Sulle colonne del compiacente quotidiano della famiglia Berlusconi L'ex "rivoluzionario" operaista Cacciari ora inneggia al federalismo e al presidenzialismo Nonostante l'immagine da intellettuale tenebroso, in virtù di una barba accuratamente tinta e con tutta evidenza considerata dal nostro fondamentale per essere scambiato per filosofo nei salotti buoni; nonostante l'aplomb tragico, aristocratico e sprezzante tipico del menagramo che lancia anatemi contro la modernità, dopo essersi lasciato affascinare come una verginella dalle opere delle teste d'uovo più reazionarie della storia del pensiero (Nietzsche, Heidegger e Junger); nonostante la sua lunga e opportunistica militanza politica dalle sette trotzkiste e operaiste al PCI, poi ai DS, all'asinello di Prodi, al teocon piacione Rutelli; nonostante tutto questo trotterellare da una banda all'altra del potere borghese per conquistarsi fama e credibilità sulla scena nazionale, Massimo Cacciari negli ultimi anni è balzato agli onori delle cronache del Paese soltanto grazie al neoduce Berlusconi, che alla stampa, non molto tempo fa, lo svelò quale amante dell'annoiata e intellettualoide Lady Veronica Chatterly. Scoprimmo tutti, così, che il nostro malinconico, arrogante, vanesio e in fin dei conti politicamente inconcludente Doge di Venezia, trombato a un'elezione regionale nonostante il suo spingersi sempre più a destra, almeno non si tinse la barba per nulla. Sulle orme dei golpisti Confinato nel suo feudo veneziano dai Stanlio e Ollio della "sinistra" borghese, Walter Veltroni e Massimo D'Alema, per averne insidiato in passato la pluridecennale leadership politica, oggi è ancora il neoduce Berlusconi a tenere mediaticamente in vita con l'ossigeno Massimo Cacciari, col fogliaccio della sua famiglia Il Giornale, a cui il nostro ha concesso un'intervista in cui ha esaltato il federalismo e il presidenzialismo, guarda caso le due colonne portanti su cui è destinata a poggiare la terza repubblica neofascista secondo il disegno piduista del cavaliere nero, prestandosi a fare da ponte tra le posizioni dei razzisti secessionisti della Lega Nord e dei fascisti presidenzialisti di AN. Bontà sua, Cacciari ammette che "la storia italiana abbia una lunga tradizione centralista è innegabile, come il fatto che il Paese non sia nato da una base federalista". Ma dato che "il Paese non esce dalla secca senza una riforma di questo tipo", l'ineffabile Cacciari dalla sua biblioteca colma di opere di autori arciconservatori ha pescato gli scritti di Miglio, "che su queste cose considero il mio maestro". Proprio quel Miglio, quel vecchio arnese craxiano e padre del secessionismo fascio leghista che, illustrando i fini del proprio rigetto di "riforma" golpista e criminosa della Costituzione del '48 in un'intervista al solito Il Giornale del 20 marzo 1992, arrivò a dichiarare: "Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta... io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità" (dalle Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI). Tra fascioleghismo e destra sociale Oltre a riprendere le idee di Miglio sul Senato delle autonomie, il federalismo fiscale, i partiti come espressioni interclassiste di un territorio specifico sul modello delle varie leghe nate negli anni Ottanta e la nascita di nuove macroregioni che hanno già messo in preventivo l'idea di un meridione abbandonato alle mafie e trasformato in un paradiso off-shore defiscalizzato, Cacciari rilanciando le "riforme" istituzionali, reclamate dal neoduce Berlusconi, si affretta a precisare che, oltre al federalismo, "poi servirebbe un rafforzamento dell'esecutivo e personalmente non sarei contrario nemmeno alla formula del presidenzialismo". Come prova il libro intervista Duemilauno. Politica e futuro, pubblicato da Feltrinelli, muovendo da un'antropologia fosca e ultra-reazionaria per cui "l'uomo è troppo cattivo per essere libero", contro la riduzione dell'uomo a mero consumatore globalizzato Cacciari farnetica a favore di un'illusoria globalizzazione dal basso che valorizzi delle fantomatiche comunità originarie e il principio di sussidiarietà, facendo suo il concetto neofascista di welfare community, cardine delle riflessioni di camerati come Alemanno e Storace e riviste di estrema destra come Area. Queste strampalate "comunità del benessere" autonome e federate, essendo l'uomo "troppo cattivo per essere libero", secondo Cacciari non sarebbero però in grado di autogovernarsi: da qui l'esigenza di un potere sovrano che decida con autorità (presidenzialismo mussoliniano). A furia di spingersi a destra, Cacciari ha finito per spasimare per la sciagurata sedicente "repubblica sociale italiana", affossata dalla gloriosa Resistenza partigiana, ma per la quale cui evidentemente Cacciari da tutta la vita sta cercando di proporre una nuova versione più attuale e "colta". Sfortunatamente per lui il Partito del proletariato è vigile e l'ha già smascherato agli occhi delle masse per il neofascista qual è. 21 gennaio 2009 |