Con l'aiuto di Geronzi Berlusconi fa fuori Profumo Il supermanager incassa 40 milioni di buonuscita. "Il manifesto" trotzkista elogia il banchiere di "sinistra". L'ex amministratore delegato del colosso bancario europeo Unicredit sarà il "papa straniero" invocato da "Repubblica" per risolvere i problemi del "centro-sinistra"? Le grinfie della Lega sulle banche del Nord Alessandro Profumo, il supermanager da 13 anni alla guida di Unicredit, è stato costretto a lasciare la carica di amministratore delegato del colosso bancario milanese, la quinta banca più importante in Europa e senz'altro la prima in Italia per proiezione internazionale. A destituirlo, facendogli firmare una lettera di "dimissioni", è stato il consiglio di amministrazione dell'istituto di piazza Cordusio riunito in seduta straordinaria il 21 settembre scorso. Profumo se ne va comunque con una ricca buonuscita di 40 milioni di euro (ne aveva chiesti 55) e con le mani libere per tentare altre imprese, non escluso in campo politico. La sua destituzione è avvenuta al "buio", nel senso che non è stato ancora trovato chi lo sostituirà alla guida operativa della banca. Temporaneamente le sue funzioni sono tate assunte dal presidente dell'istituto, il tedesco Dieter Rampl affiancato dai quattro vice di Profumo, che hanno anche il compito di trovare "a breve termine" il suo successore. Una situazione di incertezza che preoccupa non poco le istituzioni finanziarie, dalla Banca d'Italia, ai vertici dell'Abi, allo stesso ministro dell'economia Tremonti, in apprensione per i contraccolpi che la vicenda può avere sulla stabilità del sistema finanziario italiano risvegliando la speculazione internazionale. Un segnale allarmante in questo senso è arrivato subito, con la caduta del 2,11% del titolo Unicredit alla Borsa di Milano alla notizia delle dimissioni di Profumo. C'è da capire allora perché i principali azionisti della banca abbiano avuto tanta fretta di sbarazzarsi di Profumo a costo di esporla a questi rischi, e soprattutto chi e perché tra loro (e dietro di loro) ha voluto e ottenuto la sua testa. La notizia che il Consiglio di amministrazione (Cda) lo aveva sfiduciato aveva raggiunto Profumo come un fulmine a ciel sereno mentre era in viaggio d'affari negli Stati Uniti. Ufficialmente la sfiducia era motivata da certi suoi metodi decisionali troppo personalistici e "arroganti", e in particolare gli si rimproverava (soprattutto i soci tedeschi) di non aver informato gli azionisti sul recente aumento di quote operato dagli azionisti libici della banca, arrivati a controllare il 7,6% del capitale. Ma si tratta a detta di molti commentatori solo di un pretesto, visto che la scalata libica è avvenuta alla luce del sole comprando quote sul mercato e che ne era al corrente anche il presidente Rampl, proprio cioè uno dei suoi principali accusatori. Sicuramente non gli ha giovato neanche la situazione economica difficile che l'istituto sta attraversando da molti mesi come conseguenza della crisi finanziaria internazionale, che la banca milanese con la sua maggior esposizione internazionale ha accusato più delle altre banche italiane. Da 6,5 euro il titolo Unicredit era crollato a 0,6 nel marzo scorso e attualmente viaggia intorno a 2. Senza contare che per far fronte autonomamente alla crisi Profumo chiese ai soci altri "sacrifici", come un cospicuo aumento di capitale e per la prima volta la distribuzione dei dividendi sotto forma di azioni e non di denaro liquido. Le forze in gioco e chi ne ha tratto vantaggio Tutte queste cose a Profumo gli saranno state certamente messe in conto, così come, da parte dei tedeschi, il costoso acquisto della Hvb nel 2005; oppure le conseguenze della fusione con Capitalia, che ha provocato una gigantesca ristrutturazione con tagli di personale e sportelli soprattutto al Sud e che ora stava per partire anche al Nord, e così via. Ma questo non basta a spiegare perché il supermanager è stato destituito e perché è stato fatto in questo modo sbrigativo, senza addirittura aver predisposto un'adeguata soluzione di ricambio. Come sempre, per capire le ragioni di una vicenda di questa complessità è necessario vedere quali forze erano in gioco e a chi essa ha giovato. A parte i tedeschi e i libici, i soci che più possono aver contato nella decisione del Cda di estromettere Profumo sono Allianz, Mediobanca e le due fondazioni del Nord: la Cari Torino diretta da Fabrizio Palenzona e la Cari Verona, diretta da Paolo Biasi. Ora, dietro Allianz e Mediobanca c'è il banchiere Cesare Geronzi, che è stato presidente di Mediobanca fino a pochi mesi fa prima di diventare presidente delle Assicurazioni Generali. Ed è noto che Geronzi ha un asse di ferro con Berlusconi, con il quale condivide interessi economici e disegni politici. Palenzona è considerato a sua volta facente parte di una cordata politica che attraverso il piduista Luigi Bisignani, amico di Geronzi, arriva fino a Gianni Letta, di cui Bisignani è il consigliere. Quanto a Biasi è noto per essere in quota Lega e uno dei principali strumenti della sua politica di infiltrazione nelle fondazioni bancarie del Nord; politica annunciata con grande arroganza e senza pudore da Bossi all'indomani del "successo" alle ultime elezioni regionali, quando il caporione della Lega neofascista, secessionista, razzista e xenofoba dichiarò: "Ci prenderemo le banche del Nord. La gente ce lo chiede