Francesco Caruso: dall'anarchismo al parlamentarismo Francesco Caruso, nato a Benevento, 32 anni. Al termine degli studi liceali si iscrive alla facoltà di Scienze Politiche dell'Ateneo di Bologna e si laurea presso l'Istituto universitario "Orientale" di Napoli. Secondo quanto riporta "Il Giornale", non smentito dall'interessato, il padre appartiene ad una ricca famiglia di proprietari terrieri calabresi, è iscritto al Rotary club, l'associazione che raggruppa il Gotha dei capitalisti e dei borghesi, di cui è stato anche governatore regionale. In qualità di ingegnere dirigente di Trenitalia sarebbe stato chiamato nel capoluogo sannita per realizzare l'Alta velocità Benevento-Foggia. Lo stesso Francesco sarebbe un latifondista "proprietario di uliveti, vigneti, terre di agrumi e terreni da pascolo per centinaia e centinaia di ettari e immobili sparsi tra vari comuni in provincia di Cosenza, a Longobucco e a Corigliano Calabro, frutto del generoso lascito di uno zio". Sempre secondo il quotidiano della famiglia Berlusconi Caruso avrebbe "29 cause giudiziarie aperte ed una dozzina di avvocati difensori" ("Il Giornale" del 18 febbraio 2006). Avvicinatosi al movimento dei "centri sociali" e dell'"antagonismo" già durante la sua permanenza nel capoluogo emiliano, a Napoli frequenta Officina '99, il centro sociale che ha sede in un ex capannone industriale della periferia di Gianturco e il Laboratorio Ska, un edificio occupato nei pressi di Piazza del Gesù, punto di riferimento del movimento no-global napoletano. Nel 2001 insieme ad altri studenti e giovani beneventani occupa lo stabile che diventerà il centro-sociale "Depistaggio". Partecipa ai forum mondiali e alle manifestazioni di Praga, Nizza, Napoli, Genova, Porto Alegre, Firenze, diventando un megafono di quelle correnti radical-riformiste che propugnano una "globalizzazione dal volto umano" da raggiungere tramite la cosiddetta "democrazia partecipativa" e la "disobbedienza civile". Come il suo maestro d'inganni Toni Negri, Caruso si distingue in particolare per l'ermetica fraseologia di stampo anarcoide e per l'esaltazione dell'azione "esemplare" di piccolo gruppo, staccata dalle masse, nonostante a conti fatti questa pratica si dimostri velleitaria e fallimentare, talvolta persino controproducente ai fini della lotta. Si distingue inoltre per un anticomunismo viscerale preso a prestito dall'armamentario di vecchie elucubrazioni trotzkiste ed anarchiche. Nel libro "Vite disobbedienti - Don Vitaliano della Sala e Francesco Caruso - autobiografie parallele'', a cura di Luciano Scateni, Caruso teorizza "il rovesciamento della piramide leninista" perché afferma "questa generazione in movimento ha ben chiaro, a differenza delle precedenti... come la strada illuminata dai 'Grandi Maestri' finisca in un burrone... questo è sicuramente l'elemento più evidente di rottura con le forme tradizionali della mobilitazione sociale... Oggi che non c'è un palazzo da assaltare, il potere da conquistare... bisogna reinventarsi e sperimentare nuovi percorsi di autorganizzazione sociale, senza restare imbrigliati nelle rigidità cadaveriche, nelle categorie di un passato morto e sepolto". Seppellita tutta l'esperienza storica del proletariato nazionale ed internazionale del secolo scorso, Caruso si dedica alla sua immagine di capo ribelle, in prima fila nelle lotte e in perenne movimento, che si "immortalerà" già in una prima megalomanica autobiografia datata 2001 (in "Maledetta globalizzazione", Carocci editore) a cui seguiranno altre operazioni editoriali. Attorno al personaggio viene alzata la cortina fumogena del "terribile rivoluzionario" che, da un lato, contribuisce a nascondere alle masse giovanili il suo attivo ruolo di copertura della dirigenza falso comunista del PRC napoletano e campano e dei governi borghesi di cui è parte integrante, dall'altro, contribuisce ad attirare sui disobbedienti e sul suo "leader" la repressione poliziesca e giudiziaria del regime neofascista, un regime peraltro che neanche dopo la mattanza di Genova Caruso si deciderà a denunciare, preferendo parlare di "crisi della democrazia". Nel novembre 2002, su mandato della Procura di Cosenza, viene arrestato con l'accusa di "sovversione, cospirazione politica ed attentato agli organi costituzionali dello Stato" con altri esponenti della "rete meridionale del Sud ribelle" e il 22 novembre un grande corteo di centomila manifestanti nella città calabrese, a cui il PMLI non fa mancare il suo contributo, ne otterrà la scarcerazione. Il disobbediente Francesco Caruso è oggi candidato di Rifondazione comunista alla Camera nel collegio "blindato" di Cosenza. Tra i suoi sponsor, oltre al padrino politico Fausto Bertinotti, ci sono esponenti della giunta cosentina come Franco Piperno (ex dirigente nazionale di "Potere operaio"), con l'obiettivo da un lato di drenare voti dall'area tradizionalmente astensionista dei "centri-sociali" verso l'Unione del democristiano Prodi, dall'altra di imbrigliare il movimento no global nelle pastoie dell'elettoralismo borghese per condannarlo nel "carcere" del capitalismo e delle sue istituzioni in camicia nera. La "svolta" elettoralista e parlamentarista e il passaggio nelle file dell'Unione di Prodi non sono state affatto digerite all'interno del movimento dei centri sociali e tra gli stessi suoi ex-compagni di lotta. "Tra i movimenti e i partiti lui ha scelto i partiti e lo ha fatto in maniera truffaldina. Perché fino a pochi mesi fa diceva non mi candiderò mai, c'è chi va in galera e chi va in Parlamento, invece ora ho capito che si riferiva a se stesso", ha affermato Luca Casarini leader dei centri sociali del Nord-Est. "In Campania tutto il popolo dei centri sociali e dei movimenti antagonisti lo considera un venduto. Noi non condividiamo affatto la sua scelta di candidarsi" perché ciò dimostra che "è passato dall'altra parte", ha affermato Mario Avoletto dello Ska che si domanda: "Ma come fa Caruso a stare in una coalizione che non ha il coraggio di bloccare la Tav, che non riesce a schierarsi senza ambiguità contro gli inceneritori? Come fa dopo avere manifestato nelle strade e davanti alle ambasciate contro la guerra all'Irak a stare con chi non è riuscito a trovare una definizione univoca neanche su questo? Gli è sempre piaciuto fare il capo, apparire nei media come il trascinatore di tutto il movimento no-global meridionale. Ma non è vero, non è mai stato il leader per il semplice motivo che la nostra rete si autogestisce. Per noi bisogna agire dall'esterno condizionare la politica con le lotte di popolo, spingere all'astensionismo". 22 marzo 2006 |