inizi di dicembre, ha scritto ai magistrati assumendosi tutte le responsabilità del dissesto. Non a caso il numero degli arresti e degli indagati continua a gonfiarsi di pari passo con il buco dei fondi distratti. Della banda di malfattori fanno parte, secondo gli inquirenti, anche il presidente Don Luigi Verzè e l'ex vicepresidente suicida Cal. Il nome di Daccò è stato citato negli interrogatori dei collaboratori di Don Verzé, come il "collettore" del fiume di denaro sottratto alle casse del gruppo ospedaliero con la piena collaborazione del defunto Cal e depositato su diversi conti esteri e personali riconducibili agli indagati. In particolare gli inquirenti puntano la loro attenzione su tre episodi che hanno contribuito più degli altri ad aggravare lo stato di dissesto dell'ospedale. Il primo si riferisce all'aereo di Don Verzè. Daccò avrebbe preso "due milioni di euro - si legge nel decreto - per una consulenza (la ricerca sul mercato di un velivolo di marca Bombardier) senza alcun interesse per la Fondazione che ne aveva già acquistato un altro, un modello Challenger 604". Una somma, secondo i Pm, "sproporzionata" ed erogata senza che "sia mai stata effettuata alcuna prestazione". Altri 510mila euro sarebbero arrivati quale beneficiario della Harmann Holding per consulenze legali mai eseguite e un altro milione di euro, attraverso la Mtb "con la fittizia e apparente causale di anticipo sull'acquisto di un immobile in Cile". Ma lo scenario più oscuro di tutto il malaffare del San Raffaele potrebbe celarsi tra i piani alti del Pirellone dove il Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano ha perquisito alcuni uffici da cui ogni anno vengono erogati oltre 400 milioni di euro pubblici al San Raffaele. I finanzieri hanno passato al setaccio in particolare l'ufficio di Alessandra Massei, dirigente che si occupa dell'attuazione del piano socio sanitario regionale, della programmazione dell'Edilizia sanitaria e dei rapporti con le Università, e quello di Maria Erika Daccò, figlia di Daccò e sposata con l'assessore regionale alla Cultura Massimo Buscemi anche lui in quota CL. L'operazione della Fiamme gialle ha coinvolto anche la sorella, Monica Daccò, che lavora nel campo della pubblicità con la società Poliedrika. Perquisiti, anche se con grave e colpevole ritardo, anche l'ufficio e la "Cascina" di don Verzè nonché la casa e l'ufficio della sua segretaria. I finanzieri hanno passato al setaccio anche cinque società (la Limes, la Iuvans, la Vadic, la Argos e la Sirefid) e due imbarcazioni di Daccò: la "Amerika - London" e la "Ad maiora", ormeggiate al porto di Ancona e di Lavagna. Insomma, per i Pm sussistono tutti gli elementi per affermare che anche don Verzè era a conoscenza delle meccanismo legato alle sovraffatturazioni. Mentre la Procura parla di "gravi indizi" di colpevolezza che, nel caso di Daccò, uniti ai tre episodi descritti nel dettaglio nel provvedimento di fermo, assieme al pericolo di fuga in quanto (la sua famiglia vive nel lodigiano, lui risiede a Londra e lavora in Svizzera), hanno contribuito a spalancargli le porte del carcere di Opera. In ogni caso risulta evidente che il controllo della sanità lombarda, sia quella pubblica che quella privata, resta una priorità, sia economica sia ideologica, di quella "Confindustria bianca vaticana" che è Comunione e liberazione (insieme ovviamente alla scuola e all'università, alla formazione professionale, al terzo settore, all'ente Fiera, ecc.) ma anche per altre, altrettanto agguerrite, e ancora più compartimentate, lobby clerico-confindustrial-fasciste, come l'Opus Dei. Mentre sullo sfondo si fa sempre più palese uno scontro furibondo tra le fazioni delle alte gerarchie ecclesiastiche e della massoneria piduista per ottenere il monopolio sulla intera sanità lombarda, uno scontro che coinvolge CL e l'Opus, Tettamanzi, Scola e Bertone e quindi trasversalmente i vertici del PDL, della Lega, dell'UDC e del PD nonché per il tramite delle cosche di riferimento i vari Formigoni, Tremonti, Letta, Berlusconi, Bersani e D'Alema. 15 febbraio 2012 |