Con un decreto del consiglio dei ministri Brunetta vuol trasformare in una caserma il pubblico impiego Introdotta per la prima volta la meritocrazia. Il premio intero lo riceverà solo il 25% del personale più in alto nella classifica annuale. Incrementata la mobilità. Giro di vite sui provvedimenti disciplinari e sulle sanzioni. All'angolo i sindacati. La class action slitta al 2010 Non poteva essere peggiore di così lo schema di decreto legislativo proposto dal ministro Renato Brunetta e approvato dal consiglio dei ministri l'8 maggio scorso che dà attuazione alla delega contenuta nella legge n.15/2009 in materia di "ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficenza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni". Ne dà attuazione peggiorandone ulteriormente i contenuti che già erano gravissimi e assolutamente inaccettabili. L'iter previsto per l'approvazione definitiva del decreto è il seguente: Il testo passa al vaglio delle parti sociali, attraverso il Cnel, della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari che esprimeranno i loro parere. Il tutto deve avvenire tassativamente entro due mesi. "Se non sarà approvato entro 60 giorni - ha persino minacciato il ministro - mi dimetto". Brunetta ama propagandare la sua "riforma" come una "rivoluzione": Quando in realtà si tratta di una generale e devastante controriforma del pubblico impiego di stampo neofascista che, con un colpo solo, cancella anni e anni di lotte, demolisce il contratto nazionale, mette fine alla libera contrattazione collettiva e di conseguenza assesta un colpo mortale al ruolo e alla funzione del sindacato, introduce meccanismi salariali cosiddetti meritocratici tendenti a dividere i lavoratori "premiandone" solo una minima parte, trasforma i dirigenti in aguzzini, prevede norme poliziesche e sanzioni punitive davvero abnormi. In nome della lotta contro i "fannulloni", che è stata oggetto di una infame campagna per carpire il consenso popolare, il governo vuole trasformare il pubblico impiego in una caserma. Il licenziamento e il carcere A esaminare le misure contenute nello schema del decreto legge colpiscono la demagogia e la pesantezza estrema dei provvedimenti previsti. Il pregiudizio che veicolano tali provvedimenti è che il lavoratore pubblico sia per sua natura uno scansafatiche, uno che ruba lo stipendio, un assenteista cronico per cui va controllato a vista e perseguito senza mezzi termini. Non solo con l'avvertimento scritto, la sospensione dallo stipendio ma anche e soprattutto con il licenziamento che diverrà più facile attuare perché vengono ampliati i motivi e semplificate le procedure. La novità in questo campo riguarda l'introduzione del licenziamento disciplinare che prende il posto della destituzione, gestito da un ufficio competente presso le varie amministrazioni. Per perdere il posto basterà farsi timbrare il cartellino da un collega senza essere presenti in servizio o giustificare un'assenza con false attestazioni mediche. Oppure accumulare 3 giorni di assenza ingiustificate in un biennio o 7 giorni in 10 anni. Oppure non riprendere servizio in caso di assenza ingiustificata entro il termine fissato dall'amministrazione. Inoltre si perderà il posto in caso rifiuto di un trasferimento d'ufficio. Lo stesso avverrà anche per false dichiarazioni nello stato di servizi in caso di condanna penale all'interdizione dai pubblici uffici. Ma c'è di più e peggio. Nel decreto Brunetta è previsto anche il carcere da uno a cinque anni, oltre alla multa da 400 a 1.600 euro per "false attestazioni e certificati medici". "L'inasprimento della pena sui falsi certificati medici - è stata la risposta di Carlo Lusetti, segretario dei sindacati dei medici - mi sembra solo un'opera di propaganda". "Il reato di falsa certificazione - ha aggiunto - già esisteva. Inasprire la pena mi è sembrata una cosa 'fumosa', tanto più che sono pochissimi i medici accusati e condannati per questo reato. Insomma non c'era bisogno di aggiungere questa norma". Le nuove misure disciplinari si caratterizzano dunque per l'ampliamento della casistica entro cui si attua il licenziamento, mischiando infrazioni di diversa gravità tra loro e introducendo casi, come il rifiuto del trasferimento che dovrebbe essere materia di contrattazione sindacale, con l'inasprimento esagerato delle sanzioni. Ci penseranno i dirigenti a procedere velocemente per evitare a loro volta provvedimenti disciplinari. I lavoratori invece avranno meno possibilità di difendersi. Il bastone e la carota Per mettere in riga i dipendenti pubblici Brunetta pensa di usare il bastone e la carota, per la verità molto bastone e poca carota, giacché il sistema meritocratico proposto, da attuarsi attraverso il salario accessorio, è per pochi. Ecco cosa prevede il decreto: al termine di ogni anno di lavoro, il personale sarà giudicato sulla base di una graduatoria ancora tutta da definire, il 25% dei dipendenti che si troverà ai primi posti della classifica riceverà il premio intero; il 50% della fascia centrale avrà premio dimezzato; infine l'ultimo 25% che finirà in fondo alla classifica non avrà niente. Un metodo di incentivazione di chiara marca padronale che finirà per tagliare il salario a una buona parte dei lavoratori, visto che attualmente il premio produttività a cifra piena è percepito dal 90% dei dipendenti, per alimentare casi di discriminazione e di clientelismo e per demotivare la maggioranza dei lavoratori. Ciò non sarà nemmeno oggetto di contrattazione con i