Alla resa dei conti i due duellanti per l'egemonia della destra
Berlusconi ai finiani: o votate i 5 punti o elezioni
Mosse e contromosse del neoduce e dell'ambizioso gerarca Fini per non rimanere col cerino in mano della responsabilità della crisi governativa
Occorre un nuovo 25 aprile per abbattere il nuovo mussolini. per l'italia unita, rossa e socialista

Il vertice tra Berlusconi e Bossi del 25 agosto sul Lago Maggiore conclusosi con un compromesso tra i due (no ad elezioni anticipate subito, come chiedeva il caporione leghista ma anche no all'imbarco dell'UDC di Casini al governo, come avrebbe voluto il neoduce), ha messo un punto provvisorio alla crisi che si è aperta nella maggioranza con l'aspra diatriba tra il nuovo Mussolini e l'ambizioso gerarca Fini che ha dominato la scena politica estiva a partire dall'espulsione di quest'ultimo e dei suoi seguaci dal PDL. Berlusconi accetta il veto della Lega e rinuncia all'idea di imbarcare l'UDC di Casini nella maggioranza per controbilanciare i voti dei finiani, e da parte sua Bossi rimette per ora nel cassetto la richiesta di andare subito alle elezioni anticipate per tagliare il nodo intricato della crisi con un netto colpo di spada. Una prospettiva della cui alta rischiosità il neoduce si era ultimamente convinto, dopo averla inizialmente cavalcata per ricattare Fini e i suoi, e ciò per diversi motivi: innanzi tutto i sondaggi non del tutto rassicuranti per lui. Poi la quasi certezza che prima di sciogliere le Camere Napolitano avrebbe esercitato i suoi poteri costituzionali provando a verificare l'esistenza di una diversa maggioranza, magari per formare un "governo tecnico" senza di lui per riformare la legge elettorale e tagliarlo fuori dal gioco come nel '94-'95 col governo Dini. Poi ancora la crisi economica e i rischi connessi, sottolineati ultimamente anche dagli allarmi di Montezemolo e Marcegaglia. E infine persino il sospetto, cresciuto negli ultimi tempi, di un asse segreto tra Bossi e Tremonti per scavalcarlo e che dalle elezioni anticipate sarebbero usciti probabilmente come i soli e veri vincitori.
Da qui la richiesta del nuovo Mussolini a Bossi di provare ad andare ancora avanti con questo governo fino alla fine della legislatura, pronti in ogni caso ad andare alle elezioni anticipate al minimo sgarro dei finiani che possa ostacolare l'attuazione del programma in cinque punti che il neoduce aveva presentato, "prendere o lasciare", pochi giorni prima ai finiani. Tra cui, considerati irrinunciabili, il federalismo e la controriforma della giustizia, con in testa naturalmente l'approvazione rapida del "processo breve" che il neoduce ha riesumato come ultima risorsa per salvarsi dai processi, visto che ad ottobre la Consulta potrebbe bocciare lo scudo del "legittimo impedimento" e che il nuovo "lodo Alfano" costituzionale richiede una procedura troppo lunga ed incerta per arrivare in tempo a stoppare i giudici. Se alla crisi di governo e alle elezioni si dovrà andare, dovrà essere chiaro a tutti che la colpa è di Fini e non del neoduce, cosicché sia il presidente della Camera a restare col cerino in mano della responsabilità di aver portato il Paese alle urne con tutti i rischi per l'economia e la stabilità nazionale che ciò comporta.
Ciò implica però l'accantonamento per il momento della richiesta di dimissioni di Fini da presidente della Camera, e anzi da parte sua Bossi si è impegnato a mediare con Fini per vedere se ci sono i margini di un accordo per evitare la rottura definitiva tra il neoduce e il suo ex delfino e tenerlo dentro la maggioranza. Nel frattempo, e ad ogni buon conto, Berlusconi si ritiene libero di continuare a martellare ai fianchi Fini con la campagna scandalistica sulla famosa casa di Montecarlo e di intensificare la campagna acquisti per portargli via i parlamentari più incerti, e soprattutto più corruttibili, con lusinghe e promesse di posti di sottogoverno.

