Sfrattati da "Liberazione" I liberali bertinottiani-vendoliani si accingono a lasciare Rifondazione Nel PRC rimangono i trotzkisti e i revisionisti. Le varie fazioni si accusano reciprocamente di "stalinismo" I fautori del socialismo non hanno altra strada che il PMLI Come avevamo puntualmente previsto, il fragile compromesso tra le varie anime revisioniste e trotzkiste di destra e di "sinistra" uscito dal congresso del PRC di Chianciano del luglio scorso è ormai definitivamente saltato. I liberali bertinottiani-vendoliani, che sono stati sfrattati in malo modo dalla direzione di "Liberazione", si preparano ormai a lasciare Rifondazione. Il teatro dell'ennesimo e forse ultimo scontro è stata la riunione della direzione del PRC indetta per lunedì 12 gennaio per sfiduciare il direttore di "Liberazione", Piero Sansonetti, accusato dalla maggioranza di Ferrero non solo di aver portato il quotidiano del partito ai minimi storici nelle vendite (sotto le 6 mila copie, erano diecimila nel 2004), ma soprattutto di aver diretto il giornale per nome e per conto della corrente minoritaria lavorando allo scioglimento del PRC e alla nascita di un "nuovo soggetto politico", così come auspicato da Vendola e Bertinotti. La riunione si è ben presto trasformata in una vera e propria resa dei conti. Per sette ore gli esponenti delle due principali fazioni se le sono dette di santa ragione, dando libero sfogo a attacchi velenosi e a vecchi e nuovi rancori personali e politici in perfetto stile correntizio borghese. Paradossalmente l'accusa più ricorrente che si sono scambiati reciprocamente i due schieramenti è di "stalinismo" dimostrando ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, di essere accomunati da una comune matrice anticomunista e trotzkista. Ovviamente lo "stalinismo" non c'entra un bel nulla. Del partito bolscevico Rifondazione non ha nemmeno l'ombra e piuttosto sembra sempre più assomigliare alla DC dei tempi d'oro quando i vari capi-bastone davano sfogo a epiche e sfrenate bagarre. Alla fine, con fatica, la mozione di maggioranza che sfiducia Sansonetti e nomina al suo posto l'ex sindacalista Dino Greco, iscritto a Rifondazione solo dopo il congresso di Chianciano, è passata con 26 voti a favore su 60 membri della Direzione. Decisivi per il numero legale tre "vendoliani" contrari alla scissione (Augusto Rocchi, Rosa Rinaldi e Luigi Cogodi). Astenuti due esponenti doc della maggioranza come Maurizio Acerbo (primo firmatario della mozione congressuale di maggioranza) e Giovanni Russo Spena. La maggioranza dei giornalisti della testata che avevano accolto i membri della direzione con un sit-in di protesta, proclamano lo sciopero anche contro l'ipotesi concreta di vendita del giornale. "Liberazione" non uscirà così né martedì, giorno dello sciopero, né i due giorni successivi perché nel frattempo Greco ancora non può firmare il giornale non essendo un giornalista. Anche questa è un'istantanea dello sfascio in cui versa ormai Rifondazione. I liberali vendoliani-bertinottiani a questo punto considerano lo sfratto da "Liberazione" come "uno strappo incolmabile" come l'ha definito Graziella Mascia. Buona parte dei dirigenti che fanno capo a questa corrente si dimettono dagli organi dirigenti del partito, salvo qualche eccezione assai significativa. In serata anche Nichi Vendola, che non aveva partecipato alla riunione della Direzione, da Bari con una nota comunica le proprie dimissioni: "Non possiamo - spiega - essere prigionieri dei nostri fantasmi, delle nostre case di bambole, delle nostre catacombe. Abbiamo bisogno di uscire rapidamente nelle strade e ricostruire dalle fondamenta la sinistra". È il segnale che si avvia all'addio definitivo. Un addio che forse sarà reso ufficiale al seminario che la sua corrente terrà a Chianciano il 24 e 25 di questo mese dove, spiega Vendola in un'intervista a "l'Unità" del 13 gennaio, "metteremo mano alla costruzione di un nuovo percorso. Non siamo a un posizionamento tattico, siamo a un punto di cesura. Bisogna capire, prendere delle decisioni. E poi agire per rilanciare un grande progetto della sinistra". Si va dunque verso un nuovo partito? Ancora non è chiaro. Per ora Vendola parla solo di un "percorso". Forse si dovrà aspettare la seconda assemblea nazionale dell'"Associazione per la sinistra" (di cui fanno parte anche SD, parte dei Verdi e la minoranza del PdCI) che si terrà a metà febbraio per saperne di più. Ma tutto fa supporre che si dovrà aspettare anche le elezioni europee e amministrative di primavera e gli esiti che queste provocheranno non solo in Rifondazione ma soprattutto nell'inebetito e dilaniato PD. I liberali bertinottiani-vendoliani dunque se ne vanno, ma non del tutto. Restano nel PRC, infatti, con il beneplacido dei loro padrini, esponenti di spicco di questa corrente come Caprili, Rocchi e Schiavon, che, secondo il tipico metodo trotzkista dell'entrismo, rimarranno in Rifondazione per costituire il "ponte del dialogo" con il nuovo "soggetto politico". Nel documento che hanno sottoscritto all'indomani della riunione della direzione essi confermano infatti la volontà di "costruzione di un nuovo soggetto politico, unitario e plurale della sinistra". Un processo di costruzione che, peraltro, si intrecci "con una nuova idea di sviluppo per l'umanità che superi radicalmente la vecchia idea che il 'socialismo' competeva con il capitalismo nella capacità di determinare una maggiore crescita quantitativa". Comunque, bando ad ogni illusione. L'uscita della destra liberale e trotzkista da Rifondazione non rende questo partito diverso. Rimangono in esso un'accozzaglia di dirigenti revisionisti e trotzkisti che nella sostanza lasciano immutata la natura e la strategia riformista di questo partito. Rifondazione così come tutti i partiti falsi comunisti non hanno alcun futuro. Sono allo sbando e difficilmente riusciranno a tenere in piedi i propri cocci. I fautori del socialismo che ancora militano in questo partito devono abbandonare definitivamente ogni illusione di poter condizionare a sinistra questo partito falso comunista e lasciarlo alla sua irreversibile deriva di destra e al suo probabile dissolvimento. Essi non hanno altra strada che il PMLI se vogliono veramente battersi per l'Italia unita, rossa e socialista. 21 gennaio 2009 |