Biografie dei candidati Piero Fassino, anticomunista liberale e cattolico da sempre 57 anni, torinese, anzi "sabaudo", come ama definirsi, Piero Fassino non si può definire, a rigor di termini, rinnegato, poiché appartiene a quella categoria di dirigenti DS, come Veltroni, che anticomunisti e liberali sono sempre stati, anche negli anni della militanza nel PCI revisionista. Per quanto riguarda lui, di recente ha pure ammesso di essere cattolico e credente da sempre, e questo completa il quadro. Evidentemente nel suo caso l'origine di classe (figlio della buona borghesia piemontese, intimo di casa Agnelli) e l'educazione (dai gesuiti) hanno avuto un peso determinante nella sua formazione di matrice liberale e cattolica. Nel '69 entra nel PCI come iscritto alla FGCI, ma la sua adesione al partito revisionista è dichiaratamente all'insegna del riformismo, della socialdemocrazia e dell'anticomunismo: "Mi sono iscritto al PCI 'contro' il comunismo... contro lo stalinismo, contro la gerontocrazia sovietica, contro il totalitarismo", ha confessato ricordando che proprio in quel periodo il PCI prendeva le distanze da Mosca dopo l'intervento in Cecoslovacchia. Nel '77 entra nella segretaria provinciale torinese del partito come responsabile per le fabbriche, e di lì prende il via una rapida carriera che, passando per le cariche di segretario della federazione cittadina e poi provinciale, lo porta fino a Roma, dove nell'84 Berlinguer, che sta lavorando alacremente alla decomunistizzazione e socialdemocratizzazione del PCI, lo fa entrare in Direzione insieme ad altri giovani e ambiziosi tecnocrati liberali come lui. Ancora tre anni e lo ritroviamo nella segreteria nazionale, dove da allora affianca strettamente tutti i segretari che si avvicendano nell'opera di traghettamento del vecchio PCI revisionista nel campo della borghesia e del capitalismo: cosa che avverrà nel 1991 al congresso di Rimini, con la nascita del PDS, poi diventato partito dei DS, di cui Fassino è eletto segretario nel 2001, dopo la batosta elettorale che rischia di spaccarlo in due e dissolverlo. In questo frattempo c'è la parentesi dei governi di "centro-sinistra", e il tecnocrate liberale Fassino ha tutti i requisiti per fare il ministro di un governo di "sinistra" che, come ebbe a dire allora il suo padrino Gianni Agnelli, è l'ideale in quel momento "per fare una politica di destra": sottosegretario agli Esteri e responsabile delle politiche comunitarie presso la presidenza del Consiglio, con Prodi; ministro del Commercio con l'estero nel primo e secondo governo D'Alema; ministro della Giustizia nel governo Amato. Incarichi che svolge con puntiglio "sabaudo", portando avanti in prima persona la politica nazionalista, militarista, interventista ed espansionista dei governi della "sinistra" borghese, per la quale conia personalmente i concetti di "esercizio di leadership" dell'Italia e delle "tre direttrici" espansioniste della politica estera nazionale imperialista (Europa centrale, sud-orientale e Mediterraneo). Dopo l'elezione a segretario dei DS al 2° congresso del 2001, carica riconfermata anche al 3° del 2005, Fassino ha completato in stretta collaborazione col rinnegato D'Alema la svolta a destra del partito, fino ad approdare pienamente al liberalismo e al neofascismo, ricongiungendo il partito al PSI di Turati, Nenni, Saragat, Craxi e Amato, e lanciandolo verso il futuro scioglimento nel partito democratico egemonizzato dai democristiani e dai liberali. Non si contano più le sterzate a destra, una più grave dell'altra, che egli ha impresso al suo partito, in politica interna e internazionale, a livello politico, ideologico e perfino storico: dalla rivalutazione del criminale di guerra Bush e dell'intervento in Iraq, all'appoggio sperticato al boia Sharon e all'imperialismo israeliano, dalla collusione coi fascisti sulla questione delle foibe per revisionare la storia in chiave neofascista, fino alla recente ammissione di essere credente e cattolico da sempre. Per non parlare dello scandalo di bancopoli, in cui è emersa con evidenza la sua naturale attitudine a trescare con i potentati del capitalismo e dell'alta finanza, con i quali vanta legami sotterranei che non sono evidentemente di pura cortesia. 29 marzo 2006 |