Indagine sui fondi per acquisire Antonveneta Blitz al Monte dei Paschi La banca senese, controllata dal PD, è accusata di aggiotaggio e ostacolo a organi di vigilanza Volano gli stracci nel PD:: il sindaco di Siena Ceccuzzi costretto a dimettersi A distanza di poco meno di 7 anni dallo scandalo di bancopoli su cui indagarono le procure di Milano e Roma con alla testa i "furbetti del quartierino", la BPL-BPI di Fiorani, la Unipol di Consorte e le gravi complicità dell'allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio; la Banca Antoniana Popolare Veneta (Antonveneta) è finita di nuovo nel mirino della magistratura. Questa volta se ne occupa la procura di Siena che il 9 maggio ha ordinato una serie di perquisizioni presso Rocca Salimbeni, sede del Monte dei Paschi (MPS), Palazzo Sansedoni, quartier generale della Fondazione e poi negli uffici di Comune e Provincia di Siena, da sempre amministrati da giunte di "centro-sinistra"; perquisite anche le abitazioni e gli uffici di alcuni alti dirigenti del Monte e della Fondazione, con alla testa l'ex presidente della banca e attuale presidente dell'Abi (Associazione Bancaria Italiana) Giuseppe Mussari, e gli uffici di Mediobanca, Credit Suisse, Deutsche Bank, e naturalmente Antonveneta, con blitz mirati fra Milano, Roma, Padova, Mantova e Firenze. Per ora quattro persone sono state iscritte nel registro degli indagati e sono tutte accusate di ostacolo all'autorità di vigilanza; si tratta dell'ex direttore generale del MPS Antonio Vigni e dei tre componenti del collegio sindacale dell'epoca: Tommaso Di Tanno, Leonardo Pizzichi e Pietro Fabretti. Il secondo filone, per aggiotaggio, è invece al momento contro ignoti. La torbida acquisizione di Antonveneta Al centro dell'inchiesta c'è l'acquisizione a dir poco sospetta di Antonveneta; gli inquirenti vogliono capire perché il MPS si è letteralmente svenato per portare a termine l'operazione. Chiuse la indagini su bancopoli, a fine 2007, il Banco Santander acquisisce la banca veneta. Il prezzo pagato fu di 6,6 miliardi di euro. Ma, dopo solo due mesi, siamo già ai primi del 2008, gli spagnoli accettano l'offerta del MPS e vendono a un prezzo astronomico: circa 10 miliardi di euro realizzando profitti per quasi 4 miliardi. Un'operazione che proietta il MPS nel Ghota della finanza italiana e europea conclusa praticamente alla chetichella col beneplacito consenso sia della Consob che di Bankitalia. Ora però si scopre che il Monte fece il passo più lungo della gamba, s'indebitò fino al collo e cercò nei mesi successivi all'acquisto di rientrare dai debiti con una serie di operazioni finanziarie ben oltre i limiti legali. Per concludere l'affare la banca senese chiama in causa Jp Morgan, con un aumento di capitale di 5 miliardi. Qualche mese dopo, nel settembre 2008, col fallimento di Lehman Brothers e l'inizio della crisi, l'operazione Antonveneta, che già era apparsa onerosa, si rivelava un salasso per i forzieri del MPS prosciugando il capitale della banca e tutto il patrimonio della Fondazione che ne deteneva la maggioranza assoluta. Secondo la procura, una parte dell'aumento di capitale che accompagnò l'acquisizione è in realtà un prestito che doveva essere rimborsato, fino all'ultimo centesimo e con tanto di interessi. In pratica l'aumento di capitale non c'è stato anche perché, secondo le risultanze dell'inchiesta, Jp Morgan si è appoggiata ad altri tre istituti di credito: Leonardo, Credit Suisse, Mediobanca che sottoscrissero obbligazioni convertibili in azioni di diritto lussemburghese. Si tratterebbe, a detta dei magistrati, solo di uno schermo, perché, spulciando le carte, salta fuori che in realtà le tre banche avrebbero siglato accordi diretti con la Fondazione MPS: questi accordi, secondo le Fiamme gialle, sarebbero stati imperniati su degli swap, ossia su sofisticati derivati di