Cofferati, l'ex sindacalista che vuole uniti padroni e operai, no-global e guerrafondai Sergio Cofferati nasce nel '48 a Sesto e Uniti (Cremona). Alla fine degli anni '60 si diploma come perito industriale ed entra alla Pirelli Cavi e Sistemi come tecnico addetto al controllo dei tempi di lavoro degli operai, una sorta di cane da guardia del padrone. Politicamente comincia invece nel Movimento studentesco alla Statale dove si era iscritto alla facoltà di matematica senza però concludere gli studi (anni dopo, il figlio invece lo iscriverà al corso di economia alla Bocconi). Entrato alla Pirelli, approda a lidi politici più tranquilli. Prima si iscrive alla Cgil, nella Filcea, la Federazione dei chimici, e poi, nel '72, al PCI. Percorre a tappe veloci i livelli di direzione nella federazione dei chimici fino a diventarne in breve tempo il segretario generale. Nei diversi ruoli interpreta e sviluppa la tradizione contrattualista e moderata della federazione e gestisce la grande ristrutturazione del settore negli anni '80 che assorbì un fiume di risorse pubbliche e liquidò migliaia e migliaia di lavoratori. Nell'85 è convinto che il referendum sulla scala mobile "sia un errore gravissimo". Cofferati diviene il cocco degli imprenditori che guardano a lui come all'uomo della contrattazione, il negoziatore che sa farsi carico delle ragioni dell'impresa, l'uomo "senza ideologia" e pragmatico. Nel PCI viene considerato un amendoliano, allievo di Giorgio Napolitano e Napoleone Colajanni. Qualche anno fa l'ex craxiano Giuliano Amato così lo descriveva: "Lui è un riformista. Lo è sempre stato. Mi ricordo ancora quando mi confidava dei suoi rapporti con Botteghe Oscure, e da quella parte gli dicevano: `Ma tu che ci stai a fare qui? Tu non sei un comunista, sei un riformista"', (La Stampa del 17.8.99). Un riformista doc il cui "idolo" è il personaggio dei fumetti Tex Willer e che appena può "scap-pa" all'opera, non disdegnando calcio e cavalli. Un riformista che però non si perita di fare le opportune giravolte quando lo ritiene vantaggioso. Nel '94, per esempio, tutti si aspettavano che si schierasse con Veltroni, a lui più vicino, in corsa per la segreteria PDS, e invece a sorpresa si schierò con D' Alema. Con queste credenziali nel '94 viene eletto segretario nazionale della Cgil al posto di Bruno Trentin del quale ha condiviso la linea concertativa e cogestionaria espressa negli accordi capitolazionisti del '92 col governo Amato e del '93 col governo Ciampi coi quali si inaugurava la "politica dei redditi" e la liberalizzazione del "mercato del lavoro", riscuotendo in prima persona una forte contestazione operaia. Cofferati è riuscito a salire sulla massima poltrona del più grande sindacato italiano grazie alla sua accorta e opportunista condotta e a una congiuntura favorevole. Il PDS ha infatti bisogno di rompere con l'eredità del PCI anche sul piano sindacale e di porre al vertice del sindacato un uomo in grado di essere punto di riferimento anche per quel 36% di quadri socialisti, ormai orfani del PSI. Fin dalle prime dichiarazioni come segretario Cofferati chiarisce la sua posizione: il sindacato è uno strumento per "coniugare la difesa dei diritti con le regole dell'economia" (La Stampa del 28.6.94), "Siamo apertissimi alle nuove forme occupazionali, se effettivamente consentiranno alle aziende di stare meglio sul mercato" (idem). Per lui "La sinistra, assegnando un ruolo di pari dignità a lavoro e capitale, deve riuscire a spiegare che la tutela del lavoro non è in contrasto con i processi di accumulazione. Deve però rendere esplicito il modo in cui intende stimolare l'accumulazione della ricchezza e come ritiene che debba avvenire la sua redistribuzione" (la Repubblica dell'1.7.94). Non è difficile capire perché la sua elezione a segretario della Cgil venga salutata positivamente anche da settori del padronato. Nel dicembre '94 si macchia di un grave tradimento insieme ai vertici delle altre due confederazioni, Cisl e Uil, firmando un accordo capitolazionista col governo Berlusconi su pensioni e finanziaria svendendo la grande lotta che per due mesi aveva riempito la piazza contro la politica governativa liberista e neofascista. Ma non sarà l'ultimo. Convinto assertore del risanamento dei conti dello Stato e la conseguente riduzione della spesa sociale firma nel maggio '95 con Dini un infame accordo sulla "riforma delle pensioni", un suo vecchio pallino. Da segretario dei chimici firmò con Eni e Montedison i primi accordi di previdenza complementare. Sostenitore del governo Prodi, ebbe qualche problema con il primo governo D'Alema. Il che però non gli impedì di sposarne il nero disegno di controriforma istituzionale. Anzi fu un aperto sostenitore della bicamerale golpista. Nell'audizione del 12 marzo '97 davanti alla bicamerale dichiarava ai suoi interlocutori di "essere tra coloro che guardano al vostro lavoro con grande interesse e anche con grande speranza, non solo come cittadino ma, se così posso dire, per il mestiere che faccio: credo infatti, che questo Paese abbia bisogno, in tempi brevi, di stabilità delle sue istituzioni". E aggiungeva, a sostegno di un assetto istituzionale presidenzialista (sia pure nella forma del premierato) e federalista: "Un interlocutore governo che abbia stabilità e consenso riconosciuto dai cittadini, determinato da meccanismi elettorali diversi da quelli utilizzati in passato, è