Stravolgendo il processo e il diritto al lavoro Il governo Berlusconi attacca di nuovo l'art.18 dello "Statuto dei lavoratori" Licenziamenti più facili, contratto nazionale equiparato al contratto individuale, dopo 4 mesi decade il diritto del lavoratore di avvalersi della "giusta causa" Il giudice ridotto a funzioni "notarili" "Nessuno può farsi illusioni sulla volontà del Governo e della Confindustria, le cui intenzioni sono, manifestatamente, quelle di privare i lavoratori delle tutele legali e contrattuali conquistate nell'arco di quasi cent'anni, ed anzitutto di una decorosa stabilità del posto di lavoro, così da ridurli ad uno stuolo di precari, esposti ad ogni ricatto, come era agli albori del movimento sindacale", ha denunciato di recente Piergiorgio Alleva, dell'ufficio giuridico della Cgil. A cosa si riferisce? In particolare all'art.21 del D.L. 112/2008 del 25 giugno, poi convertito nella legge n.133 il 6 agosto 2008, e al disegno di legge 1441 quater, specie l'art.65 di esso, in discussione in parlamento. Tra l'altro ambedue sospettati di incostituzionalità in relazione agli articoli 3 (principio di eguaglianza), 24 (diritto di difesa), 104 (indipendenza della magistratura) e 117 (rispetto degli obblighi internazionali, concernenti la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo). Il governo e il padronato, con l'art 21 del D.L. 112/2008 sui contratti a termine, volevano, sia pure per via diversa dall'attacco frontale all'art.18 dello "Statuto dei lavoratori" che regola la "giusta causa", privare i lavoratori di ogni tutela di stabilità del posto del lavoro. Volevano infatti "sancire - chiarisce Alleva - che mai un contratto a termine illegittimo avrebbe potuto trasformarsi in contratto a tempo indeterminato, perché da ora in poi la illegittimità sarebbe stata sanzionata solo con un minirisarcimento monetario (tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione)". Il suddetto articolo, in sede di approvazione ha subito delle modificazioni che lo rendono operativo per "i soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore" delle legge, ivi compresi però anche quelli giunti in appello e in cassazione. Modifiche che limitano il suo raggio d'azione ma che fanno passare il principio dell'indennizzo economico, misero peraltro, in luogo dell'inserimento nel posto di lavoro a tempo indeterminato. Ma questo, per quanto grave, ha rappresentato solo un atto di una politica più generale portata avanti in modo serrato dal governo del neoduce Berlusconi, supportata dall'ampia maggioranza che detiene in parlamento, per controriformare in senso liberista e filopadronale la legislazione sul lavoro. Oltretutto a colpi di decreti legge e usando in modo furbesco e truffaldino il metodo di inserire all'ultimo minuto emendamenti in provvedimenti di legge in approvazione del parlamento che per tema non hanno nulla a che fare. Basti ricordare il decreto del ministro della funzione pubblica Brunetta che colpisce pesantemente le condizioni di lavoro dei pubblici dipendenti e l'attuale modello contrattuale. Le misure sul lavoro contenute nella Finanziaria 2009. In questo quadro si inseriscono i disegni di legge presentati alle camere (ddl n.1441-bis e ddl n.1441-quater) inerenti al processo e al diritto del lavoro. Si tratta di "una via indiretta - si legge in un documento redatto dall'ufficio giuridico della Cgil il 25 settembre scorso - per attaccare i diritti dei lavoratori" attraverso la modifica del processo "per rendere il Giudice un semplice notaio della volontà dell'attuale governo e per privare il lavoratore di garanzie essenziali". Il giudice ridotto a "notaio" Quest'intenzione appare chiara dalla lettura dell'art.65, alla voce "Clausole generali e certificazioni", dove sta scritto: "In tutti i casi in cui le disposizioni di legge contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimenti di azienda e recesso, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente... all'accertamento del presupposto di legittimità", escludendo quindi un controllo "di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative che competono al datore di lavoro o al committente". C'è qui una limitazione gravissima del potere interpretativo del giudice il quale, diversamente dal passato, non potrà più valutare e sanzionare eventualmente un contratto stipulato in modo inadeguato a termini di legge, ma verificare solo i requisiti formali del contratto, senza conseguenze concrete per il datore di lavoro. Questa impostazione è ribadita e approfondita in modo ancor più grave nei commi successivi dello stesso articolo. Nel comma due si legge che: "il giudice non potrà discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro", così come previsto dalla legge cosiddetta Biagi. Mentre nel comma tre è aggiunto che: "nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento il giudice fa riferimento alle tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero (nota bene, ndr) nei contratti individuali di lavoro" certificati dalle commissioni di cui parla sempre la legge 30. Qui l'innovazione, negativa per i lavoratori, rileva l'ufficio giuridico della Cgil, è radicale. Ecco perché: fino ad ora tra le norme di legge e le norme contrattuali sono le prime a prevalere. Se passano queste modifiche non sarà più così e il Contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl) diventerà vincolante anche per il giudice". Ma c'è di peggio. Con l'entrata in vigore di questa norma, apertamente incostituzionale, "il giudice sarà vincolato - si afferma nel documento - anche a quanto diversamente stabilito dal contratto individuale di lavoro certificato dalle apposite commissioni. Finisce in tal modo il primato delle disposizioni collettive rispetto alla regolamentazione dei contratti individuali". Come si aggira l'art.18 Sempre nell'art.65 del ddl 1441 si trova la seguente "perla": "nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti prima del licenziamento". Con ciò in pratica, si saltano, o comunque di fatto si ampliano a dismisura, le norme di "giusta causa" contenute nell'art.18 dello "Statuto dei lavoratori", in ogni caso si sostituisce il reintegro nel posto del lavoro con un risarcimento economico per di più a "fisarmonica". Negli articoli 66 e 67 dello stesso disegno di legge inoltre si incentiva l'arbitrato automatico sia in forma individuale sia in forma collettiva per risolvere le controversie di lavoro che rischiano di comprimere la contrattazione sindacale e l'autonomia dei sindacati. E si introducono clausole vessatorie di decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento. Passati 4 mesi, questo è il tetto temporale che si vorrebbe imporre, si perderà per tutti i lavoratori il diritto al ricorso e al rigetto del provvedimento padronale. Specie per quelli a contratto a termine e i collaboratori a progetto, i quali per lo più faranno passare i 4 mesi sperando in un rinnovo del loro contratto scaduto. Tutto questo il governo lo sta portando avanti in modo subdolo, truffaldino, in silenzio, senza clamori. Contestualmente e in convergenza con la controriforma di stampo neocorporativo e neofascista della contrattazione proposta da Confindustria dove, non per caso, viene ridimensionato il ruolo del contratto nazionale di lavoro e assumono una funzione abnorme gli enti bilaterali e i meccanismi di conciliazione, dove il sindacato diventa un coogestore con i padroni. Impressiona e scandalizza il silenzio e l'assenza di qualsiasi adeguata reazione in parlamento e nel Paese da parte del PD di Veltroni e dei sindacati confederali. Che si traduce oggettivamente in complicità! 22 ottobre 2008 |