L'impietosa fotografia di FLAI e FILLEA-CGIL 800 mila lavoratori sfruttati dal caporalato In agricoltura, il 47% delle aziende e il 49% dei lavoratori sono a nero. In edilizia, il 62% delle aziende e il 53% dei lavoratori sono irregolari. I migranti in condizioni schiavistiche le principali vittime Torni a essere reato penale il "mercato" delle braccia Non è una novità. È risaputo che l'agricoltura e l'edilizia sono i due settori dove, più che negli altri, regna l'illegalità, prospera la criminalità organizzata, dilagano lavoro nero, evasione fiscale e contributiva, imperano condizioni di lavoro senza diritti al limite dello schiavismo. Tuttavia, impressionano e indignano molto le dimensioni gigantesche davvero intollerabili che questi fenomeni hanno raggiunto, non a caso in era berlusconiana. L'impietosa fotografia che ne hanno fatto la FLAI (Federazione lavoratori agricoli) e la FILLEA (Federazione lavoratori edili) CGIL, resa pubblica il 24 gennaio scorso in concomitanza con il lancio della campagna "Stopcaporalato", non lascia spazio a dubbi. Le cifre, i dati, per quanto possono sembrare aridi, per quanto la loro lettura possa essere noiosa, sono specie in questo caso necessarie per mettere a fuoco in modo esatto una situazione, per ragionare sulle cause e cercare soluzioni ai problemi inerenti. In agricoltura, 1.037.000 sono i lavoratori regolarmente iscritti negli elenchi anagrafici dell'Inps di cui il 40% donne e quasi il 10% di provenienza extracomunitaria. Il 90% hanno un contratto a tempo determinato, dunque precario. La media delle giornate lavorate si aggira sulle 120, ma oltre il 70% non raggiunge (ufficialmente) le 51 giornate annue lavorate, necessarie a fini previdenziali. A ciò si aggiungono le stime agghiaccianti elaborate dalla FLAI-CGIL sul caporalato e lo sfruttamento: 400 mila lavoratori sono costretti ad operare sotto caporale. Va peggio a 60 mila di questi poiché devono vivere in alloggi di fortuna e sprovvisti di minimi requisiti di vivibilità ed agibilità. Le imprese che lavorano a nero sono il 44% e i lavoratori senza libretto il 49%. L'incidenza del lavoro nero nei campi è al 90% nelle regioni del Mezzogiorno, del 50% nelle regioni del Centro, del 30% in quelle del Nord. Pesante il bilancio del 2009 sulla sicurezza del lavoro: 53 mila gli infortuni, 125 quelli mortali, 4 mila i casi di malattia professionale. Analoga la situazione nell'edilizia. Secondo i dati ufficiali del 2009 gli occupati risultano essere 1.900 mila dei quali 1.250 mila dipendenti e 650 mila indipendenti, 5,6% donne e ben il 30% immigrati, quest'ultimi in gran crescita rispetto agli anni passati in prevalenza con contratti irregolari. Anche in questo settore imperano il lavoro nero e il caporalato. Secondo FILLEA-CGIL, i lavoratori in nero e sotto ricatto sono 400 mila, un fenomeno che riguarda manodopera straniera ed italiana, cui viene chiesto, o per meglio dire imposto di: aprire partita Iva; accettare contratti part-time fasulli per mascherare tempi pieni con fuoribusta in nero; accettare un sottoinquadramento professionale; dichiarare meno ore lavorate, con fuoribusta in nero; ricorrere ai permessi in caso di infortunio non grave. Drammatico l'andamento degli infortuni nei cantieri (dati 2009). Ogni settimana 1.962 lavoratori subiscono un infortunio, 5 di questi muoiono. 94 mila gli infortuni complessivi nel settore, 218 i morti, +15,82% rispetto al 2008 con riferimento alle ore lavorate. Precarietà, abbattimento delle tutele, reato di clandestinità, tra le cause Sono tante le cause che hanno determinato questa condizione di lavoro senza diritti, senza sicurezza, di sfruttamento bestiale che ci riporta agli inizi del '900. Certo, la estrema frammentazione esistente in questi settori, dove in grande prevalenza operano piccole e piccolissime aziende, non aiuta. Ma il problema più grosso riguarda l'abbattimento di diritti di legge e di tutele contrattuali, l'introduzione di nuove normative tendenti a favorire il sommerso, l'evasione fiscale, il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. Come ad esempio la distruzione del collocamento pubblico e la diffusione dell'intermediazione privata della manodopera, l'introduzione di nuove forme di contratto precario, vedi quello in affitto, la cancellazione del reato penale per attività di caporalato, la riduzione delle adempienze obbligatorie per i datori di lavoro al momento dell'assunzione della manodopera, l'ampio uso degli appalti e dei subappalti per i lavori pubblici a prezzi stracciati, la caduta verticale dei controlli delle istituzioni competenti nei campi e nei cantieri per verificare possibili irregolarità, il prezzo ridotto all'osso imposto dai grossisti ai produttori di frutta e verdura. Si aggiunga a ciò l'odiosa introduzione del reato di clandestinità