scelta necessaria, è molto importante". E ancora: "Credo anch'io che occorrerà ripensare all'assetto del Parlamento. Per coerenza con l'assunto dal quale sono partito, ritengo che sarà importante garantire un riconoscimento alle Regioni, almeno in uno dei due rami del Parlamento. Se l'assetto futuro di un Paese federalista presenta quella dimensione economica e sociale, è fondamentale che la stessa dimensione trovi un riconoscimento nelle forme di rappresentanza parlamentare". Non devono trarre in inganno certe sue recenti posizioni sulla guerra all'Iraq e l'apparente chiusura al dialogo col centro-destra. Cofferati è e rimane oltre che un opportunista e un riformista doc anche un crumiro con l'elmetto. Infatti egli non è credibile e affidabile nemmeno come pacifista. Basta ricordare che in occasione dell'aggressione imperialista alla Serbia da parte del governo D'Alema, si schierò apertamente a favore dell'intervento armato definendola una "contingente necessità". E lo stesso ha fatto al momento dell'aggressione all'Afganistan adoperandosi per non far approvare i numerosi ordini del giorno di condanna della guerra imperialista all'ultimo Congresso della Cgil. La lotta di classe non fa certo parte del suo patrimonio ideologico. Per lui anzi "Il nemico non esiste più, è un'entità astratta" (la Repubblica del 16.4.96). Pare invece che il nemico per lui esista e siano gli stessi lavoratori tant'è che nel '98, compiendo una seconda "svolta dell'Eur" Cofferati attacca gli scioperi e incita il governo a reprimerli. Cofferati si spinge anche a teorizzare lo "sciopero virtuale" in luogo dello sciopero generale e di piazza a suo dire ormai superato. Non a caso, in occasione del referendum per l'estensione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori anche alle piccole imprese, Cofferati si schiera ancora una volta al fianco dei padroni e si dichiara "per niente d'accordo" con la consultazione referendaria contribuendo al suo fallimento. Lo sciopero e le battaglie in difesa dei diritti dei lavoratori li riscopre all'improvviso solo quando sale di nuovo al governo il neoduce Berlusconi. è lì che decide di cavalcare e strumentalizzare la ribellione montante dei lavoratori e della stessa Cgil contro il governo per crearsi una propria base di massa che lo sospinga verso approdi politici più elevati. Infatti il 2 ottobre 2002 Cofferati, dopo aver lasciato la direzione della Cgil, torna alla Pirelli come quadro coccolato e privilegiato dal padrone Tronchetti Provera. Una mossa propagandistica molto azzeccata da parte del trasformista e arrivista Cofferati perché fin da allora era chiaro a tutti che il suo obiettivo non era certo quello di aspettare la pensione di quadro, seppur dorata, alla Pirelli, ma quello di contendere a Prodi la leadership della "sinistra" dell'Ulivo e agganciare ad esso e alle istituzioni parlamentari borghesi il movimento antiBerlusconi. I suoi sostenitori erano allora i fautori dei girotondini, i trotzkisti Nanni Moretti e Paolo Floris D'Arcais, il filosofo del "pensiero debole" Gianni Vattimo, il "Laboratorio per la democrazia" dei professori Francesco Pardi (ex "potere operaio", ora candidato con Di Pietro-Occhetto) e Paul Ginsborg, l'associazione promossa dal correntone della "sinistra" DS "Aprile" e che comprende alcuni settori della Cgil, quotidiani come "l'Unità" e "il manifesto", il PdCI di Cossutta e Diliberto, i Verdi e vari esponenti dell'Ulivo fra cui la democristiana Rosy Bindi. Ma tutto ciò non è bastato a Cofferati per dare la scalata al vertice dell'Ulivo e dei DS che al massimo sono arrivati a proporgli il collegio senatoriale ("blindato") di Pisa. Proposta liquidata con un perentorio: "No, grazie". Anche perché, come lui stesso ha dichiarato nell'intervista a "il manifesto" dell'8 giugno 2003 ero sicuro che: "prima o poi mi sarebbe stata chiesta la disponibilità a un impegno politico". Infatti, nel giugno dello scorso anno la sua "aspirazione alla partecipazione" da protagonista alle istituzioni parlamentari borghesi in senso presidenzialista e federalista viene finalmente soddisfatta con la candidatura a sindaco di Bologna. Altro che "scelta di vita per questa città e per la `buona politica"'. Cofferati, come si evince dal suo programma elettorale, è sceso sullo stesso terreno dei neofascisti per contendere la poltrona di neopodestà al forzista Guazzaloca. Difende a spada tratta la legge neofascista che conferisce il potere assoluto ai sindaci podestà: "la legge lascia al sindaco la facoltà di scegliere la propria squadra. Una scelta preventiva a mio avviso produce un'anomalia. Se indichi prima la giunta nel voto dei cittadini c'è anche un giudizio sulla squadra e non solo sul candidato". Dunque è chiaro che il suo obiettivo è ottenere un vero e proprio plebiscito elettorale "coinvolgendo tutto ciò che è associato a Bologna a cominciare dalle associazioni di imprenditori al sindacato, dal volontariato a tutte le forme di rappresentanza sociale" in una sorta di neocorporativismo che veda uniti nelle istituzioni del regime neofascista proletariato e borghesia. Grazie alla trappola del "bilancio partecipato" si propone di tenere legate le masse e i giovani di sinistra alle istituzioni rappresentative borghesi e neofasciste. "Se diventerò sindaco - promette nell'intervista a `il manifesto' - adotteremo Agenda 21 e faremo il bilancio partecipato con uno specifico bilancio di genere". |