Scontro senza esclusione di colpi
Questa la sostanza dell'accordo tra il nuovo Mussolini e il suo più stretto alleato per cercare di riprendere saldamente in mano le redini della maggioranza, dopo le convulsioni estive che ne avevano evidenziato improvvise ed allarmanti crepe. La cacciata di Fini e dei suoi adepti per "incompatibilità" col PDL (leggi con Silvio Berlusconi), il deferimento di tre di essi al collegio dei "probiviri" del partito e la contemporanea apertura di una violenta e incessante campagna mediatica dei giornali e delle tv del neoduce, secondo il ben collaudato "metodo Boffo", per inchiodare il presidente della Camera ad uno scandalo immobiliare e provocarne le dimissioni, chieste anche a gran voce dalla Lega, lo avevano messo certamente in difficoltà ma non erano bastati a farlo fuori, e nemmeno a legargli del tutto le mani.
Intanto il neoduce e i suoi scherani avevano fatto male i conti, quando si sono accorti che i parlamentari passati dalla parte di Fini erano più del previsto e che il nuovo gruppo parlamentare che essi si proponevano di costituire, pur dichiarando "fedeltà" alla maggioranza di governo, e già battezzato Futuro e libertà (FLI) come un nuovo partito, poteva rappresentare un serio problema per la tenuta della stessa sui provvedimenti giudicati indispensabili per Berlusconi e Bossi (giustizia, legge bavaglio, federalismo, in particolare), ma che i finiani annunciavano invece di voler rimettere in discussione. Il campanello di allarme, per il neoduce, era suonato infatti subito il 4 agosto, in occasione della votazione a Montecitorio sulla mozione di sfiducia al sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulla cosiddetta P3 con il piduista Carboni e il coordinatore del PDL Verdini. In quella votazione i finiani si erano astenuti, insieme all'UDC di Casini e all'API di Rutelli, il che aveva comunque salvato Caliendo ma aveva anche contemporaneamente mostrato la precarietà della maggioranza senza Fini e i suoi, arrivata a soli 299 voti, ben lontano dai 316 appena sufficienti per garantirsi la governabilità.
Da qui la furia incontenibile del nuovo Mussolini, la sua voglia di regolare i conti con Fini e di andare subito a nuove elezioni saltando ogni regola e procedura costituzionale, fino al punto di creare nuove tensioni e scontri con Napolitano, accusato da un suo giannizzero di tradimento della Costituzione per aver espresso dubbi sulla correttezza costituzionale di una simile pretesa. Ma d'altra parte Berlusconi è anche assillato dall'impellenza di crearsi un nuovo scudo giudiziario col "processo breve" e capisce che ha bisogno dei finiani per farlo approvare dal parlamento, essendo la cooptazione dell'UDC nel governo fallita per il veto di Bossi, mentre la campagna acquisti nelle file di Fli non ha dato per ora i risultati sperati.

La tattica dilatoria di Fini e i diktat di Berlusconi
Da parte sua Fini, per quanto reso più guardingo dalla bastonatura mediatica ordinata dal premier e insidiato dalla sua sfacciata campagna acquisti, cerca di giocare abilmente le sue carte per tenerlo sulla graticola, rimandare le elezioni e guadagnare tempo per rafforzare il suo gruppo politico in parlamento e sul territorio in vista di farne un vero e proprio partito concorrente al PDL, per poi giocarsi l'egemonia della destra con il nuovo Mussolini. Alle mosse dell'ambizioso gerarca post-fascista guardano infatti con speranza in molti nell'area di "centro-destra" per costruire un'alternativa all'egemonia berlusconiana, da Casini a Montezemolo, da Rutelli ad ex democristiani come Pisanu, e anche nel PD si punta ormai apertamente le carte sul presidente della Camera.
È così che quando il neoduce gli ha presentato il programma in cinque punti da accettare e votare in blocco a settembre in parlamento, il suo gruppo ribatteva con Bocchino che non aveva problemi ad accettarlo e sostenerlo, "almeno per il 95%", lasciando capire che si riservava invece il diritto di trattare sul restante 5%, presumibilmente proprio sulle questioni che stanno invece più a cuore al nuovo Mussolini: il "processo breve" e la controriforma della giustizia. Non che i finiani, in nome della loro sbandierata "difesa della legalità", siano disposti a immolarsi per affossare la nuova legge-vergogna per il premier; semplicemente chiedono, come del resto Casini, di "modificarla" per renderla un po' meno vergogna e per far valere di più i loro voti.
Nel frattempo continuano a giocare su due tavoli giurando "fedeltà" al governo ma strizzando contemporaneamente l'occhio all'"opposizione", come dimostra la proposta di Bocchino a Berlusconi di imbarcare nella sua maggioranza, oltre alla solita UDC, anche l'API di Rutelli e perfino "i moderati del PD ormai delusi" in modo - insinuano - da controbilanciare Bossi ("che vuole i suoi voti"), e Tremonti ("che vuole invece prendere il suo posto").