da parte del governo del neoduce Berlusconi che rende i migranti, privi di permesso di soggiorno, del tutto indifesi sia legalmente che contrattualmente, dunque ricattabili, perciò alla mercé dei caporali e dei padroni agricoli che così possono imporre loro impunemente condizioni di lavoro e di vita di vero e proprio schiavismo. La triste vicenda di Rosarno del gennaio 2010, balzata all'attenzione della cronaca per la rivolta che esplose a seguito del ferimento di alcuni lavoratori nordafricani per mano di criminali legati alla 'ndrangheta, è emblematica in questo senso: orari di lavoro interminabili, dalla mattina alla sera senza interruzioni, paghe bassissime, meno di una miseria, angherie di tutti i tipi e nessun rispetto alla persona, alloggi alla stregua di stalle per animali, senza luce, acqua, né bagni per i bisogni corporali, vitto poco e sempre lo stesso assolutamente insufficiente. Ma sarebbe illusorio pensare che Rosarno sia stato un caso isolato, un'eccezione. In realtà, questo bestiale sfruttamento dei migranti è diffuso ad esempio nel Tavoliere delle Puglie, in Campania per la raccolta del pomodoro, in Sicilia per la raccolta delle arance e dei mandarini e in altre zone del Paese. Una fetta sempre più grande dei migranti supersfruttati nei campi sono donne, le quali dopo una giornata di faticosissimo lavoro sono pure molestate sessualmente da padroni e padroncini nonché dagli stessi caporali. Il capitalismo è un inferno per i lavoratori, alla luce di questi fatti non ci possono essere dubbi in proposito! La criminalità organizzata dietro al caporalato Il caporalato "è il mercato delle braccia - dice Stefania Brogi, segretaria generale FLAI-CGIL - che ha sostituito il collocamento pubblico: quando un'azienda ha bisogno di raccogliere o stoccare prodotti agricoli si rivolge ai caporali". Quanto guadagnano? "Circa quattro euro l'ora, per otto ore al giorno e nei periodi di maggior lavoro si arriva a dodici ore al giorno. Ma chi vuol lavorare - prosegue - è costretto a cedere parte del salario al caporale". Al centro-nord dove il fenomeno si è esteso "il caporalato spesso è messo in atto dalla criminalità organizzata, che così entra nelle aziende sane, o dalle agenzie che operano normalmente nella legalità" ma poi abusano attraverso i subappalti per costringere i lavoratori ad accettare "condizioni disumane, nella insicurezza e con salari da fame". L'uso del caporalato nel settore delle costruzioni è diffuso in tutto il territorio nazionale. "In particolare - tiene a precisare Walter Schiavone, segretario generale FILLEA-CGIL - nelle grosse realtà urbane, come Roma o Milano, dove c'è più lavoro". "Il reclutamento avviene nella forma più classica - continua - davanti ai cantieri o fuori dai depositi, ma anche con gli sms ... la paga giornaliera oscilla tra i 30 e 40 euro e capita anche che non venga corrisposta". "Spesso dietro questo tipo di gestione si nasconde la criminalità organizzata". L'evasione fiscale e contributiva del lavoro nero in questi due settori, calcolata nel 2009, si aggira sui 10 miliardi di euro. Una volta l'intermediazione privata della manodopera era reato punito con il carcere. Ora invece, in caso di denuncia accertata, i nuovi schiavisti se la cavano con una semplice e modesta sanzione economica. Per questo la CGIL, in particolare le federazioni che rappresentano i lavoratori agricoli e quelle dell'edilizia hanno lanciato una campagna di informazione e sensibilizzazione da svolgersi in tutto il territorio nazionale denominata "Stopcaporalato", con al suo centro una proposta di legge perché torni ad essere reato penale. "Chiunque svolga un'attività organizzata al fine della intermediazione di forza lavoro - si legge nel testo - sfruttando la disponibilità altrui, causata dallo stato di bisogno o di necessità in cui costui versa, a compiere una prestazione lavorativa in assenza di piena e totale tutela di legge è punito con la reclusione da 5 a 8 anni. Costituiscono aggravante specifica - continua - e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà la minore età dei lavoratori intermediati e l'aver commesso il fatto esponendo i soggetti intermediati a situazioni di grave pericolo". Va bene. Ma sia chiaro, ciò non basta. Occorre un intervento più complessivo che colpisca e sanzioni in modo sistematico il lavoro nero, che proibisca le scatole cinesi degli appalti e subappalti e impedisca alle aziende legate alle mafie di partecipare ai bandi, sciolga le false cooperative che violando la propria natura supersfruttano i lavoratori, pretenda il rispetto dei contratti nazionali di lavoro, riduca drasticamente le forme di assunzione precarie, elimini il reato di clandestinità e favorisca il rilascio tempestivo del permesso di soggiorno ai lavoratori migranti. 9 febbraio 2011 |