Dalla procura di Milano Berlusconi indagato per l'affare Mediatrade Il premier è accusato di appropriazione indebita e frode fiscale Il 22 gennaio i pm della procura di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno notificato la chiusura delle indagini per l'affare Mediatrade, un atto che precede di poco il rinvio a giudizio per i 12 imputati coinvolti, tra cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il suo secondogenito e vicepresidente di Mediaset Pier Silvio e il presidente della stessa società Fedele Confalonieri. Berlusconi è accusato di appropriazione indebita e falsificazione di scritture contabili perché in combutta con l'impresario cinematografico italo-americano di origine egiziana, Frank Agrama, considerato dai pm un suo "socio occulto", avrebbe messo in piedi dalla fine degli anni '80 un sistema, quantificabile in circa 100 milioni di dollari nel solo quinquennio 2000-2005, basato sulla sovrafatturazione dell'acquisto di filmati televisivi per costituire fondi neri all'estero. Berlusconi, insieme a Pier Silvio e Confalonieri, è accusato anche di frode fiscale perché oltre ad aver sottratto fondi agli azionisti Fininvest e Mediaset li ha anche occultati al fisco. Con l'accusa di riciclaggio, oltre ad Agrama, nell'inchiesta figurano inoltre alcuni manager di Mediaset, come il direttore generale Giovanni Stabilini e il banchiere Paolo Del Bue. Il sistema che i pm milanesi ritengono di aver svelato grazie a una lunghissima serie di tenaci indagini comprendenti numerose rogatorie internazionali era abbastanza semplice nella sostanza, anche se mascherato da complicatissimi giri di bonifici su conti segreti in numerose banche sparse in tutto il mondo. Fininvest prima, e Mediaset poi, acquistavano a prezzi gonfiati dalla Paramount e da altre major americane i diritti su programmi televisivi famosi per trasmetterli sulle reti del biscione. A fare da intermediario era Frank Agrama, vecchio amico d'affari di Berlusconi fin dal 1976, attraverso sue società registrate in Svizzera e Hong Kong. L'affarista italo-americano (in realtà egiziano) incassava la differenza e poi ne girava una parte su conti bancari occulti in Svizzera e in altri paradisi fiscali. Conti intestati a prestanome di Fininvest e Mediaset ma tutti riconducibili a Berlusconi, che così rientrava in possesso delle somme pagate in più per costituire riserve di fondi neri all'estero. Un meccanismo ben occultato Ad accorgersi che qualcosa non quadrava nelle transazioni con Agrama erano stati in passato anche alcuni manager Mediaset chiamati alla fine degli anni '90 a riequilibrare i conti del gruppo. In particolare uno di questi, Roberto Pace, fino al 2002 consigliere delegato di Mediatrade e capo dell'ufficio acquisti, attualmente espatriato in Thailandia, ha raccontato ai pm che quando fece presente che le fatture di Agrama erano troppo salate gli fu fatto capire che non doveva preoccuparsi perché l'egiziano era un "amico del dottore". Cioè di Berlusconi stesso. Pace e altri manager del biscione, come gli ex responsabili acquisti di RTI Spa, Gabriella Ballabio, e di Fininvest-Mediaset, Daniele Lorenzano, ebbero il loro tornaconto nel partecipare al gioco, visto che una parte della torta toccò anche a loro attraverso compiacenti conti svizzeri a loro intestati che servivano per riciclare il denaro sovrafatturato; cosa per la quale rischiano tutti il processo per appropriazione indebita. Secondo la ricostruzione dei pm milanesi il 45% del prezzo gonfiato dei diritti televisivi finiva su conti "di società di comodo dello stesso Agrama". Per risalire all'"utilizzatore finale" hanno dovuto ricorrere a faticosissime rogatorie internazionali urtando anche contro misteriosi ostacoli dall'alto, come lo stop imposto dalle autorità Usa ad un maxisequestro dell'Fbi negli uffici di Agrama. Quest'ultimo si è sempre rifiutato di venire in Italia a farsi interrogare e lo ha ribadito anche in questa occasione: neanche per teleconferenza. Dopo che Agrama aveva intascato la sua parte, il denaro "successivamente