Gravissimo attacco del neoduce alla libertà di stampa Berlusconi querela "La Repubblica" e "L'Unità". "Il Giornale" di famiglia attacca il direttore di "Avvenire" È ora di muovere la piazza per mandare a casa il nuovo Mussolini Pianificata accuratamente durante le vacanze col suo avvocato Ghedini e gli altri suoi scagnozzi dell'apparato disinformativo, puntualmente è scattata a fine agosto la tagliola mediatico-giudiziaria di Berlusconi contro la libertà di stampa e per intimidire e far tacere qualunque voce osi ancora criticare il suo governo neofascista e razzista e la sua sfacciata dissolutezza morale. La prima bordata è toccata il 24 agosto al quotidiano La Repubblica, querelato dal neoduce per un milione di euro per le 10 domande sui suoi scandali sessuali e relative bugie, pubblicate tutti i giorni dal 27 giugno scorso. Domande a cui lui si è sempre rifiutato di rispondere e definite nell'atto di citazione "retoriche" e "palesemente diffamatorie", perché "il lettore è indotto a pensare che la proposizione formulata non sia interrogativa, bensì affermativa ed è spinto a recepire come circostanze vere, realtà di fatto inesistenti". Nell'atto è citato anche un articolo del 6 agosto a firma del giornalista Giampiero Martinotti, querelato insieme al direttore responsabile Ezio Mauro e al gruppo editoriale L'Espresso, per aver riportato da Parigi una serie di articoli di giornali esteri in cui si parlava degli scandali di Berlusconi, e in particolare dello scambio tra prestazioni sessuali e posti di governo, con riferimento alle intercettazioni riguardanti le ministre Carfagna e Gelmini, la cui pubblicazione fu vietata per intervento della magistratura (su sollecitazione di Napolitano, sostiene l'ex berlusconiano Paolo Guzzanti) e dell'ipotesi "sempre più consistente" di un'infiltrazione della mafia russa ai vertici dello Stato italiano. La notizia della querela a La Repubblica compare sulle prime pagine dei giornali il 28. Quel giorno stesso Il Giornale della famiglia Berlusconi apre il fuoco contro il direttore di Avvenire, Dino Boffo, con un velenoso fondo del neo direttore Vittorio Feltri e il titolo di apertura a tutta pagina dedicato a rivelazioni su una condanna per molestie e sulla presunta omosessualità del direttore del quotidiano cattolico organo ufficiale della Conferenza episcopale italiana (Cei): "Il supermoralista condannato per molestie". Feltri, un professionista del giornalismo sporco basato sulla menzogna, sulla calunnia e sulla demagogia populista, e che proprio per questo di recente il neoduce aveva prelevato dal neofascista Libero per rimetterlo a capo del suo quotidiano di famiglia, confeziona a puntino la polpetta avvelenata, mescolando sapientemente un atto giudiziario con un falso prefabbricato, una velina anonima probabilmente proveniente dai servizi segreti. Un avvertimento ai settori della chiesa e della stampa non allineati col neoduce Che cosa aveva fatto il direttore del quotidiano dei vescovi per attirarsi un così violento e velenoso attacco del mandante Berlusconi e del suo killer Feltri? Si era permesso, con infinite cautele e con molto ritardo, di criticare su Avvenire la condotta morale del premier dopo le tante lettere di protesta di lettori indignati; ma soprattutto di aver paragonato alla shoah le stragi in mare dei migranti dopo la tragedia dei 73 morti del gommone abbandonato per 20 giorni nel canale di Sicilia. L'obiettivo specifico della sporca operazione, chiaramente desumibile anche dall'editoriale mafioso di Feltri, era quello di ottenere la testa di Boffo e rimettere in riga i vescovi con il governo. Mentre quello più generale era di lanciare un avvertimento a tutti i giornalisti e direttori di testate di stare attenti ad attaccare il neoduce, perché i dossier e le veline di cui può disporre non mancano per nessuno e, con la potenza di fuoco che gli deriva dal controllo della stragrande maggioranza dei media pubblici e privati, non gli ci vuole nulla a distruggere la reputazione e la carriera di chiunque osi criticarlo. Cosa che infatti è puntualmente avvenuta con le dimissioni di Boffo, dopo una settimana di passione in cui all'indignazione e alla solidarietà del presidente della Cei Bagnasco e di altri vescovi italiani, aveva fatto eco un assordante silenzio del papa e del segretario di Stato Bertone. E se anzi quest'ultimo aveva dovuto cancellare giocoforza la cena con Berlusconi prevista proprio il giorno dell'attacco de Il Giornale ad Avvenire alla "Festa della perdonanza" a L'Aquila, nondimeno