sindacati ma sarà deciso da "Organismi di valutazione" nominati. Il che presuppone un controllo asfissiante e poliziesco sulle prestazioni dei singoli lavoratori da parte delle amministrazioni in generale e dei dirigenti in particolare, adeguatamente remunerati per questo. A proposito del bastone, i lavoratori che si troveranno per due volte di fila in fondo alla classifica possono essere licenziati per "scarso rendimento". Nemmeno nelle aziende private si è arrivato a tanto! Ma in questo campo c'è una nefandezza ancora più grave ed odiosa nascosta tra le righe. Le amministrazioni potranno licenziare i dipendenti che si trovano in uno stato permanente di inidoneità psico-fisica a svolgere il servizio affidato. Fino ad ora a questi lavoratori gli è stato trovato un posto all'interno della pubblica amministrazione adeguato alle condizioni fisiche. Cancellata la contrattazione sindacale Una delle caratteristiche principali di questa controriforma è proprio quella di ingabbiare il contratto nazionale, di cancellare la contrattazione collettiva, compresa quella decentrata, di metter fuori gioco i sindacati dei lavoratori. Come? Eliminando, di fatto, la contrattualizzazione del rapporto di lavoro nei suoi vari aspetti, affidando alla legge il compito di fissarne i termini in modo autoritario. Praticamente tutti gli istituti del rapporto di lavoro che si parli di inquadramento, di progressione economica, di incentivi e altro ancora, vengono sottratti alla contrattazione e decisi per legge (ossia dal governo). Basti dire che, in caso di rinnovo del contratto nazionale, il governo può decidere quanto stanziare nella legge finanziaria, indipendentemente da quanto richiesto nelle piattaforme sindacali, e, in assenza di accordo, dopo tempi brevi procede unilateralmente a distribuire gli "aumenti". Sia per la contrattazione nazionale che per quella decentrata il vincolo di bilancio (deciso dal governo) diventa un ostacolo insormontabile nella definizione delle modifiche economiche e normative. Il provvedimento in questione ha tra l'altro rinviato in modo arbitrario e strumentale le elezioni delle Rsu nel pubblico impiego in scadenza, con la scusa del loro adeguamento al nuovo modello contrattuale neocorporativo. Altra novità partorita dal ministro vessatore è quella di accorpare tutti i rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici che attualmente sono 12, in due soli contratti: uno per gli statali e l'altro per i dipendenti delle amministrazioni decentrate (regioni, enti locali, ecc.). Una modifica questa che ha suscitato immediate e forti proteste che forse hanno convinto Brunetta a una revisione degli accorpamenti fissandoli in quattro comparti: apparato dello Stato, scuola, sanità, enti locali. Quand'anche fosse così, molti sarebbero i problemi riguardo alla rappresentatività sindacale e all'omogenizzazione dei trattamenti normativi. Tutto è fatto, sostiene il ministro, a difesa del cittadino-utente. Falso! Altrimenti dovrebbe spiegare come mai dal testo del decreto è scomparsa la class-action, che è lo strumento giuridico cui possono ricorrere gruppi di cittadini per contestare dei torti subiti dalla pubblica amministrazione. Le reazioni dei sindacati I sindacati non confederali hanno definito il decreto "un attacco senza precedenti ai servizi pubblici" e annunciato la preparazione di uno sciopero generale della pubblica amministrazione. Giudizio negativo dalla Cgil. Carlo Podda, segretario della Funzione Pubblica del massimo sindacato nazionale arriva a definire il decreto un vero "colpo di Stato". "Il Consiglio dei ministri - dice - ha varato un decreto attuativo sul pubblico impiego che, di fatto, mette fuori gioco sindacati ed enti locali". Con un tratto di penna si svuota di significati "la democrazia in tutti i posti di lavoro della pubblica amministrazione". Se a tutto questo si aggiunge la volontà di annullare il diritto di sciopero il cerchio si chiude. Meno prevedibile la dura protesta espressa unitariamente dai sindacati delle forze di polizia. "Dopo aver dichiarato guerra ai sindacati, alla libertà dei lavoratori e alla democrazia delle rappresentanze - si legge in un loro comunicato - Brunetta intende passare ai fatti: con la proposta di modifica dell'impianto della 195/95, che contiene le norme base per l'esercizio dell'azione sindacale". La stessa Cisl questa volta non ha potuto tacere, anche perché parti non secondarie del decreto sono in conflitto con quanto stabilito con l'accordo separato sottoscritto il 30 aprile scorso sul modello contrattuale per il pubblico impiego. È intervenuto il segretario generale della Cisl Bonanni: "Le riforme nel lavoro e nel pubblico impiego si fanno attraverso discussioni trasparenti tra governo e sindacato - ha detto - o Berlusconi torna indietro o noi protesteremo fortemente contro questa iniziativa arbitraria". "Siamo molto irritati - ha aggiunto - per questa invasione di campo della politica che, su una partita come quella del pubblico impiego se la canta e se la suona". Un'accusa che da parte sindacale viene mossa al decreto attuativo è che esso ha invaso illegittimamente tematiche che non facevano parte della legge delega. Vi sono inoltre sospetti di incostituzionalità là dove esso va a ledere prerogative che giuridicamente sono di competenza delle regioni e degli enti locali. Non ci possono essere dubbi: il decreto Brunetta va respinto con forza, la risposta di lotta dei lavoratori deve essere tempestiva e generalizzata al massimo livello! 8 luglio 2009 |