veniva depositato presso l'Ubs di Lugano nella disponibilità di fiduciari". Secondo i pm a questo punto avrebbero giocato un ruolo centrale Stabilini e Del Bue, entrambi accusati di riciclaggio, perché è tramite conti a loro intestati che il premier sarebbe rientrato in possesso dei soldi delle sovrafatturazioni. In particolare Del Bue avrebbe ricevuto, tramite la Bankers Trust di New York, e occultato su conti presso la svizzera Banca Arner, fondi per un ammontare di un milione di dollari. Nonostante fosse attesa da tempo, e probabilmente destinata a fare la fine di quella Mediaset, cioè andare in prescrizione o per il "processo breve" o per un altro dei tanti provvedimenti ad personam messi in cantiere, la notizia della conclusione dell'inchiesta Mediatrade ha mandato ugualmente il premier su tutte le furie. "Questa è la prova della persecuzione contro di me", ha tuonato il neoduce minacciando "un intervento forte", probabilmente alludendo a quel proclama agli italiani che aveva annunciato prima dell'aggressione "provvidenziale" subita a piazza Duomo. "Adesso - ha aggiunto riferendosi al coinvolgimento del figlio - colpiscono anche la seconda generazione". Che da parte sua gli ha fatto il controcanto dichiarando: "Ecco di nuovo la volontà di colpire mio padre con qualunque pretesto". Fuoco di sbarramento contro i giudici Il neoduce ha affidato al fido Ghedini il compito di attaccare frontalmente la procura di Milano che "ancora una volta - ha dichiarato il suo avvocato - continua nella pervicace volontà di sottoporre a processo Silvio Berlusconi. Le contestazioni mosse - ha aggiunto costui - hanno dell'incredibile sia per il contenuto delle stesse sia per gli anni a cui si riferiscono, periodo in cui Silvio Berlusconi non aveva la benché minima possibilità di incidere sull'azienda". Ovviamente, come sempre, Ghedini non entra in merito alle accuse ma si limita a mostrarsi indignato e a sostenere che tali accuse "hanno dell'incredibile". Quanto al fatto che comunque Berlusconi non avrebbe potuto saperne nulla in quanto all'epoca non aveva più il controllo dell'azienda, a smentirlo, oltre al fatto che la cosa sarebbe iniziata almeno verso la fine degli anni '80, c'è anche il testo della motivazione di una richiesta di rogatoria del 2005 inviata dalla procura milanese alle autorità elvetiche, in cui si legge: "I trasferimenti di denaro sono stati effettuati dai conti correnti della Silvio Berlusconi Finanziaria Sa (dal 1995 Sfi - Societé Financière d'Investissement) e dai conti correnti della società International Media Service Ltd (posseduta da Mediaset al 99%) a favore di: 1) conti bancari gestiti da fiduciari di Berlusconi (Del Bue di Arner e altri); 2) dei conti delle società di Frank Agrama; 3) di conti bancari di società di Lorenzano; 4) di conti intestati a società di comodo". In difesa di Berlusconi è intervenuto subito anche Pier Ferdinando Casini, in quel momento impegnatissimo a mercanteggiare col neoduce un'alleanza elettorale per le regionali in Puglia: "Ho detto, anche negli anni scorsi, che un certo accanimento giudiziario contro Berlusconi c'era, e forse pure oggi c'è", ha detto il leader UDC autore fra l'altro del disegno di legge sul "legittimo impedimento" in approvazione alla Camera. Un provvedimento congegnato apposta per consentire a Berlusconi di non andare ai processi, che in pratica verrebbero sospesi per 18 mesi, un tempo sufficientemente lungo per far approvare con legge costituzionale ed eventuale referendum confermativo un nuovo lodo Alfano. Il neoduce, insieme a Ghedini, ha perfino accarezzato l'idea di inserire un emendamento per allargare il "legittimo impedimento" anche ai coimputati, comprendendo quindi anche il figlio Pier Silvio e Confalonieri. Idea poi scartata per non irritare troppo Napolitano nel timore di pregiudicare la firma, già praticamente promessa dal Quirinale, che il nuovo Mussolini agogna più di tutte: quella sotto il "processo breve" che porterebbe all'estinzione definitiva dei processi che lo riguardano. 3 febbraio 2010 |