Mentre sbarcano i primi soldati del contingente italiano I nazisti sionisti mantengono il blocco aereo e navale sul Libano Salutando il successo dello sbarco dei primi soldati italiani del contingente dei "caschi blu" a Tiro il ministro della Difesa italiano Arturo Parisi in un incontro con la stampa estera a Roma il 5 settembre ha sottolineato che "l'obiettivo è di arrivare a 5 mila unità nell'arco di 10 giorni. Israele ha posto questa condizione per lasciare il sud del Libano". Tanto per ribadire che l'intervento dell'Onu in Libano avviene secondo le modalità definite nella risoluzione 1701, preparata col consenso di Israele, e secondo le condizioni temporali stabilite dai sionisti. Che impongono tra l'altro il mantenimento dell'illegale blocco aereo e navale sul paese mediorientale nonostante le richieste del segretario dell'Onu, Kofi Annan, e quelle del governo di Beirut. Il governo libanese in una lettera al segretario generale dell'Onu inviata il 5 settembre ha accusato formalmente Israele di "violare la risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Israele interpreta a suo favore la risoluzione e pertanto chiediamo di non permettere allo Stato ebraico di sfidare le decisioni del Consiglio di Sicurezza". Dal 2 settembre il presidente del parlamento libanese Nabih Berri e altri 90 deputati hanno iniziato un sit-in permanente nel parlamento fino a quando Israele non rimuoverà l'embargo. In un discorso trasmesso da tutte le televisioni libanesi Berri ha dichiarato che "vogliamo ricordare al mondo, e specialmente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che il blocco è un atto di guerra contro uno Stato membro dell'Onu e una evidente violazione della risoluzione 1701" e "una continuazione della guerra terroristica israeliana". I pescatori di Sidone annunciavano che davano "dieci giorni al governo, alle Nazioni Unite, alle forze multinazionali per porre fine al blocco". Dopodiché "con gli altri pescatori libanesi sfideremo il blocco con le nostre barche". Stessa denuncia da parte dei pescatori di Tiro: "Siamo alla fame - affermava il segretario del loro sindacato - gli israeliani continuano il loro blocco aereo e navale e ci sparano addosso appena usciamo dal porto. Da 55 giorni non possiamo pescare, per di più in un periodo come quello estivo che per noi è particolarmente redditizio. C'è il cessate il fuoco, c'è la pace, perché Israele non ci fa pescare? Se così facendo vogliono metterci contro la resistenza si illudono". E accoglievano lo sbarco del contingente italiano il 2 settembre con: "mandano tutti questi soldati e poi non fanno rispettare ad Israele, non dico tutte le risoluzioni sul ritiro dai territori occupati, come sarebbe giusto, ma neppure questa sul cessate il fuoco. Noi vogliamo bene all'Italia. Ma se non riuscite neppure a farci pescare che ci venite a fare? A proteggere solo il confine con Israele?". Davanti la rada di Tiro era arrivato il gruppo navale italiano, composto dalla portaerei Garibaldi, dalle tre navi da sbarco ''San Marco'', ''San Giorgio'', ''San Giusto'' e dalla corvetta di scorta ''Fenice'', che scaricavano i primi soldati del Reggimento Lagunari Serenissima dell'Esercito e la fanteria di marina del battaglione San Marco. Sui mezzi cingolati i soldati si dirigevano alla base di Jebel Maroun, 30 chilometri a est di Tiro, sede del comando operativo del contingente. In una zona devastata dalla guerra e infestata da oltre 100.000 bombe e contenitori di cluster bomb seminate dagli agressori sionisti. L'1 settembre a Roma il vice premier israeliano Shimon Peres e Prodi si scambiavano eloquenti complimenti. A Peres che ricordava come "se l'Italia non si fosse impegnata, probabilmente la risoluzione delle Nazioni unite sarebbe rimasta solo sulla carta" rispondeva Prodi con un "caloroso ringraziamento perché senza il costruttivo impegno di Israele non si sarebbe potuta applicare la risoluzione 1701 dell'Onu". Nessuna parola sulle denunce libanesi e dell'Onu sull'illegale blocco sionista al Libano. Prodi salutava il "vecchio amico, noto per il suo impegno per la pace e la stabilizzazione del Medio Oriente". Che da capo di governo schiacciava coi carri armati la resistenza palestinese all'occupazione, nella stessa misura del boia Sharon, e che da vice premier di Olmert ha condiviso l'aggressione al Libano. La principale preoccupazione dei due infatti era il tema del controllo delle frontiere del Libano con la Siria, per impedire l'armamento di Hezbollah. "La risoluzione dell'Onu - sottolineava Peres - esige il disarmo di Hezbollah. Ci sono diversi modi per farlo. Uno è un embargo sulla vendita di armi, la Siria non deve continuare a vendere missili. Il vero problema è chi saprà controllare le frontiere''. Gli aveva già