Allineandosi con i fascisti, con i rinnegati e con gli anticomunisti Anche Bertinotti rende omaggio alla controrivoluzione ungherese del '56 "Qui è stata scritta una pagina grande della storia d'Europa" Seguendo a ruota il rinnegato Napolitano, anche l'imbroglione trotzkista Bertinotti è andato in pellegrinaggio a Budapest a rendere omaggio alla controrivoluzione ungherese del 1956. Lo ha fatto l'11 ottobre partecipando, insieme ad ambasciatori e presidenti di parlamento provenienti da tutto il mondo, a una seduta solenne all'assemblea nazionale ungherese in commemorazione della cosiddetta "insurrezione" del 1956, recandosi poi insieme a tutti gli altri delegati a rendere omaggio al monumento ai "martiri" di quel tentativo di golpe controrivoluzionario e alla tomba del traditore, agente dell'imperialismo e del fascismo, Imre Nagy. Ma non si pensi, per trovare qualche attenuante a questo suo mescolarsi ai peggior rappresentanti dell'imperialismo europeo e internazionale, nel portare fiori ai fascisti e filoimperialisti ungheresi macchiatisi del massacro di migliaia di comunisti, che egli vi sia stato "costretto" dalla sua veste istituzionale di presidente della Camera. Egli infatti non si è certo limitato a partecipare alla chetichella e in maniera defilata alla nuova, infame orgia anticomunista e fascista, ma ha fatto di tutto per apparire in prima fila e dare la massima pubblicità alla sua partecipazione, con dovizia di commenti e dichiarazioni alla stampa. Rispetto a Napolitano, poi, non avendo come lui un passato da farsi perdonare (ha dichiarato infatti che, avendo all'epoca solo 16 anni, stava già "come tutti i ragazzi dalla parte degli insorti"), ed essendo anzi di provenienza socialista, ha potuto dare libero sfogo al suo congenito anticomunismo, non avendo da cospargersi il capo di cenere come l'inquilino del Quirinale. Cosicché, fin dal giorno precedente la cerimonia in parlamento, visitando insieme alla moglie la mostra fotografica sull'"insurrezione" dell'ottobre-novembre 1956 all'Istituto italiano di cultura, si è prodotto in infiniti commenti a beneficio della stampa italiana di regime, in cui ha esaltato le immagini dei "rivoltosi" e vituperato quelle dei carri armati e dei soldati sovietici, innalzato la "rivoluzione democratica e nazionale" ungherese (facendo propria la definizione del traditore Nagy) e condannato i "carnefici" di quel "potere impermeabile che fu il comunismo reale". Non disdegnando, per puntellare questa sua rappresentazione manichea di stampo anticomunista, che sembra prelevata di peso dalla fraseologia di destra dell'epoca, alla Montanelli per intenderci, di tranciare anche giudizi "a occhio" ricavati dai volti nelle foto esposte: per cui nel "volto di pietra" di un ufficiale russo Bertinotti legge senza esitazioni "l'effige del potere e della violenza"; mentre, viceversa, "basterebbero le immagini e i volti degli insorti, la loro intensità e la loro voglia di futuro - dice con altrettanta sicumera il cacasotto trotzkista - per convincersi che tutte le ragioni stavano dalla loro parte". Non risulta peraltro che il nuovo guardiano della Camera si sia degnato di rammentare e commentare anche i massacri di comunisti e lo scempio dei loro corpi, impiccati, bruciati e trascinati per le strade dagli "insorti" che tanto hanno suscitato la sua ammirazione. Al contrario, come ci informa su "Liberazione" da Budapest il suo zelante portavoce al seguito, l'ex "autonomo" Anubi D'Avossa Lussurgiu, quello di Bertinotti è stato "un omaggio senza condizioni" a quella "rivoluzione", anzi "una adesione assoluta alle ragioni dei rivoltosi" e una "condanna altrettanto totale della repressione". "I conti con la storia non si chiudono mai" - ha detto infatti tra le altre cose l'imbroglione trotzkista - certo che oggi inequivocabilmente si può dire che se esiste una ragione per il futuro della sinistra, questa nel 1956 viveva qui dalla parte degli insorti e non dalla parte dei carri armati dell'Unione Sovietica". Ed ancora: "Questa è stata una tappa, quello che è accaduto qui è stata una tragedia, che per qualcuno lo è di più che per altri, perché chiama in causa una corresponsabilità per quanto indiretta e in senso lato. Qui è venuto prima di me ad inginocchiarsi Willy Brandt (il defunto leader della SPD tedesca e sindaco di Berlino durante la "guerra fredda", ndr). Qui è stata scritta una pagina grande della storia d'Europa, che ci avverte tutti del rischio di un potere che, estraniandosi dal popolo, diventa soltanto oppressione". A cosa si riferiva con ciò il nuovo paggetto del capitalismo e dell'imperialismo è fin troppo chiaro: al "fallimento storico del comunismo" e alla corrispondente "vittoria del capitalismo", evidentemente. E difatti "è qui che è cominciato a crollare il muro di Berlino", ha proclamato solenne Bertinotti, aggiungendo poi per calcare meglio il concetto, come riportato dal fido Anubi: "Coloro che subirono una violenza allora, schiacciati da una forza cieca, hanno vinto ed hanno consentito di tracciare le basi per il futuro, dando vita a quel processo che avrebbe portato alla caduta del muro di Berlino. Invece, quanti con le armi erano convinti di aver vinto hanno mostrato la loro debolezza: erano giganti con i piedi di argilla che sono crollati". Così l'imbroglione trotzkista si è allineato in pieno ai fascisti, ai rinnegati e agli anticomunisti, di oggi e di ieri, al punto da esaltare la controrivoluzione ungherese come facente parte "del patrimonio di quell'Europa che oggi ci stiamo impegnando a costruire": vale a dire dell'Unione europea capitalista e imperialista, che egli e il Partito della rifondazione trotzkista hanno ormai sposato in pieno e senza riserve. 18 ottobre 2006 |