Una riprova che le mafie sono dentro le istituzioni borghesi La Camera nera assolve e applaude il camorrista Cosentino Decisivo il voto contrario dei Radicali e dei leghisti bossiani. Pilatesca assenza dall'aula del governo Monti. Nel segreto dell'urna hanno votato a favore anche deputati PD e UDC I pm: "il suo appoggio ai Casalesi è provato" Giovedì 12 gennaio, 298 voti favorevoli, 309 contrari, la Camera dei deputati respinge nuovamente la richiesta di arresto reiterata dalla Procura della Repubblica di Napoli nei confronti del deputato del PDL, ed ex sottosegretario all'economia, Nicola Cosentino, accusato di "concorso esterno in associazione mafiosa": 15 magistrati e 18 "pentiti" di camorra lo qualificano come il referente politico della holding mafiosa dei Casalesi. Il parlamento nero, rispolverando il cosiddetto "fumus persecutionis" (parvenza di persecuzione), ha così bocciato l'operato della stessa Commissione giustizia che, qualche giorno prima, si era espressa per l'arresto, con 11 voti a favore e 10 contrari. Il messaggio ai magistrati non allineati al regime neofascista è il seguente: qualsiasi reato abbia commesso il coordinatore del PDL in Campania è un intoccabile e va protetto con lo scudo dell'immunità parlamentare. Stando alla quantità e gravità dei reati, nonché al concreto pericolo di inquinamento delle prove da parte dell'imputato, si tratta quindi di una decisione mostruosa dal punto di vista politico, aberrante dal punto di vista giuridico e assolutamente inaccettabile in particolare per gli abitanti di un terra un tempo fertilissima, come il casertano, devastata e avvelenata in modo irreversibile dai camorristi di Stato. I voti decisivi Oltre a tutti i deputati del PDL, hanno votato a favore del "boss" i deputati di "Popolo e territorio" e "i Responsabili" di Scilipoti, il cosiddetto "Gruppo misto" e una parte consistente della Lega Nord, da sempre razzista e xenofoba nei confronti delle masse popolari del Sud mentre si sottrae a qualsiasi guerra aperta alla mafia al Sud come al Centro e al Nord. Le cifre precise e i nomi dei votanti pro Cosentino non sono disponibili, a causa del ricorso al voto segreto. Solo i leghisti hanno cambiato in corsa le intenzioni di voto? Per fare schizzare i voti contrari all'ordinanza da 255, ossia quelli previsti alla vigilia, fino a 309 (+54), ciò significa che quasi tutti i 56 deputati leghisti devono avere votato contro, ma le versioni in tal senso sono discordanti. Al cosiddetto "cerchio magico", garante della tenuta o della "ricostruzione" dell'asse Bossi-Berlusconi, vengono attribuiti non più di 15 deputati. "Almeno 25 dei nostri hanno votato contro", sostiene Umberto Bossi, mentre l'altro leader della Lega, l'ex-ministro dell'Interno Roberto Maroni rivela: "molti voti a favore di Cosentino sono arrivati anche dal PD e dall'UDC". Nessun dubbio invece per quanto riguarda i voti decisivi dei deputati Radicali, i quali hanno votato compatti a favore di Cosentino, seguendo l'ordine di scuderia dei caporioni Pannella e Bonino. Rimarrà negli annali della vergogna, e non potrà essere dimenticato, il discorso del radicale Turco che ha fatto a gara con il leghista Paolini per santificare il mammasantissima plurinquisito, come non può essere dimenticata la vomitevole ammucchiata e la sguaiata esultanza al termine del voto, quando l'aula di Montecitorio è stata trasformata in un bivacco privato per i manipoli della cricca di Cosentino. Piduisti e mafiosi al contrattacco Tra applausi scroscianti, il primo ad abbracciare Cosentino è stato Luigi Cesaro (presidente della provincia di Napoli, anch'egli tra gli indagati dalla Procura partenopea), poi Alessandra Mussolini, Osvaldo Napoli, il piduista plurinquisito Denis Verdini, ancora una volta, coadiuvato da Cicchitto e Paniz, il regista della "compravendita di voti" per conto del ritrovato asse Bossi-Berlusconi. E ancora spiccano gli abbracci calorosi di Alfonso Papa, in odore di P3 ed appena uscito dal carcere di Poggioreale, quelli dell'ex-mazziere napoletano Amedeo Laboccetta e degli ex ministri all'ambiente e alle infrastrutture, Stefania Prestigiacomo e Altero Matteoli, che hanno coperto per anni le scorribande dei Casalesi da Sud e Nord e viceversa. Il neoduce Berlusconi, il vero padrino politico dell'intera operazione, ha esternato: "è stata una battaglia di libertà e l'abbiamo vinta", "una decisione giusta del Parlamento che non poteva rinunciare a tutelare se stesso". Una frase che è tutto un programma, un programma, come