Intervenendo all'assemblea della Confcommercio Berlusconi invoca più potere per cambiare la Costituzione Non c'è due senza tre: dopo gli interventi alle assemblee di Federalberghi e Confartigianato, Berlusconi è tornato a martellare sulla richiesta di più potere per cambiare la Costituzione sfruttando un'altra tribuna compiacente, quella "amica" per eccellenza dell'assemblea annuale della Confcommercio, l'organizzazione di padroni e padroncini che da sempre gli garantisce uno tra i suoi più fedeli bacini elettorali. Come sempre fa in queste occasioni si è comportato come se fosse a casa sua, mostrando grande familiarità e confidenza con i dirigenti seduti al tavolo della presidenza e lisciando il pelo alla platea di imprenditori col proclamarsi "uno di loro" e dichiarandosi d'accordo con loro al cento per cento, fino a invitare il loro presidente Carlo Sangalli a venire con una delegazione a Palazzo Chigi per esaminare insieme e "punto per punto" tutte le loro richieste e vedere "di tradurle in un percorso operativo". E qui però, furbescamente, ha innestato il suo ossessivo ritornello sui poteri scarsi o addirittura nulli che come capo del governo questa Costituzione gli lascerebbe, avvertendo gli invitati di tenere presente "le difficoltà che ci sono tra le decisioni da prendere e la loro applicazione, perché tra il dire e il fare c'è di mezzo in Italia non solo il mare ma l'oceano". L'oceano, nella fattispecie, sarebbe come ripete ad ogni piè sospinto la Costituzione di stampo "sovietico" e "catto-comunista", che con i suoi vincoli e le sue regole istituzionali vecchie e superate gli impedirebbe di governare e di fare rapidamente le leggi e i provvedimenti necessari per il bene del Paese. In precedenza, da abile imbonitore da fiera qual è, aveva ben preparato la platea con una lamentosa giaculatoria sugli ostacoli parlamentari e istituzionali frapposti alla legge bavaglio contro le intercettazioni e la libertà di stampa, ed evocando ad arte uno scenario tanto impressionante quanto falso di 150 mila intercettati in Italia, che "moltiplicati per 50 persone con cui si hanno normalmente contatti, significa che sono sette milioni e mezzo le persone che possono essere ascoltate". Perciò, ha detto il neoduce proseguendo il discorso sulla sua mancanza di poteri, "bisogna riformare profondamente le istituzioni del nostro Paese. L'architettura costituzionale che i nostri padri costituenti hanno voluto è un'architettura che risentiva del timore che potesse ritornare fuori una dittatura. E quindi hanno spartito il potere tra diversi organi: il parlamento, il capo dello Stato, la Corte costituzionale. Hanno tolto ogni potere al Consiglio dei ministri e al presidente del Consiglio dei ministri". E qui è tornato a battere sull'argomento già utilizzato di recente al vertice Ocse di Parigi, quando si era paragonato a Mussolini sostenendo che costui, pur considerato un grande e potente dittatore, non aveva in realtà alcun potere, essendo invece tutto in mano ai suoi gerarchi. Il solo potere che la Costituzione gli lascia sarebbe infatti quello di stabilire l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri. Anzi nemmeno quello, dal momento che dal primo giorno quel potere l'ha delegato a Gianni Letta. Accentramento dei poteri "Non posso dire nulla a un ministro, tantomeno dimissionarlo, non posso imporre i tempi al parlamento. Il presidente del Consiglio in Italia non ha nemmeno i poteri che hanno gli altri suoi colleghi europei", si è lamentato il neoduce. Per ribadire subito dopo che "quindi bisogna riformare profondamente la nostra Costituzione per renderla adatta alle esigenze di un Paese moderno, che vive dentro una globalizzazione totale, che deve avere gli strumenti per poter intervenire con efficacia, con tempestività in tutte le varie situazioni". Nel consegnare poi alla presidenza una lista di tutto quello che ha fatto di strabiliante il suo governo nonostante le pastoie della Costituzione ("ma vi posso assicurare che se le condizioni di operatività fossero diverse avremmo potuto fare molto e molto di più", ha detto invitante nel porgerla), ha fatto balenare quali vantaggi potrebbero trarre subito gli imprenditori dalla controriforma costituzionale che ha in mente e che dovrebbe culminare con il presidenzialismo che pretende. Cioè l'abolizione dell'art. 41 della Carta per sancire la piena e assoluta libertà di impresa da vincoli di qualsiasi tipo: "Basta col calvario di decine di autorizzazioni", ha tuonato infatti il neoduce sapendo di strappare facilmente applausi scroscianti dalla platea. "Vogliamo rivoltare il tutto: si può fare tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Credo che questa sia una vera rivoluzione liberale in cui siamo impegnati. È un missile a due stadi e lo faremo prima con una legge ordinaria e poi successivamente con una riforma della Costituzione dell'art. 41". Più che un missile questa è una vera furbata, escogitata dal nuovo Mussolini per rinsaldare il consenso della Confindustria e delle altre associazioni padronali attorno alla sua figura e al suo governo neofascista, solleticando i loro appetiti con la promessa di infrangere tutte le regole e gli ostacoli, anche costituzionali, che possono frapporsi ad un liberismo selvaggio. Tra cui non soltanto l'art. 41, ma per estensione tutti i diritti dei lavoratori formalmente sanciti nella Costituzione, come il diritto di sciopero e gli altri diritti sindacali, come mostra il diktat fascista della Fiat a Pomigliano. In cambio chiede di appoggiare o non ostacolare la controriforma di altre parti della Carta che gli serve per assicurarsi poteri di tipo mussoliniano. Altro che un Berlusconi "quasi rassegnato", se non addirittura "in difficoltà", segnalata dalla sua improvvisa apertura a modifiche alla legge bavaglio, come lo dipinge la "sinistra" borghese sempre pronta a trattare, scambiando illusoriamente una decisione tattica per una battuta d'arresto del suo disegno neofascista e piduista. Un disegno che egli continua invece a proclamare con immutate ostinazione e arroganza, come dimostra il comizio davanti alla Confcommercio, e che può essere affossato solo con un nuovo 25 Aprile di tutti gli antifascisti e i sinceri democratici, per liberarsi con la lotta di piazza del nuovo Mussolini e del suo governo neofascista, antioperaio, razzista e mafioso. 23 giugno 2010 |