Romano Prodi (ex DC) - presidente del consiglio

Romano Prodi, più che l'anti-Berlusconi è un navigato marpione democristiano della prima e della seconda repubblica, un anticomunista, un economista convintamente liberista e privatizzatore, un cultore del rafforzamento dell'imperialismo europeo e dell'Alleanza atlantica, ossequioso della Cei e del Vaticano. Insomma, un acerrimo nemico delle masse popolari.
Nato a Scandiano di Reggio Emilia nel 1939, Prodi si è laureato in legge nel 1961 alla Cattolica di Milano con una tesi sul protezionismo. Poi, dottorato alla "London School of Economics" e prime esperienze da manager della Maserati e alla Callegari-Ghigi.
Poco tempo dopo è Beniamino Andreatta, suo amico personale, collega di cattedra e di partito che lo chiama nel pool di teste d'uovo dell'economia della nascente "scuola bolognese" all'università felsinea.
Nello stesso periodo diventa per qualche anno presidente della casa editrice "Il Mulino" storico laboratorio per il dialogo fra cattolici, "laici" e PCI.
A iniziarlo alla carriera di boiardo di Stato è però un altro boss della vecchia DC, Ciriaco De Mita, di cui Prodi è consigliere economico. Pertanto è almeno dal 1960 che diviene un convinto democristiano anche se si guarda bene dall'ammetterlo.
Nel 1978 invece dichiara apertamente la sua fede DC e diventa per qualche mese, a soli 39 anni, ministro dell'Industria nel governo Andreotti.
Nel 1982 De Mita, appena diventato segretario della DC, lo colloca al vertice dell'Iri dove rimane fino al 1989. A quel punto la sua tanto conclamata autonomia dallo scudo crociato, il suo presentarsi come "tecnico" indipendente dai partiti risulta irrimediabilmente compromessa. Da ricordare il suo ruolo nello scandalo dei fondi neri che coinvolgono l'allora amministratore delegato dell'Italstat Ettore Bernabei, che finito in manette, viene poi provvidenzialmente promosso da Prodi presidente della società per fare cosa gradita a De Mita. Alla presidenza dell'Iri, Prodi torna una seconda volta, tra il '93 e il '94 per volontà dell'allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, a cui poi, guarda caso, durante il suo governo ricambierà il favore, affidandogli il dicastero del Bilancio e del Tesoro.
Durante la sua permanenza all'Iri si guadagna l'appellativo di grande privatizzatore. Non solo le invoca e teorizza ma Prodi è colui che ha concretamente venduto ai privati tutte le migliori aziende pubbliche del gruppo. Autostrade, Ilte, Seat, Elsag, Selenia, Telespazio, Gs, Autogrill, Aeritalia, Credito fondiario, solo per fare alcuni nomi. Ed è sempre lui, nel 1984 ad iniziare il progetto politicamente più importate, ossia la privatizzazione di Mediobanca, il tempio del capitale italiano, che l'Iri controllava al 56%, attraverso le tre Bin, banche di interesse nazionale (Comit, Credit e Banco di Roma). E poi ancora da ricordare c'è la svendita dell'Alfa Romeo alla Fiat degli Agnelli e della siderurgia. Tentò anche di svendere la Sme, il gruppo alimentare statale a De Benedetti, ma gli fu fatale il veto di Craxi.
In quegli anni Prodi, tra una poltrona e l'altra, fa soldi a palate come esperto economico al servizio di grandi aziende capitalistiche pubbliche e private, tra cui figurano i Ferruzzi, i particolare l'amico Raul Gardini, i Merloni. Da ricordare che Prodi figura tra i tre "saggi" (Prodi, De Rita, Susanna Agnelli), assoldati dalle Ferrovie dello Stato per impostare il lucroso affare della Tav (affare che poi passerà all'Istituto di studi e ricerche da lui fondato, Nomisma). Ed ancora oggi lo troviamo tra i più agguerriti assertori della Tav, in barba alla forte protesta delle masse delle zone interessate, come quelle della Val di Susa e ai balbettii di Bertinotti e Pecoraro Scanio.
