Alla Conferenza di Parigi Banchetto imperialista per la spartizione del petrolio libico Francia e Gran Bretagna capeggiano la rapina Un rappresentante del Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) annunciava il 6 settembre di aver raggiunto un accordo con le autorità locali per l'ingresso senza combattere delle forze degli insorti nella città di Bani Walid, nel sud del paese. Con la resa della città resterebbe nelle mani dell'esercito oramai in rotta del dittatore Gheddafi la sola città di Sirte. Il "processo di transizione è partito", aveva annunciato pochi giorni prima il rappresentante in Gran Bretagna del Cnt, il futuro prossimo della Libia sarà definito dall'elezione di un'assemblea costituente entro otto mesi e le elezioni presidenziali entro 20 mesi. Sul futuro prossimo e non solo del paese continuerà a vigilare la Nato e conteranno non poco soprattutto gli appetiti imperialisti delle potenze che sono intervenute nell'aggressione al paese e nella caccia a Gheddafi, dalla Francia e Gran Bretagna all'Italia, e quelle rimaste in seconda fila, dalla Germania alla Russia, con la Cina che rischia di restare tagliata fuori. Sua era la rappresentanza di minor rango nel vertice di Parigi dell'1 settembre che ha dato una rappresentazione dell'avviato banchetto imperialista per la spartizione del petrolio libico. Defilata, al momento anche la posizione degli Usa che erano comunque presenti a Parigi col segretario di Stato Hillary Clinton. Il presidente francese Nicolas Sarkozy, in tandem col premier inglese David Cameron, ha diretto i lavori che sono iniziati con una riunione ristretta tra i paesi in prima linea nell'intervento iniziato nel marzo scorso, e sono proseguiti in riunione plenaria con capi di Stato, premier e ministri di una cinquantina di paesi. Il tema principale della riunione ristretta è stato quello economico a fronte delle richieste del Cnt libico per uno sblocco rapido dei circa cinquanta miliardi di dollari congelati in vari paesi dalle sanzioni della risoluzione dell'Onu numero 1970. Nel comunicato congiunto illustrato da Sarkozy e Cameron alla fine dei lavori, la conferenza chiede al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di approvare una risoluzione che sblocchi i soldi libici. Ma già i principali "amici" della nuova Libia hanno anticipato la decisione Onu, dalla Francia, Gran Bretagna e Usa, che hanno sbloccato ciascuna 1,5 miliardi di dollari libici depositati nelle loro banche, all'Italia che in due rate ne ha sbloccati 3 miliardi. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini affermava che "non c'è una corsa per sapere chi arriva primo in Libia" ma tutto lascia intravedere che è proprio l'opposto. La compagnia petrolifera statale libica ha appena riaperto i battenti a Tripoli sotto il controllo del Cnt e ha annunciato che entro 15 mesi tornerà alla produzione standard di 1,6 milioni di barili al giorno. E quasi in contemporanea alcuni quotidiano francesi hanno rivelato un accordo segreto stipulato nell'aprile scorso tra il Cnt e il governo di Parigi che garantirebbe alla Francia lo sfruttamento del 35% del petrolio libico, un balzo rispetto al 3,5% finora. Un accordo non confermato dalle due parti ma ritenuto dal ministro dell'Industria francese Eric Besson una giusta "ricompensa" al suo paese per aver guidato l'intervento militare. Il 2 settembre Frattini ribadiva che sulle forniture di petrolio libico "l'Italia manterrà il suo primo posto, ce l'avevamo e ce l'avremo. L'Italia deve rimanere, come è sempre stata, primo partner della Libia. Abbiamo confermato gli impegni e per ottobre saremo in grado di far ripartire la produzione di quello che era sotto il controllo dell'Eni". Come definito dal capo dell'Eni Scaroni nella sua missione a Bengasi a metà agosto. Il Cnt ha confermato la collaborazione con l'Eni e ha persino risottoscritto con l'Italia lo stesso Trattato antimmigrazione siglato da Berlusconi e Gheddafi. Sarà duro per l'ambizioso ma sempre più in difficoltà per la crisi economica imperialismo italiano, tenere testa alle iniziative del concorrente francese e del suo partner inglese che capeggiano la rapina delle ricchezze libiche a partire dal petrolio. Per non parlare delle voci che già girano su possibili accordi per la fornitura di consiglieri, basi e commesse militari, del controllo e sfruttamento da parte delle multinazionali anglofrancesi delle altre ricchezze del sottosuolo libico, acqua compresa. Parigi sta già organizzando un viaggio di Sarkozy a Tripoli, Bengasi e Misurata, una missione politica cui dovrebbe partecipare anche il premier britannico Cameron, il co-presidente della Conferenza degli "Amici della Libia". Che sarà seguita da un'altra dedicata agli affari con i responsabili delle grandi aziende francesi, dal gigante petrolifero Total, ai colossi della difesa Eads e Thales, alle multinazionali dei trasporti e delle telecomunicazioni Alstom e Alcatel. Nella conferenza stampa finale il presidente francese Sarkozy ha sottolineato che il vertice ha aperto una "nuova era di cooperazione con la Libia democratica" e che l'intervento in Libia ha aperto una nuova fase politica in cui la "forza militare è al servizio dei popoli". O meglio l'imperialismo si sente autorizzato a intervenire militarmente dove ritiene utile ai suoi affari, con la scusa della protezione della popolazione civile. Un principio inaccettabile che lede la sovranità dei paesi ma che ha trovato concorde l'inglese Cameron, che si è detto pronto a usare di nuovo la forza a condizione che sia "moralmente giustificato" e che abbia l'appoggio "della comunità internazionale". L'asse Parigi-Londra lancia pericolosi segnali minacciosi quantomeno verso la Siria. 7 settembre 2011 |