Il neoduce ora vuol cancellare il parlamento come fece Mussolini Berlusconi: votino solo i capigruppo. Bisogna passare alla repubblica presidenziale In attesa della controriforma presidenzialista della Costituzione cresce l'insofferenza di Berlusconi per il parlamento e le sue regole e non passa ormai giorno senza che il neoduce si lanci in esternazioni e in attacchi contro di esso, trattandolo come un inutile e superato residuo del passato e un intralcio alla sua "politica del fare". L'ultimo di questi attacchi l'ha sferrato il 10 marzo scorso intervenendo all'assemblea dei parlamentari del Pdl in preparazione della fusione tra FI e AN che sarà ufficializzata il 27 marzo, dove ha lasciato di stucco la pur incallita platea dei suoi lacché della Camera e del Senato con questo incredibile annuncio: "I regolamenti parlamentari non sono adeguati alle necessità di avere tempi certi e brevi per le nostre leggi, ho quindi proposto che si riconosca nel solo voto del capogruppo il voto di tutto quanto il gruppo che rappresenta. Ovviamente chi è contrario può venire in aula per esprimere il suo no o per astenersi". E senza dar tempo alla sala di riprendersi dall'imbarazzo e dalla perplessità in cui l'aveva gettata (il capo starà scherzando o farà sul serio?, si saranno chiesti colti ancora una volta di sorpresa i suoi tirapiedi scambiandosi sguardi di inquietudine), il neoduce ha subito aggiunto: "Io capisco che, dopo 70 o 80 votazioni, una persona che non è tuttologa possa anche farsi venire addosso la morte civile. Ecco, io propongo uno snellimento. Perché voi siete uomini del fare, non funzionari di partito". Dopodiché ha chiamato sul palco il fedele ministro Frattini per spiegare che all'Assemblea nazionale francese è possibile il voto per delega: "E se lo fanno in Francia non possiamo farlo noi"?, ha concluso trionfante Berlusconi. Una proposta talmente assurda e lesiva delle prerogative del parlamento, la sua, da spingere lo stesso (ancora formalmente) leader di AN e numero due del Pdl, Fini, a liquidarla con queste gelide parole: "Già l'aveva avanzata ed era caduta nel vuoto. Accadrà la stessa cosa anche stavolta. È una proposta impossibile". Almeno, ha poi precisato il presidente della Camera, "fino a quando la Costituzione è quella vigente". Evidentemente con questa presa di distanza dal neoduce e in "difesa" del parlamento il caporione fascista Fini ha voluto gabellare ancora una volta la sua "affidabilità" democratica guadagnando punti nella sua discreta ma tenace scalata ai vertici delle istituzioni. Non per nulla uno dei giornali del PD come Europa, portavoce dell'ex Margherita, si è subito precipitato ad affermare: "Se un leader della destra dovesse salire al Quirinale, la personalità più indicata sarebbe Fini". Ma a parte questo le reazioni politiche all'ennesima sparata mussoliniana di Berlusconi sono state tutt'altro che adeguate alla sua gravità. Come al solito il PD ha reagito in modo fiacco e fuorviante, attraverso una dichiarazione dei suoi capigruppo parlamentari Finocchiaro e Soro, che si sono limitati ad accusare Berlusconi di "pulsioni autoritarie" e di voler "sviare l'attenzione" dalla crisi economica. Lo stesso Fini ha poi partecipato a un incontro con Berlusconi per definire i particolari della fusione FI-AN in cui quest'ultimo, pur non insistendo nella sua proposta di far votare solo i capigruppo, ha ottenuto dal presidente della Camera l'impegno ad accelerare la "riforma" dei regolamenti parlamentari, già raggiunta fra l'altro col PD sulla "bozza Violante" approvata nella scorsa legislatura, in modo da creare una corsia preferenziale per i provvedimenti del governo. I due boss si sarebbero messi d'accordo anche per la riduzione del numero dei parlamentari e per dare un giro di vite sugli emendamenti. "Il Riformista" gli dà l'oscar Nonostante ciò il neoduce non ha affatto desistito dal continuare ad attaccare il parlamento e invocare l'urgenza della controriforma presidenzialista della Costituzione. Appena due giorni dopo la sortita sui capigruppo, andando a ritirare l'oscar di "miglior politico dell'anno" conferitogli da quella fogna di pennivendoli liberali, rinnegati e voltagabbana della "sinistra" borghese che è il Riformista di Polito, Pansa, Sansonetti & company, Berlusconi è tornato alla carica sostenendo che i tempi sono ormai maturi per farla finita con la repubblica parlamentare e passare alla repubblica presidenziale: "Quando si legge che c'è il pericolo di una dittatura io dico che è esattamente il contrario" perché, ha detto con sarcasmo, "siamo una democrazia parlamentare, anzi super parlamentare, non adeguata alla concorrenza con tutti gli altri governi, europei e non", e "il premier non ha alcun potere", tranne quello di "redigere l'ordine del giorno" del Consiglio dei ministri. "Viviamo con un sistema e un'architettura istituzionale - ha calcato il neoduce - che non è più in linea con i tempi. Quella decisione sacrosanta assunta dai padri costituenti veniva dopo un ventennio dittatoriale e c'era quindi la logica di voler assegnare alla Repubblica una forma non presidenziale ma parlamentare. Adesso i tempi della politica sono tali per cui noi dobbiamo per forza arrivare alla possibilità di decisioni più immediate e di percorsi più brevi per trasformare una decisione assunta responsabilmente in qualcosa di concreto''. Ma non basta ancora. Intervenendo al Forum di Cernobbio organizzato dalla Confcommercio, il cavaliere piduista è tornato a bomba sul tema ripetendo le stesse giaculatorie sull'ingovernabilità e l'inattualità della repubblica parlamentare e chiedendo che i provvedimenti siano esaminati e votati "nelle commissioni che sono il luogo dove si fa il lavoro e dove ci sono gli esperti e poi si portino alla Camera dove si voti solo per l'approvazione finale". Ed è quindi tornato anche a rivendicare la decretazione d'urgenza come unica possibilità concessa al governo per intervenire subito nei problemi del Paese. Questi ripetuti interventi a gamba tesa del neoduce non sono perciò frutto di improvvisazione, ma obbediscono come sempre a una sua ostinata e precisa strategia. Non potendo aspettare l'ascesa al Quirinale, a cui comunque sta pensando e lavorando, così come la controrifoma della Costituzione che ha i suoi tempi, il neoduce punta ad anticipare il presidenzialismo di fatto, esautorando il parlamento ed imponendo la sua pretesa di governare attraverso decreti d'urgenza. Facendo anche leva sulla paura della crisi economica in atto e sul consenso mediatico che riesce a suscitare sapientemente con le sue sparate demagogiche e populistiche. In ciò egli dimostra di aver imparato a meraviglia la lezione del suo maestro Mussolini, che in attesa di trasformare il parlamento in Camera dei fasci e delle corporazioni, lo piegò prima ai suoi voleri e lo ridusse di fatto ad un guscio vuoto, un mero orpello "liberale" della dittatura fascista che si limitò per anni ad approvare passivamente i suoi decreti, prima di essere soppresso ufficialmente e definitivamente dal regime. 18 marzo 2009 |