L'appetito dei controriformatori vien mangiando Cade il tabù della prima parte della costituzione Accordo PD-PDL su modifiche "strettamente connesse" alla revisione della forma di Stato e di governo e del bicameralismo Fermare il golpe presidenzialista con la lotta di piazza Il copione è ormai arcinoto e ripetuto fino alla nausea: comincia il PDL con una "proposta indecente" su questa o quella norma da cambiare a beneficio - manco a dirlo - di Berlusconi; subito accolta da "reazioni indignate" di esponenti PD, giuranti e spergiuranti che tali proposte non erano nei patti e quindi non passeranno mai, piuttosto cade il governo. Seguono poi alcuni giorni di tira e molla, con dichiarazioni via via più ambigue e concilianti da parte degli stessi; e infine è lo stesso PD a calarsi del tutto le brache e proporre una soluzione "di compromesso" che nell'insieme è ancor peggiore di quella originale. É quel che è successo anche dopo il blitz che i tirapiedi di Berlusconi dentro la commissione Affari costituzionali del Senato, presieduta dalla PD Finocchiaro, hanno sferrato con un emendamento al disegno di legge costituzionale che istituisce la nuova Bicamerale golpista chiamata ad approvare la controriforma neofascista e presidenzialista della Costituzione. Un emendamento, firmato da uno degli avvocati del neoduce, il senatore Donato Bruno, che faceva rientrare dalla finestra il tema della giustizia, tema che gli accordi di maggioranza avevano escluso formalmente dalle modifiche alla seconda parte della Costituzione. Secondo tali accordi recepiti nel disegno di legge (ddl), infatti, i titoli da cambiare sarebbero stati il I, II, III e V, riguardanti rispettivamente il parlamento, il presidente della Repubblica, il governo e gli organi del decentramento (Regioni, Province e Comuni); mentre il IV riguardante la magistratura avrebbe dovuto restarne fuori, in quanto materia troppo controversa, anche a causa del noto conflitto d'interessi del leader plurinquisito e pluricondannato del PDL. L'emendamento del PDL, cancellando semplicemente dal testo del ddl ogni riferimento ai titoli specifici da cambiare, estendeva questa possibilità all'intera seconda parte della Carta, ordine giudiziario compreso. Il blitz, a detta dei giannizzeri del neoduce, non aveva "alcun rapporto" con le sue recentissime condanne, ma era motivato unicamente da esigenze "tecniche", dato che un'eventuale cambiamento della forma dello Stato da parlamentare a presidenziale avrebbe comportato necessariamente anche modifiche alla magistratura, essendo attualmente il presidente della Repubblica anche presidente del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Un'argomentazione tanto cavillosa quanto sfacciatamente strumentale, che tuttavia alla fine è stata accolta in pieno anche dal PD, che pure a tutta prima aveva tuonato contro la "provocazione", lo "strappo inaccettabile", l'"atto di pirateria" del PDL, con il leader dei "giovani turchi", Matteo Orfini, che aveva addirittura minacciato: "Sulla giustizia non si può intervenire. Se qualcuno ci prova, il governo cade". Il voltafaccia della presidenzialista Finocchiaro Questo accadeva il 27 giugno. Neanche una settimana dopo, il 1° luglio, alla vigilia della votazione in commissione Affari costituzionali del ddl sulle "riforme costituzionali" che istituisce la "Commissione dei 40" e che manomette l'art. 138 dimezzando i tre mesi di intervallo tra le due letture delle Camere, cambiando le procedure per arrivare a tappe forzate alla controriforma della Costituzione entro 18 mesi, un vertice dei senatori della maggioranza delle "larghe intese" si accordava per il ritiro dell'emendamento PDL e la contemporanea adozione al suo posto di un altro emendamento, proposto stavolta dalla PD Finocchiaro, relatrice del ddl in Commissione. Tale nuovo emendamento non solo assorbiva da quello del capogruppo PDL Bruno il carattere di grimaldello per scardinare l'intera seconda parte della Carta , ma addirittura lo utilizzava per violare anche il tabù della prima parte, quella definita finora "intoccabile" da tutti. L'emendamento della presidente Finocchiaro, approvato poi dalla Commissione senatoriale con l'intero testo governativo del ddl il giorno successivo, stabiliva infatti che saranno possibili modifiche all'intera Costituzione, senza distinzioni tra prima e seconda parte, purché tali modifiche siano "strettamente connesse" al bicameralismo e al cambiamento della forma dello Stato e del