e noi lo faremo". L'interesse della Lega a prender parte a quest'operazione è dunque evidente, e del resto il sindaco leghista di Verona Tosi, che istituzionalmente è anche presidente della fondazione che fa capo a quella città, non ne ha fatto mistero, definendo Profumo un "custode infedele" della banca "per aver fatto entrare i libici senza chiedere il permesso" e dichiarando alla vigilia del Cda del 21 settembre che "chi sbaglia paga". D'altra parte la Lega aveva cominciato subito a strillare sui pericoli della "scalata libica" a Unicredit non appena questa si era manifestata. Ma l'osso Unicredit sarebbe stato troppo duro anche per le affamate iene leghiste se non fosse sceso in campo un lupo ben più grosso e potente di loro, e soprattutto con un disegno ben più ampio e ambizioso dell'accaparramento territoriale del potere bancario che interessa a Bossi, e cioè il neoduce Berlusconi. Tramite l'asse con Geronzi costui ha fatto fuori Profumo per aprirsi la strada non solo al controllo di una delle più importanti banche italiane ed europee, ma a ridisegnare a suo vantaggio tutta la mappa del potere economico e finanziario in Italia. Essendo Unicredit il principale azionista di Mediobanca, infatti, Geronzi ha ora la via spianata al disegno di fusione tra l'istituto di Piazzetta Cuccia e le Generali, il che lo porterebbe, insieme al suo sponsor politico, a controllare di fatto il cuore del sistema economico e finanziario italiano. Un siluramento pianificato Geronzi ufficialmente nega di aver voluto la destituzione di Profumo, cercando di stornare tutti i sospetti sulle fondazioni e quindi sulla Lega, così come nega recisamente di puntare alla fusione tra Mediobanca e Generali. Ma aveva negato anche di mirare al vertice della compagnia triestina fino ad una settimana prima dalla sua nomina, il che la dice lunga sulla credibilità del banchiere laziale. Secondo una ricostruzione assai minuziosa e circostanziata di Massimo Giannini, esperto economico del quotidiano "La Repubblica", giornale peraltro più introdotto di altri nei santuari della finanza, la decisione di defenestrare Profumo sarebbe stato concordata da Berlusconi e Geronzi nella famosa cena dell'8 luglio scorso a casa di Bruno Vespa, presente il governatore di Bankitalia Draghi, il quale avrebbe concesso il suo nulla osta in cambio del sostegno del neoduce alla sua candidatura alla direzione della banca europea (Bce). A quella riunione non sarebbe stato invitato Tremonti, come ritorsione alle voci che lo darebbero aspirante in segreto a sostituirlo a Palazzo Chigi. E questo spiegherebbe la netta contrarietà del ministro alla defenestrazione di Profumo. Sempre secondo questa ricostruzione Profumo sarebbe stato attirato dai due marpioni in una trappola, prima assecondando la sua apertura ai capitali libici per cercare di svincolarsi dai condizionamenti dei tedeschi (cosa che Berlusconi avrebbe concordato con Gheddafi durante la sua visita a Roma tramite il finanziere Tarek Ben Ammar) e subito dopo, d'accordo anche con Bossi, seminando l'allarme mediatico per la "scalata libica" che ha messo Profumo nel mirino della stampa tedesca, della Consob e della Banca d'Italia e aperto la strada alla sua destituzione. Non a caso l'ex amministratore delegato di Unicredit, quando ha cominciato ad accorgersi delle manovre a suo danno, le aveva così commentate: "Vogliono scegliersi i manager uno per uno, per trasformarli in cani da riporto". Sia andata come sia andata, non c'è dubbio che questa vicenda torna a tutto vantaggio dell'asse Berlusconi-Geronzi, rafforzando anche nel contempo l'asse tra il neoduce e Bossi, che anche grazie a lui riesce a mettere le grinfie sopra le banche del Nord come si è proposto. Con la cacciata di Profumo il nuovo Mussolini si è liberato di un supermanager della "sinistra" borghese insediato ai vertici del sistema bancario e che poteva costituire un fastidioso ostacolo ai suoi piani. L'ex amministratore di Unicredit, infatti, era un oppositore deciso del piano di fusione Mediobanca-Generali e sostenitore dell'autonomia del management bancario dai condizionamenti della politica. Inoltre non nascondeva le sue simpatie per il "centro-sinistra". Amico di Prodi e di D'Alema, aveva infatti votato due volte per le primarie del PD e sua moglie si era anche candidata nella corrente di Rosy Bindi per l'assemblea nazionale di questo partito. "La Repubblica" non ha perso tempo per presentarlo addirittura come il possibile "papa straniero", evocato dal liberale Veltroni, per assumere la guida del PD e toglierlo dalle secche in cui si è da tempo arenato. Per il momento Profumo non commenta e fa trapelare di "non essere interessato" a entrare in politica, ma è evidente che certi segnali da parte dell'organo ufficioso del PD non possono essere frutto di pura improvvisazione. Tantopiù se ad alimentare certe "speranze" della "sinistra" borghese liberale e riformista, ci si mette anche "il manifesto" trotzkista che con la penna di Valentino Parlato, ha pubblicato un corsivo in prima pagina in cui si esalta Profumo come un "banchiere di sinistra", un "banchiere di alta qualità, capace di mantenere in ordine e far crescere Unicredit", paragonandolo addirittura a "un altro bravo banchiere di sinistra e caro amico, Nerio Nesi", il discusso presidente della BNL ai tempi di Craxi risultato invischiato in più di una vicenda oscura. 29 settembre 2010 |