Giuliano Amato (indicato da Prodi) - Interno Cresciuto all'ombra di Craxi, è stato uno degli artefici della piena realizzazione del famigerato "piano di rinascita democratica" e dello "Schema R" elaborato dalla P2 di Licio Gelli, e dell'instaurazione della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e guerrafondaia. È un nemico storico dei lavoratori, affamatore delle masse popolari; un tecnocrate in camicia nera, abile politicante borghese che sta bene sia alla "sinistra" che alla destra del regime neofascista, tant'è vero che qualche anno fa egli era il candidato di Berlusconi per il Quirinale. Nato a Torino, il 13 maggio 1938, ma versiliese di adozione, laurea in giurisprudenza alla Normale di Pisa, master alla scuola di legge della Columbia University di New York, libero docente di diritto costituzionale italiano e comparato a Perugia, Firenze e Roma. Nel 1958 si iscrive al PSI militando tra le file della sinistra lombardiana. Ne esce nel 1964 per inseguire Lelio Basso nel PSIUP fondato in quell'anno. Sei mesi dopo viene recuperato al PSI da Antonio Giolitti. Da allora e fino alla fine degli anni '70 rimane, assieme a una schiera di giovani costituzionalisti, economisti e politologi quali Bassanini, Rodotà, Coen, Spaventa, Giugni, alla corte di Giolitti che lo nomina capo dell'ufficio legislativo al ministero del Bilancio. Nel 1979 è tra i primi firmatari di un manifesto di intellettuali che si schierano contro l'"autocrazia" e il dispotismo dei craxiani che tre anni prima, durante la famigerata riunione del CC del PSI all'hotel Midas di Roma, si sono impossessati con un colpo di mano della segreteria del partito. La manovra però fallisce e per qualche anno Amato si eclissa dedicandosi alla presidenza dell'Ires (Istituto ricerche economiche e sociali) della Cgil (1979-1981), e alla Commissione governativa per la riforma delle partecipazioni statali di cui è presidente (1980). Coordina dibattiti per "Mondoperaio" per poi tornare a studiare negli Usa presso la fondazione Brooking Institute. È in questo periodo americano che matura una "provvidenziale" conversione da anticraxiano a craxiano di ferro e di lì a poco il suo nome si legherà indissolubilmente a quello dell'allora neoduce, diventandone uno dei "fedelissimi" luogotenenti. Il 1983 è senz'altro l'anno della sua consacrazione politica. Prima Craxi lo spedisce a commissariare il PSI torinese travolto dagli scandali; poi lo fa eleggere alla Camera dei deputati nella circoscrizione Torino-Novara con oltre 33 mila preferenze (sarà sempre riconfermato, nelle successive tornate elettorali, fino al 1993); in autunno, il grande balzo. Craxi conquista Palazzo Chigi e lo nomina sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel corso degli anni il suo opportunismo politico e la sua capacità di cambiare idea a seconda del vento che tira, gli fruttano una serie infinita di soprannomi, come "Tigellino", il prefetto di Nerone capace delle peggiori nefandezze, o anche quello di "Cesarino Rossi", il segretario personale di Mussolini, e infine il "dottor sottile", così soprannominato dalla borghesia per glorificarne uno spregiudicato macchiavellismo unito a una disinibita ipocrisia. Negli anni è stato capace di passare dal laicismo agli accordi col Vaticano e all'antiabortismo, dalla difesa viscerale di Craxi ai tempi di Tangentopoli all'abbandono di questi nell'esilio di Hammamet. Per circa un ventennio a partire dalla metà degli anni '80 è stato l'artefice della feroce politica neoliberista di "lacrime e sangue" che ha ridotto sul lastrico le masse operaie e popolari; è stato l'ispiratore del decreto tagliasalari del 14 febbraio 1984 (il famigerato decreto di S. Valentino) che