L'assenza dell'imbelle "sinistra" borghese
Ma la crisi ferragostana non ha messo in evidenza solo le convulsioni nella maggioranza e la lotta senza esclusione di colpi tra il nuovo Mussolini e l'ambizioso gerarca fascista. Essa ha confermato una volta di più la totale assenza e inconsistenza del vertice del PD liberale, che lungi dall'approfittare dell'occasione per dare addosso al governo e a Berlusconi ha mostrato tutta la sua pavidità e opportunismo cercando in tutti i modi di allontanare lo spettro delle elezioni e vaneggiando di formule politiche tra le più astruse e improbabili, come di governi di "emergenza" (D'Alema), di "alleanze costituzionali" (Franceschini), di "nuovo Ulivo" (Bersani, lodato entusiasticamente da Prodi, e a cui hanno subito e volentieri abboccato trotzkisti come Ferrero, Salvi e Vendola) e perfino della formula del "partito a vocazione maggioritaria" riesumata per l'occasione da Veltroni, che si è rimesso in corsa.
E se poi fosse vera l'accusa di Bossi che Bersani era andato a "piagnucolare da Berlusconi" per scongiurarlo di non fare le elezioni anticipate, offrendogli addirittura i voti mancanti al posto di quelli di Fini per sventare la crisi, sarebbe la dimostrazione finale che questo partito ha ormai toccato il fondo del marasma e della vergogna in cui sta da tempo affondando. L'unica iniziativa che il partito liberale di Bersani è stato capace di annunciare è quella di una risibile "campagna porta a porta" da mettere in campo in autunno, idea tra l'altro squalificata perché già annunciata dal neoduce Berlusconi, che vuole affidarla a "squadre della libertà" affidate alle cure di Verdini, Brambilla e Dell'Utri, con chiaro riferimento alle squadracce nere di Mussolini.
A fronte dell'imbelle, opportunista e inconcludente atteggiamento del PD e in generale dell'"opposizione" parlamentare, inizia a risvegliarsi quella nel Paese da parte dei movimenti e delle associazioni. Un appello per una grande manifestazione in piazza a Roma l'ultimo sabato di settembre o il primo di ottobre è stato lanciato dalla rivista Micromega diretta dal trotzkista Paolo Flores D'Arcais, con lo slogan "Fuori Berlusconi; realizziamo la Costituzione". L'appello è rivolto a "tutte le associazioni, i club, le testate, i siti, i gruppi 'viola', a tutti i cittadini che si riconoscono nei valori della Costituzione e nella volontà di realizzarli compiutamente". Il Popolo viola, in precedenza, ne aveva indetta un'altra per il 2 ottobre, sempre a Roma.
Tali manifestazioni sono senz'altro necessarie e utili e vanno appoggiate e realizzata, ma occorre capire anche che il movimento di lotta antiberlusconiano non si può basare sulla difesa e realizzazione dell'attuale Costituzione di classe ideata e applicata per tutelare la borghesia e il capitalismo a scapito del proletariato, delle masse popolari e dell'avvento del socialismo. Costituzione che oltretutto non esiste più, dato che è ormai stata stracciata e stravolta dal regime neofascista, presidenzialista, federalista, piduista e mafioso e dal neoduce Berlusconi. Non bisogna seguire il fuorviante e arretrato obiettivo indicato nell'appello. Occorre invece proporsi l'abbattimento di questo regime, per aprire la strada a una nuova Costituzione veramente proletaria e popolare, possibile solo in un'Italia unita, rossa e socialista. La situazione politica, economica e sociale impone l'urgenza di un nuovo 25 Aprile nelle piazze e nel Paese per cacciare via subito il nuovo Mussolini e il suo governo neofascista.

1 settembre 2010