CISL e UIL indicono uno sciopero ambiguo che divide lavoratori e popolazione tarantina e favorisce i ricatti aziendali Bocciato il piano di risanamento presentato dall'Ilva Nazionalizzare lo stabilimento senza indennizzo e tutelare salute, lavoro e ambiente con l'Ilva aperta Il giudice per le indagini preliminari (gip) Patrizia Todisco, la stessa che a fine luglio aveva accusato l'Ilva di Taranto di reati gravi (disastro ambientale doloso e colposo, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico) e stabilito per decreto il sequestro dei reparti a caldo ha respinto, sulla base del giudizio consegnato dai custodi giudiziari nominati dal Tribunale, il "piano di risanamento" proposto dal presidente Bruno Ferrante per un totale di 400 milioni di euro, definito "inadeguato e sconcertante" e ribadito gli arresti domiciliari dei proprietari Riva e del vertice dello stabilimento tarantino. Il piano presentato è considerato una "colossale presa di giro" che ripropone gli stessi interventi concordati dall'Ilva con gli enti locali negli anni passati e mai attuati: "non può non rilevarsi con amarezza - scrive Todisco - come tutti gli interventi proposti dall'Ilva nell'attuale istanza siano esattamente quelli facenti parte di due atti d'intesa adottati l'8 gennaio 2003 e il 7 febbraio 2004 e molti di essi dovevano già essere realizzati da diversi anni". Impegni vecchi, rimasti sulla carta e comunque inadeguati ad affrontare gli interventi necessari per eliminare l'inquinamento e risanare l'ambiente circostante la fabbrica. "Non c'è spazio per proposte al ribasso - sostiene Todisco - da parte dell'Ilva circa gli interventi da svolgere e le somme da impegnare. I beni in gioco, salute, vita, ambiente e anche il diritto a un lavoro dignitoso ma non pregiudiziale per la salute di alcun essere umano, lavoratore compreso, non ammettono mercanteggiamenti". Alla pretesa (e al ricatto) dell'azienda di legare, anzi subordinare gli interventi per abbattere le emissioni inquinanti, che vuol dire anche rinnovare gli impianti specie quelli a caldo, trovare una soluzione adeguata per i parchi dei materiali ferrosi, e bonificare l'ambiente al proseguimento della produzione di acciaio, peraltro mai fermata e anzi aumentata in questi mesi, il magistrato tarantino risponde così: "Una richiesta a dir poco sconcertante prescindendo da qualsiasi considerazione in merito alla perpetuazione che sarebbe implicata dal provvedimento di accoglimento, di situazioni lesive e pericolose per la salute degli abitanti di Taranto e dei lavoratori dell'Ilva". Su questo punto il gip afferma con grande fermezza che "la ripresa delle attività produttiva è subordinata all'effettivo ripristino della legalità violata al ristabilimento delle condizioni di assoluta sicurezza per la salute della popolazione locale, dei lavoratori e dell'ambiente". Rabbiosa la reazione dell'azienda che è tornata velatamente a minacciare il trasferimento dell'Ilva all'estero, Turchia, Tunisia o in altri paesi dove i governanti sarebbero disposti a chiudere gli occhi e a essere molto più accondiscendenti sui limiti di inquinamento consentiti, e mettere sul tavolo una conseguenza di 20 mila licenziamenti tra diretti e indiretti. Il presidente Ferrante, seguendo un suo personale codice, ha affermato che non può essere la magistratura a decidere la chiusura dell'Ilva, una eventualità questa mai accennata da nessun magistrato che si è interessato della vicenda, dalla Procura alla Todisco al Tribunale del riesame. Affermando con faccia tosta che "a Taranto non c'è nessuna emergenza ambientale", ha annunciato un nuovo ricorso ma soprattutto si è appellato alla politica, ossia al governo, in particolare al ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, che attualmente sta lavorando per la definizione delle nuove regole dell'Aia (Autorizzazione integrata ambientale) previste per metà ottobre; tramite le quali l'Ilva spera di aggirare le prescrizioni della magistratura tarantina. Sono speranze ben riposte se si considera che Clini fu uno degli artefici principali, assieme all'ex ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo (PDL), nella definizione della attuali regole che hanno permesso l'inquinamento e danni ambientali e alla salute sotto accusa. Il ministro sapeva come andavano le cose all'Ilva. Lo testimonia il direttore dell'Arpa della Puglia, Giorgio Assennato, considerato un nemico dall'azienda perché non corruttibile. Il quale, nel suo intervento nell'Assemblea nazionale delle delegate e dei delegati FIOM della siderurgia, tenutasi a Taranto il 28 settembre, ha detto di aver consegnato a Clini centinaia di documenti a sostegno della necessità che l'Aia contempli anche i danni arrecati alla salute "ma Clini continua a credere che la salute e l'ambiente non debbano far parte dell'Aia". Comprensibile la preoccupazione dei lavoratori e la mobilitazione che ha fatto seguito alla decisione della Todisco di respingere il piano aziendale, sulla cui genuinità però ci sono molti dubbi, incoraggiata, quando non direttamente promossa dai capi aziendali, che sono stati visti addirittura portare cibo e bevande nei presidi di lotta. Così come ambiguo, per non dire sbagliato e deleterio, è lo sciopero indetto da FIM-CISL e UILM-UIL indirizzato a contestare le decisioni della magistratura, che fa solo il suo dovere, e non la proprietà dell'Ilva che allo stato, non intende mettere in campo gli investimenti necessari (altro che 400 milioni) per realizzare subito gli interventi e gli ammodernamenti certo per salvaguardare il lavoro ma insieme alla salute e all'ambiente. Lo sciopero così inteso ha avuto come conseguenza deleteria quella di creare divisioni tra lavoratori e popolazione tarantina, specie del quartiere Tamburi maggiormente colpito dagli effetti velenosi dell'inquinamento. La FIOM aveva chiesto a CISL e UIL di sospendere lo sciopero "di cui non sono chiare le ragioni" per tenere con i lavoratori assemblee unitarie per definire i contenuti di una piattaforma e le conseguenti iniziative di lotta. Nell'Assemblea nazionale dei delegati della siderurgia sopra citata, riguardo all'Ilva viene sottolineata la scelta di definire una piattaforma rivendicativa unitaria per aprire una vertenza di gruppo in difesa del lavoro e della salute dentro e fuori della fabbrica e per la continuità produttiva. Ciò "per unire i lavoratori, la città e le istituzioni nel pieno rispetto della magistratura". Ci vuole un vero e adeguato piano di investimenti. Occorre "costringere l'Ilva - si legge nel documento finale approvato all'unanimità - a investire le risorse necessarie per produrre nel rispetto della salute e dell'ambiente". In questa piattaforma rivendicativa, da definirsi unitariamente con i lavoratori, non può essere esclusa, anzi va presa in seria considerazione l'ipotesi della nazionalizzazione senza indennizzo specie se i Riva non intendono impegnarsi finanziariamente, come sembra, per sostenere tutti gli interventi, nessuno escluso, necessari in fabbrica e fuori; se i Riva vorranno procedere, come più volte hanno manifestato, nel trasferimento dell'Ilva all'estero. Noi rimaniamo convinti che la nazionalizzazione sia la scelta migliore e più sicura per realizzare un piano complessivo che tuteli salute, lavoro e ambiente e impedisca la smobilitazione di un settore strategico per il nostro Paese, quello della produzione dell'acciaio. 3 ottobre 2012 |