risposto e dato rassicurazioni il ministro degli Esteri Massimo D'Alema che il 30 agosto aveva ammonito la Siria a non dare armi a Hezbollah "altrimenti non staremo a guardare". Il 28 agosto era arrivato a Beirut in visita il segretario dell'Onu Kofi Annan per discutere con il governo libanese dell'applicazione della risoluzione 1701 sulla "cessazione delle ostilità" e il dispiegamento delle nuove forze dell'Unifil nel sud del Libano. Al premier libanese Fouad Siniora che gli poneva il problema in particolare della "prosecuzione del blocco aeronavale israeliano sul Libano ed il ritiro incompleto israeliano dal nostro territorio, oltre alla questione della fattorie di Shebaa (occupate dai sionisti, ndr) e quella dei detenuti nelle prigioni israeliane" rispondeva solo con la promessa di discutere di questi problemi durante gli incontri che avrebbe avuto nel suo giro regionale, con una tappa prevista anche in Israele. Dopo l'incontro i due visitavano i quartieri di Beirut sud, roccaforti di Hezbollah e semidistrutti dall'aviazione di Tel Aviv durante i 34 giorni di attacchi. Una visita interrotta rapidamente dopo che dalla folla si sono levate grida contro Annan accusato di essere "un agente degli americani". E infatti il 30 agosto Annan incassava da Olmert senza batter ciglio il no israeliano alla fine del blocco aero-navale, come nel vuoto cadeva il suo appello alla fine degli attacchi israeliani nella striscia di Gaza. Eppure lo stesso giorno all'Onu Jan Egeland, sottosegretario generale per gli affari umanitari dell'Onu denunciava l'uso da parte di Isreale delle proibite bombe a grappolo in Libano. "Quello che è scioccante, e per me completamente immorale,- affermava Egeland - è che il 90 per cento degli attacchi con bombe a grappolo sia avvenuto nelle ultime 72 ore del conflitto, quando sapevamo che si era vicini alla risoluzione dell'Onu e quindi alla fine della guerra". Secondo l'Unmas (Coordinamento delle Nazioni unite per l'azione anti-mine) l'85 per cento delle aree bombardate nel sud del Libano è disseminato di circa 100mila bombe a deframmentazione inesplose, localizzate in 359 siti. Le operazioni di messa in sicurezza delle aree colpite dagli ordigni inesplosi, secondo gli organi competenti dell'Onu, richiederanno dai dodici ai quindici mesi. Dal cessate il fuoco iniziato lo scorso 14 agosto, fonti dell'esercito libanese hanno dichiarato che "11 persone sono rimaste uccise e 50 ferite" a causa delle munizioni non deflagrate, di cui una gran parte sono le famigerate bombe a grappolo. Alle accuse Onu il portavoce del primo ministro sionista, Miri Eisin, rispondeva che Israele non aveva commesso nessuna illegalità; infatti Israele non ha mai ratificato i trattati di Ottawa del 1997 che proibiscono l'impiego di armi come le bombe a grappolo e quindi non può violarli. I sionisti nazisti hanno compuito in Libano crimini di guerra ma non ne risponderanno grazie anche alla copertura dei paesi imperialisti che si sono presi l'impegno di controllare la resistenza libanese. Alle pressioni sioniste affinché il compito principale dei "caschi blu" sia il disarmo di Hezbollah ha risposto il 28 agosto Haj Hassan Hudrush, membro dell'Ufficio politico del movimento libanese, affermando che la resistenza quindi continuerà e che "non vi sarà alcun disarmo finché Israele non lascerà tutti i territori occupati libanesi, sia di quelli dell'ultima guerra che delle fattorie di Sheba, finché sarà necessario difendere il Libano dalle aggressioni israeliane, e finché non saranno stati liberati i prigionieri nelle carceri israeliane. Resistere non è tanto una scelta quanto una necessità e su questo tutti i libanesi sono d'accordo". "La risoluzione 1701 - affermava Hudrush - si limita ad assegnare all'esercito libanese e alle forze internazionali che ne dovrebbero sostenere l'azione il compito di prevenire una nuova guerra sul confine e la ripresa di attività militari nel sud del Libano. Questo paragrafo non ci preoccupa perché quando l'aggressione sarà terminata e il ritiro israeliano completato, non ci saranno più attività militari pubbliche. Se non c'è occupazione non ci sarà resistenza. Ovviamente resteremo a sud del fiume Litani ma non mostreremo le nostre armi. I combattenti degli Hezbollah sono originari del sud del Libano e non sono altro che i giovani che le forze dell'Unifil incontreranno, non con le armi, ma al lavoro nei campi o che li saluteranno seduti al bar a prendersi un caffè. In questi giorni ci sono i funerali dei caduti nei villaggi del sud e potete vedere che in realtà a difendere il Libano è stato un popolo in armi, non un esercito o una milizia. E se hanno combattuto con così grande determinazione è stato anche perché stavano difendendo le loro case". 6 settembre 2006 |