poi porterà alla soppressione della scala mobile. Sul fronte delle "riforme istituzionali", da presidenzialista convinto, ha partecipato in prima persona alla stesura del testo della "riforma" della presidenza del Consiglio ed è stato l'artefice del nuovo concordato con la chiesa cattolica. Nel 1989 Craxi lo nomina vicepresidente del PSI assieme a Di Donato e Tognoli. Contribuisce a spostare ulteriormente a destra l'asse politico di via del Corso esprimendosi per una revisione restrittiva della legge 194 sull'aborto e per la revisione della legge 180 sui malati di mente. Dalla tribuna del 45° congresso del PSI rilancia a tutto tondo la repubblica presidenziale. Durante tutto il 1991 fa da anello di congiunzione tra Craxi e il picconatore neofascista e capo dei gladiatori Francesco Cossiga ispirandone le quotidiane esternazioni presidenzialiste e fasciste. Nell'estate del 1987, quando Craxi (dopo la parentesi del governo Fanfani) è costretto a lasciare il passo ad un governo DC presieduto da Goria (1987-1988), Amato diventa il cane da guardia PSI alla vicepresidenza del consiglio nonché il ministro del Tesoro. Quest'ultima carica la conserva anche nel successivo governo De Mita (1988-1989) durante il quale vara il famigerato "piano di rientro pluriennale del deficit pubblico" e colpisce ancora più duro su pensioni, sanità, stipendi e tariffe; dispone la svendita di ingenti patrimoni e industrie pubbliche, impone la sterilizzazione della scala mobile, inaugura la famigerata "politica dei redditi" e della "concertazione" e invoca le "riforme istituzionali" tra cui l'abolizione del voto segreto in parlamento. Tutte misure che porterà alle estreme conseguenze durante i suoi governi: Amato I (giugno 1992 aprile del 1993) e Amato II (dal 25 aprile 2000 al 31 maggio 2001) di cui ricordiamo fra l'altro il varo del decreto legislativo sulla privatizzazione del Pubblico impiego; la legge per la privatizzazione delle banche e il disegno di legge per la riforma della Borsa. La liquidazione dell'Efim e la trasformazione in società per azioni degli enti pubblici: Iri, Eni, Enel, Ina, Bnl e Ferrovie dello Stato per accelerarne la privatizzione. Dispone la vendita del Nuovo Pignone (Eni) e del Credito Italiano (Iri); e infine vara il decreto per dare un colpo di spugna su Tangentopoli allo scopo di salvare Craxi, ormai travolto dagli scandali, e forse anche se stesso dal momento che in quel periodo fu tirato in ballo nell'inchiesta sullo scandalo delle Ferrovie e dalle intercettazioni sul telefono del faccendiere Pacini Battaglia era saltato fuori che egli sarebbe un affiliato alla massoneria "Bassa Siena". Alla fine del suo primo mandato a Palazzo Chigi, torna momentaneamente in seconda linea alla presidenza dell'Antitrust (carica che ricopre dal 1994 fino al 1997). A riportarlo nei piani alti del palazzo ci pensa il rinnegato D'Alema che gli affida il ministero delle riforme istituzionali e poi, nel rimpasto del luglio 1999 il dicastero del Tesoro e Bilancio. In tale veste Amato lavora alacremente per rilanciare l'accordo tra Ulivo e Polo sulle riforme istituzionali interrotto col fallimento della Bicamerale. Propone il federalismo e l'elezione diretta del presidente della Regione che porterà a compimento durante il suo secondo governo col varo dalla legge di riforma costituzionale del 22 novembre 2000. Assieme a D'Alema, fonda (novembre 2001) e dirige "Italianieuropei", bimestrale del riformismo italiano. Nel gennaio del 2002 è nominato vicepresidente della Convenzione europea, chiamata a disegnare la nuova architettura istituzionale dell'UE. Poi è chiamato a presiedere la Commissione internazionale sui Balcani, nata nell'aprile 2004. 14 giugno 2006 |