altri segnali dal Vaticano facevano capire chiaramente come sarebbe andata a finire la faccenda: come un articolo pubblicato sul Corriere della Sera a firma del direttore dell'Osservatore romano, Gian Maria Vian, non criticato dalla curia, in cui si attaccava come "imprudente ed esagerato" il giudizio di Avvenire sulla politica governativa nazista dei respingimenti, seguito da un analogo e forse ancor più esplicito attacco da parte del cappellano della Camera e presidente della Pontificia accademia per la vita, Fisichella, che invitava i vescovi a non mettere il naso nella politica del governo. Alla fine, pugnalato alle spalle e rimasto praticamente da solo col cerino in mano, Boffo ha dovuto gettare la spugna. Berlusconi ha ottenuto quel che voleva: sia perché Ratzinger non vuole assolutamente rompere l'asse di ferro col neoduce e si aspetta da lui corpose contropartite su testamento biologico, soldi alle scuole private, pillola RU 486 e fecondazione assistita; sia perché ha colto l'occasione per ristabilire la sua autorità gerarchica sulla Cei e Bagnasco e riportare Avvenire nei ranghi della linea papale. Il colloquio "quasi affettuoso" di Letta con Ratzinger a Viterbo ha poi suggellato la chiusura dell'"incidente" e il neoduce, in preparazione di un prossimo e meno chiaccherato incontro con Bertone, ha potuto dichiarare in un'intervista a Mattino cinque che "i rapporti del governo e miei personali con chi guida con prestigio e autorevolezza la Chiesa cattolica sono eccellenti da sempre e sono stati alimentati da un dialogo continuo e tali continueranno a essere". Punto. Altri attacchi alla libertà di stampa e all'informazione pubblica Nel frattempo che trattava segretamente con il Vaticano per ricucire i rapporti, e che otteneva pure da Vittorio Emanuele Napolitano un appello "a tutti" ad "abbassare i toni", non si è certo fermata la sua campagna contro la libertà di stampa. Mentre Il Giornale di Feltri lanciava un'altra polpetta avvelenata contro Ezio Mauro, tirando fuori una faccenda di falsa dichiarazione fiscale per l'acquisto di una casa, Ghedini faceva sapere di aver messo nel mirino la stampa internazionale ostile al premier per valutare se adire le vie legali come per Repubblica. Senza contare le sempre più insistenti voci del golpe in preparazione, complici i vertici della Rai, per "normalizzare" una volta per tutte la Rete3 e decapitare i programmi dei pochi conduttori non ancora asserviti al neoduce, come Santoro, Travaglio, Gabbanelli, Iacona, Dandini, Fazio e perfino Littizzetto. E soprattutto, per completare l'opera, partiva un'altra querela milionaria, stavolta contro il quotidiano L'Unità e cinque tra giornaliste e scrittici, per gli articoli comparsi nelle edizioni del 13 luglio e del 6 agosto, in cui si parlava degli scandali sessuali del premier, ma anche dei rapporti col Vaticano e della tresca Rai-Mediaset a danno del servizio radiotelevisivo pubblico e a favore del neoduce. La direttrice del quotidiano vicino al PD, Concita De Gregorio, ha fatto un paragone storico tra il tentativo di Berlusconi di strangolare il giornale con la richiesta di risarcimento per tre milioni di euro e la chiusura del quotidiano ordinata a suo tempo dal fascismo. All'Unità e a La Repubblica sono stati inviati messaggi di solidarietà da parte del PMLI e de "Il Bolscevico", che però, incoerentemente e discriminatoriamente, sono stati censurati. Contro le minacce alla libertà di stampa la Federazione nazionale della stampa (Fnsi) ha indetto una manifestazione di protesta per il 19 settembre a Roma, a cui parteciperà anche il nostro Partito. Occorre tuttavia alzare il tiro sul neoduce Berlusconi, prendendo finalmente atto che le sue non sono solo "minacce" dettate da "tendenze autoritarie" e simili, ma che lui è il nuovo Mussolini che ha restaurato il fascismo sotto nuove forme, nuovi metodi e nuovi vessilli applicando il "piano di rinascita democratica" della P2, e che ormai è a un passo dall'avere il controllo totale di tutti i mezzi di informazione, come infatti il piano di Gelli prevedeva. Per fermarlo prima che sia troppo tardi occorre perciò chiamare urgentemente le masse a scendere in piazza per buttarlo giù con la lotta. Il PMLI è pronto e fa da sempre tutto quanto è possibile affinché ciò si realizzi. Chi può farlo e non lo fa, ma continua a nascondere alle masse che siamo in un regime neofascista con il volto di Berlusconi e non chiama a scendere in piazza per abbatterlo, si assume una responsabilità storica incancellabile. 9 settembre 2009 |