tipo asiatico. Non a caso il MPS ha eliminato, nelle comunicazioni alla Banca d'Italia a e alla Consob, proprio il capitolo swap. Il bubbone scoppia quando, di fronte all'incalzare della crisi economica e finanziaria, l'Eba, l'autorità bancaria europea, chiede alle banche di rafforzare il proprio patrimonio. MPS è costretto a chiedere un prestito da 600 milioni di euro, varato da un pool di istituti di credito, offrendo in pegno le azioni della banca e la conseguente sottoscrizione di una serie di clausole finanziarie che fra l'altro prevedono che: nel caso in cui il valore delle azioni del Monte scivoli sotto una certa soglia, la banca dovrà farvi fronte pagando altro contante. Motivo per cui uno dei filoni dell'inchiesta è incentrato proprio sulla guerra fra creditori e debitori sui titoli MPS. La procura pensa che il valore delle azioni sia stato gonfiato dai dirigenti del Monte, per tenere alto il titolo ed evitare così di versare cifre ingenti, come sarebbe accaduto se si fosse scesi sotto una certa soglia; dall'altra parte invece qualcuno provò a far precipitare le azioni per costringere MPS a versare ulteriore denaro a garanzia di un pegno. In pratica ci sarebbe stata una manipolazione del mercato, cioé un aggiotaggio, con un abbassamento inspiegabile del titolo fino a gennaio 2012. La guerra intestina del PD L'inchiesta rischia di provocare un vero e proprio terremoto politico-giudiziario in quello che rappresenta il cuore del sistema di potere d'alemiano caratterizzato dalla ferrea commistione fra politica, magistratura, università, chiesa e massoneria. Dove la politica, attraverso gli enti locali, Comune e Provincia su tutti, controlla la Fondazione. Che a sua volta controlla la banca. Che a sua volta dispensa assunzioni, poltrone, nomine, finanziamenti e restituisce alla Fondazione, sotto forma di dividendi, le risorse che a questa servono per finanziare Enti e associazioni cittadine di ogni genere che a loro volta garantiscono un sicuro ritorno elettorale. Non a caso il MPS è stato sempre considerato la "cassaforte" del PCI-DS-PD e spesso la disputa per il suo controllo è stata la causa delle furibonde guerre intestine scatenate all'interno del PCI, dei DS (dalemiani e veltroniani si sono scannati a più riprese intorno a Fondazione e MPS) e del PD: l'ultimo duello infatti è stato tra ex DC ed ex PCI per la successione a Mussari, vinto ancora una volta da D'Alema che alla presidenza ha piazzato Alessandro Profumo e come suoi vice ha imposto Turiddo Campani, ex capo di Unicoop, e Marco Turchi, figlio di un ex revisore dei conti del PCI con conseguente ulteriore emarginazione della componente ex-margherita. Adesso Profumo deve ragranellare entro breve tempo i circa 2 miliardi necessari per il prossimo aumento di capitale del MPS e tentare di salvare il salvabile. Mentre sul fronte politico la resa dei conti è già cominciata il 28 aprile scorso quando 7 consiglieri della maggioranza di "centro-sinistra" hanno votato contro il rendiconto consuntivo presentato dal sindaco Franco Ceccuzzi, ex segretario dei DS senesi ed ex deputato PD, eletto alle comunali appena un anno fa. L'epilogo di questa autentica guerra per bande scatenatasi all'interno del PD intorno alle nomine al MPS è giunto il 21 maggio con Ceccuzzi che, preso atto del fatto che non ha più una maggioranza che lo sostiene, è stato costretto a dimettersi per non finire nuovamente impallinato dai "franchi tiratori" della Margherita che adesso pretendono qualche poltrona in più in Comune che insieme alla Provincia nomina 13 dei 16 consiglieri della Fondazione Mps che a sua volta controlla il 36,5% del Monte dei Paschi. Altro che "passione politica" e "impegno al servizio dei cittadini"; l'unica cosa che interessa veramente ai boss politici del PD è il proprio tornaconto economico, politico ed elettorale! 6 giugno 2012 |