A metà anni '80 Nomisma fu al centro di un'inchiesta giudiziaria e Prodi ricevette anche un avviso di garanzia.
A parte gli agganci politici ed economici Prodi è anche ben introdotto nelle alte sfere del Vaticano. È un "carissimo amico" del presidente della Cei Camillo Ruini e gode delle grazie di un nutrito stuolo di alti prelati, cardinali e vescovi.
Le sue credenziali di economista liberista borghese a 24 carati gli hanno valso anche il posto nel cerchio ristretto delle sezioni italiane delle due potenti organizzazioni internazionali, Trilaterale e Aspen di cui è stato vicepresidente vicario.
La sua "discesa in campo" coincide con l'avvento del neoduce Berlusconi a Palazzo Chigi. Si dimette dalla presidenza dell'Iri e dopo esser stato più volte indicato come leader del Ppi, nel febbraio 1995, fonda la coalizione dell'"Ulivo" e diviene candidato premier dello schieramento di "centro-sinistra". Nel 1996, sale a Palazzo Chigi, anche con l'appoggio del PRC di Bertinotti. E da capo del governo riprende, come lui stesso annunciò il giorno del suo discorso al Senato, "con determinazione e senza tentennamenti, la privatizzazione delle attività produttive ... per promuovere ... lo sviluppo di un capitalismo efficiente e civile". Ovviamente a spese delle masse alle quali, sempre il giorno della fiducia, annuncia "sacrifici da fare", "flessibilità dei modelli di lavoro", salari differenziati, lavoro interinale, part-time, "lavoro a tempo parziale", "mercato del lavoro in senso federale". Tutto puntualmente mantenuto, con finanziarie di lacrime e sangue, la riforma del mercato del lavoro col famigerato "pacchetto Treu", il raggiungimento dell'obiettivo di portare l'Italia nel gruppo di testa dei paesi aderenti all'euro. E poi ancora la legge antimmigrati e razzista Turco-Napolitano, la controriforma della scuola targata Berlinguer, sono solo alcuni dei capisaldi che hanno caratterizzato il governo Prodi.
Rimane a capo dell'esecutivo fino all'ottobre 1998, quando Fausto Bertinotti, in disaccordo sulla legge finanziaria, provoca la crisi di governo. Invano Armando Cossutta e Oliviero Diliberto cercano di salvare il governo Prodi staccandosi dal PRC e fondando i Comunisti italiani. Per un solo voto Prodi viene sfiduciato.
Nel marzo 1999, il Consiglio europeo lo designa presidente della Commissione europea, nomina che viene confermata nel settembre dal voto di fiducia del Parlamento europeo, dimostrando di essere l'uomo giusto al posto giusto per pilotare il rafforzamento economico, militare e istituzionale della superpotenza europea nel nuovo millennio. In quell'occasione, significativamente, incassa il caloroso sostegno dei fascisti di AN e di Forza Italia.
Nei cinque anni della sua presidenza è l'artefice di scelte cruciali per l'Ue come l'introduzione dell'euro, l'allargamento a 25 paesi, in particolare dell'Est, il varo della Costituzione europea. Calatosi perfettamente nel ruolo affidatogli dai monopoli europei fin dal suo insediamento è in prima fila a sostenere le politiche liberiste, invocando la flessibilità del lavoro e il taglio delle pensioni di anzianità. Tant'è che è proprio Prodi a tenere a battesimo la famigerata direttiva Bolkestein. Nel marzo 2004, sempre in qualità di presidente della commissione europea, ma già candidato leader in pectore del "centro-sinistra" in Italia si pronuncia contro il ritiro immediato delle truppe italiane dall'Iraq rassicurando così l'Hitler della Casa Bianca, che lui non seguirà le orme di Zapatero.
Nel 2005 diventa presidente dell'Unione e impone le cosiddette "primarie" per dare una investitura popolare alla sua candidatura a leader della coalizione di "centro-sinistra" allo scopo di potersi svincolare dai condizionamenti dei partiti e delle fazioni che la compongono, e per poter rilanciare con più forza il suo disegno del partito democratico
all'americana.
 
31 maggio 2006