governo. Una soluzione "di compromesso" che andava oltre ogni più rosea aspettativa dello stesso PDL e del suo leader Berlusconi, che si sarebbero "accontentati" di poter mettere finalmente le mani sul capitolo giustizia, mentre invece il PD gli serviva su un piatto d'argento l'intera Costituzione del 1948 da manomettere. E il bello è che con questo accordo il PD ha dovuto anche accettare di rinunciare a qualsiasi ipotesi di modifica del "porcellum", prima che venga approvata l'intera controriforma costituzionale con la nuova legge elettorale ad essa collegata. Così da lasciare a Berlusconi la possibilità di avvalersi sempre del "porcellum" nel caso di caduta prematura del governo e di nuove elezioni anticipate. L'appetito insomma vien mangiando, tanto che la corsa a cambiare la Costituzione è appena partita e già i controriformatori si sono accordati per cancellare il tabù dell'intangibilità della sua prima parte. È solo l'ultimo e il più grave "strappo" alla Costituzione in ordine di tempo, da quando il governo Letta-Berlusconi ha dato il via al processo di controriforma presidenzialista della Costituzione stessa. Cioè la "riforma" della Costituzione sta avvenendo non seguendo le regole previste e stabilite nella Carta stessa, ma proprio attraverso e grazie la loro flagrante e illegittima violazione. E ciò sotto l'occhio imperioso e benedicente del nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, il cui dovere costituzionale sarebbe invece di impedire tale scempio! Affossare la controriforma con la lotta di massa Lo denunciano anche i Comitati Dossetti per la Costituzione, di cui fanno parte autorevoli giuristi e costituzionalisti come Raniero La Valle, Domenico Gallo, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Armando Spataro e molti altri, che in un loro documento mettono in rilievo alcune tra le più gravi di queste violazioni: come il ruolo di "proponente delle riforme costituzionali" che il governo si è arrogato, e per di più coadiuvato da una commissione di esperti da esso stesso nominata. E come l'"imposizione di un limite temporale al progetto di revisione, come se si trattasse dell'approvazione, con caratteri d'urgenza, di una legge ordinaria". "Si tratta pertanto - sottolinea il documento - di una legge grimaldello che fa saltare le garanzie e le regole che la Costituzione stessa ha eretto a sua difesa, e che finché sono in vigore vanno rispettate. Essa contempla che in diciotto mesi vengano cambiati forma dello Stato, forma di governo, parlamento, e l'intero equilibrio fra i poteri dello Stato su cui riposano i diritti dei cittadini". Anche l'assoluta segretezza che circonda le riunioni della commissione di "saggi" nominati dal governo, sotto la presidenza del ministro delle Riforme costituzionali Quagliariello, avvalora questi severi giudizi, come si legge in un appello ai "saggi" firmato da Umberto Allegretti, Gaetano Azzariti, Sandra Bonsanti, Luigi Ferrajoli, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, intitolato "vogliamo sapere", in cui si denuncia che i lavori della commissione "proseguono senza che l'opinione pubblica venga in alcun modo informata delle sue discussioni", e lo si giudica un "metodo inammissibile", tanto più perché "in materie come questa, che riguardano il destino della Repubblica, la pretesa dell'assoluta riservatezza confligge con l'esigenza democratica di una apertura che renda possibile un'attenzione vigile e un contributo da parte di tutti i cittadini interessati". Una denuncia giusta, ma che riguarda solo il metodo e non affronta anche il merito della controriforma, che è il completamento della repubblica presidenziale già operante di fatto, come fu disegnata nel "piano di rinascita democratica" e nello "schema R" della P2 di Gelli, impostata da Craxi e rilanciata dopo di lui dal neoduce Berlusconi, che oggi la sta per completare grazie anche a Napolitano, a Letta e al PD. Un disegno golpista che non può essere sconfitto con metodi istituzionali e con la difesa pura e semplice di una Costituzione borghese come quella del 1948, che oltretutto non esiste più di fatto. Né tanto meno attraverso un'illusoria "partecipazione democratica" al processo in atto, che rappresenterebbe solo una legittimazione del golpe costituzionale in atto, ma con la lotta di massa nelle fabbriche, nelle scuole e nelle piazze per buttare giù il governo neofascista e presidenzialista Letta-Berlusconi prima che riesca a completarlo. 10 luglio 2013 |