sempre, golpista che mira alla delegittimazione dei giudici che saranno impegnati nel processo (che tra l'altro confermano: "l'appoggio ai Casalesi è provato")e più in generale alla legittimazione e legalizzazione del ruolo e della funzione della borghesia mafiosa e massonica, che governa da sempre parte della Campania, della Sicilia, della Calabria, della Puglia e che col tempo, garantendo i propri variegati servigi ai partiti di governo e ai grandi pescecani e monopolisti del Nord, è riuscita a compenetrarsi fortemente nelle istituzioni locali, nei palazzi romani e nell'economia di gran parte delle altre regioni italiane. Una borghesia che si ritiene intoccabile perché inserita nei gangli vitali del "sistema" degli appalti e dei subappalti, nonché negli apparati dello Stato (magistratura stessa) e dei partiti istituzionali, nell'economia, nella finanza. Come dimostra la sfrontatezza dell'imputato: il tempo di uscire dal ristorante in cui si era precipitato a festeggiare e il mantra del perseguitato "sono vittima di una violenza mediatica, politica e giudiziaria" si riveste nuovamente dei toni berlusconiani della minaccia nei confronti della magistratura. Lo stile è quello di Cosa Nostra. Cosentino cita persino direttamente l'ex-Pm Narducci (ora in quota alla giunta De Magistris), reo di avere istruito uno dei processi in corso a suo carico. Un messaggio ai clan mafiosi che ruotano intorno alla rete di potere piduista? Un invito al contrattacco? Non bisogna dimenticare che lo stesso clan dei Casalesi, pur dimezzato, è ancora economicamente, politicamente e istituzionalmente molto potente in Campania, così come nelle regioni del Centro-Nord. È ricchissimo e radicato a livello internazionale, e soprattutto sa tante cose della storia d'Italia. È quindi ancora in grado, come la mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese, di "avvelenare i pozzi" e quindi di ricattare i politicanti a qualsiasi livello, di controllare pacchi consistenti di voti e quindi di influenzare la formazione dei governi locali e nazionali. D'altra parte, al di là dell'arresto del capo clan della mafia del cemento, Zagaria, pompato non a caso dai media, la situazione degli uffici giudiziari antimafia al Sud è davvero disastrosa, basti pensare al rapido processo di smantellamento della minuscola Procura di Santamaria Capua-Vetere, al taglio di fondi e mezzi e persino delle scorte a disposizione dei magistrati della DDA di Napoli. Il primo passo è sempre l'isolamento, ma inquietanti e frequenti sono anche i guasti e gli incendi al palazzo di Giustizia al Centro direzionale di Napoli. Il silenzio di Napolitano Emblematico del potere di influenza e di ricatto che Cosentino esercita ancora nella super-corrotta vita politica italiana è il comportamento del presidente del Consiglio Monti, il quale era presente in aula nella mattinata, ma prima del voto è letteralmente fuggito insieme ai suoi ministri e si è dileguato, evidentemente per lasciare campo libero all'intrallazzo tra i partiti che lo sostengono. E che dire della timorosa prudenza del governatore della Campania Stefano Caldoro nel pronunciare il nome del suo collega di partito, pure essendo stato egli stesso oggetto di dossieraggio da parte della cricca piduista (secondo il collaudato "metodo Boffo"), durante la corsa alla candidatura per le scorse elezioni regionali? Clamoroso, in questo quadro, il silenzio assordante, e complice, del PD di Bersani e D'Alema, ma anche soprattutto del presidente Giorgio Napolitano e del neoministro della giustizia, l'avvocato Paola Severino. Col loro assordante silenzio e "omertà", una battuta sorge spontanea: forse Napolitano vuole che l'art. 1 della Costituzione reciti: "l'Italia è una repubblica fondata sulla mafia"? Le pagliacciate di Maroni Per quanto riguarda lo "scontro", in verità molto teatralizzato, tra Bossi e Maroni, va detto che esso non riguarda il merito della vicenda, ossia l'alleanza (indiretta?) della Lega Nord con i Casalesi, ma esclusivamente le preoccupazioni circa le ricadute elettorali del voto pro-mafia e le schermaglie per la successione al vertice del partito tra Maroni e quel "cerchio magico" che ha incoronato Calderoli a proconsole di Bossi a Roma e il figlio Renzo (detto "il trota") quale "erede al trono". Un gioco delle parti quello tra Bossi (che poi l'ha smentita) e Maroni, per evitare la spaccatura tra base e vertice nella Lega? L'impressione è proprio che la lotta alle mafie non c'entri un granché. 18 gennaio 2012 |