Massimo D'Alema (DS) - esteri e vicepresidente del consiglio

Massimo D'Alema può ben definirsi un rinnegato a tutto tondo, uno nato e cresciuto nell'apparato del vecchio PCI e che ha condiviso interamente la sua parabola revisionista fino alla fine, al punto da atteggiarsi ancora a "dubbioso" dopo la svolta della Bolognina di Occhetto: salvo poi partecipare senza troppi rimpianti insieme a lui, Fassino e gli altri, alla sua liquidazione col congresso di Rimini del '91. Eppure ancora oggi nella base del partito della Quercia ce ne sono non pochi che lo considerano "di sinistra", nonostante le infinite nefandezze di destra che ha detto e fatto in questi anni, la più infame delle quali, che lo marchia a fuoco in maniera indelebile, è di aver trascinato il nostro Paese in guerra per la prima volta dopo Mussolini, schierandolo in prima fila a fianco della Nato e degli imperialisti Usa nei bombardamenti sulla Serbia.
Forse è la sua lunga carriera nell'apparato del PCI revisionista che gli mantiene questa fama di "post-comunista", cioè ancora legato al passato, che egli peraltro si sforza di scrollarsi di dosso in tutti i modi consapevole che non è un buon viatico per chi come lui aspira a tornare all'agognato potere, ministero di governo o carica istituzionale che sia. Che non sia cosa facile cambiare pelle per il cinquantasettenne figlio del senatore pugliese Giuseppe D'Alema, e che ha cominciato la sua carriera politica nel PCI nei giovani pionieri, parlando a 11 anni dalla tribuna del IX congresso, è comprensibile. Per non parlare degli anni della giovinezza, che dopo una breve parentesi sessantottina come studente alla Normale di Pisa e nel gruppo de "il manifesto" (che ancora oggi gli usa riguardi), lo vedono rientrare nel PCI e scalare rapidamente la sua organizzazione giovanile, diventandone segretario nel 1975. In quella veste si adopera attivamente per riportare il movimento del '77 nell'orbita del PCI berlingueriano. Però non si può dire che non ce la metta tutta per non dire e non fare "cose di sinistra".
Dall'80 all'87 lo ritroviamo segretario del partito in Puglia, regione che diventerà da allora il suo feudo elettorale personale. Dopo la morte di Berlinguer aiuta Occhetto a esautorare Natta e a salire alla segreteria, e pur non avendo mai buoni rapporti con lui e cercando di mantenersi coperto, collabora a tutte le sue svolte a destra fino alla liquidazione del PCI e alla nascita del PDS neoliberale. Dopo il fallimento elettorale del '94 viene eletto segretario al posto del dimissionario Occhetto e battendo il rivale Veltroni. Vince perché è considerato l'uomo che può unire tutte le anime del partito. Per andare dove? "Mi hanno eletto perché voglio cambiare tutto", annuncia significativamente. Ed è tutto un programma.
Gli anni a seguire, infatti, vedono l'ascesa al governo del partito della Quercia, durante i quali si consuma e si completa la svolta liberale e neofascista dei rinnegati del comunismo. E D'Alema ne è il capofila, guidando prima la Bicamerale golpista, e poi salendo addirittura a Palazzo Chigi sotto il segno di Gladio e della P2, grazie all'appoggio di Cossiga e all'aiuto di Bertinotti che fa fuori Prodi. I governi D'Alema danno infatti un impulso alla realizzazione del disegno neofascista, presidenzialista e federalista della P2, approvando tutta una serie di controriforme economiche liberiste, come il pacchetto Treu e le privatizzazioni, l'elezione diretta dei governatori di regione, la "riforma" federalista della pubblica amministrazione, e così via. Per non parlare della partecipazione alla guerra imperialista della Nato nei Balcani, di cui abbiamo detto.
Il capofila dei rinnegati pagherà caro il suo tradimento, con la sconfitta alle amministrative del '99, che portano anche alla perdita della roccaforte storica di Bologna e provocano le sue stesse dimissioni. Il tracollo elettorale del 2001 è ancora sulla scia dell'esperienza negativa dei governi di "centro-sinistra". Il partito della Quercia è ai minimi storici, soprattutto per colpa sua e di Veltroni, e rischia di scomparire. Lo slogan del congresso di Pesaro recita lugubremente: "O si cambia o si muore". Ma il "navigatore" D'Alema non si scompone. Forte del buon risultato personale nel suo feudo pugliese, si prepara per tempi migliori, lasciando a Fassino il compito di esporsi in prima linea, mentre lui assume la carica più defilata di "presidente onorario". Intanto si dedica alla fondazione "Italiani europei" che ha messo su con Amato e che si propone di "modernizzare il paese". Come? Riprendendo il filo della sua Bicamerale golpista, non appena ce ne saranno le condizioni. Anche se per gli ultimi 5 anni ciò non avverrà a causa della politica unilaterale della Casa del fascio.
Nel frattempo il capofila dei rinnegati non se n'è stato certo con le mani in mano, e ha dato il suo robusto contributo alla politica e al programma ormai decisamente liberisti, neofascisti e interventisti dei DS, lavorando per lo "svecchiamento" degli assetti capitalistici e finanziari (vedi il suo coinvolgimento nella scandalo Bnl-Consorte), propugnando il premierato e il federalismo e spingendo per l'interventismo, attraverso la cancellazione dell'art. 11 della Costituzione, da lui definito "superato", e l'esportazione della democrazia, "non escludendo a priori l'uso della forza".
Nel passaggio di consegna alla Farnesina col suo predecessore, il fascista Fini, il neoministro degli esteri ha voluto sottolineare la continuità della politica estera italiana del governo Prodi con quello Berlusconi, proponendolo alla presidenza della commissione Esteri della Camera. Un modo per sottolineare ancora una volta, come ha ricordato Fassino, che i rinnegati del comunismo hanno gettato alle ortiche ogni parvenza di antifascismo e ribadiscono il loro pieno riconoscimento degli eredi di Mussolini.
A un D'Alema che assicurava l'ambasciatore Usa a Roma di non voler ritirare le truppe italiane dall'iraq come fece Zapatero, rispondeva il soddisfatto rappresentate di Bush in Italia con queste parole: "Sono molti di più i temi sui quali abbiamo una visione comune rispetto a quelli su cui possiamo non averla".

31 maggio 2006