Il regime vuole imbrigliare la stampa Carcere ai giornalisti se pubblicano intercettazioni da distruggere Vietata la pubblicazione di foto e nome del Pubblico ministero Il 16 febbraio il ddl Alfano sulle intercettazioni ha ottenuto il prima via libera dalla commissione Giustizia della Camera. Il testo, varato all'unanimità il 13 giugno 2008 dal consiglio dei ministri, ha subito una serie di emendamenti che lo rendono ancora più liberticida e fascista nei confronti di giudici e giornalisti che ora rischiano fino a tre anni di carcere e ammende pesantissime se osano pubblicare "anche in forma di riassunto" prima del dibattimento notizie inerenti gli atti di un'inchiesta. Una sanzione pesante, che modifica e peggiora ulteriormente l'articolo 167 del testo unico sulla Privacy del 2004 che, fino ad ora, puniva col carcere solo chi usava i dati coperti da segreto in modo illecito e/o per trarne ingiusto profitto. Adesso chi pubblica il verbale di un'intercettazione destinato alla distruzione commette un delitto che sarà punito con la reclusione obbligatoria in carcere in quanto il testo modificato in Commissione non prevede più, in alternativa, una sanzione amministrativa. Non a caso l'emendamento è stato presentato col sostegno di tutta la maggioranza dalla berlusconiana Deborah Bergamini, ex assistente del neoduce, responsabile dei palinsesti Rai, "vittima" della pubblicazione dei verbali dell`inchiesta di Napoli sulle intercettazioni inerenti la tresca fra Berlusconi e Saccà sule "veline" raccomandate. La nuova norma prevede multe fino a 370.000 euro anche per gli editori che pubblicheranno intercettazioni vietate. Su proposta dell'avvocato palermitano Nino Lo Presti (An), rischia la stessa pena anche chi rende pubblici ascolti su persone estranee alle indagini, non indagate, i famosi "terzi" con cui parlano gli indagati di un'inchiesta. Vietata anche la pubblicazione del nome e della foto dei magistrati responsabili dei fascicoli di indagine e l'ingresso delle telecamere in tribunale che può avvenire solo previo l'unanime consenso delle parti a differenza di oggi che è il presidente a decidere dopo aver sentito le parti. La proposta è di Francesco Paolo Sisto, forzista e avvocato barese e, per chi sgarra, è prevista la condanna a trenta giorni di carcere e dai 5 ai 10 mila euro di multa. È stata introdotta anche una norma, a firma del centrista Michele Vietti ma sottoscritta anche dal Pdl, che affida al Guardasigilli il compito di fissare ogni anno il budget massimo per le intercettazioni. Il voto finale sul testo, presentato il 23 febbraio a Montecitorio dal presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno (An), è previsto nella seconda settimana di marzo. Infatti la calendarizzazione della discussione e il contingentamento dei tempi per le votazioni garantisce alla maggioranza una rapida approvazione del testo senza ricorrere all'ennesima fiducia. Si tratta di un disegno di legge di chiaro stampo mussoliano che, in nome di una falsa "tutela della privacy", di fatto elude il controllo dell'opinione pubblica sull'azione giudiziaria; cancella un importante strumento investigativo come le intercettazioni telefoniche utile soprattutto nelle inchieste contro la mafia per scoprire i "gravi indizi di colpevolezza" e non viceversa; spazza via ogni residua libertà democratico borghese inerente il "diritto di cronaca e all'informazione libera e pluralista", imbavaglia i giudici, la stampa e gli editori. Se passa questa legge i mafiosi e i grandi criminali possono dormire sonni tranquilli perché senza le intercettazioni sarà molto più difficile per un giudice raccogliere i "gravi indizi di colpevolezza" necessari per poter procedere; mentre un operaio che ad esempio viene arrestato durante una manifestazione di protesta o un blocco stradale, rischia di marcire in carcere perché nessun organo di stampa può parlare e denunciare il suo arresto e i reati a lui contestati fino al dibattimento. Contro il ddl Alfano è sceso in campo il Csm che boccia senza mezzi termini il provvedimento. Durante il dibattito sul parere del Consiglio Superiore della Magistratura votato a maggioranza, contrari solo i membri laici designati dal Pdl e due gli astenuti, il vicepresidente Nicola Mancino ha esposto il parere dell'organo di autogoverno dei giudici sottolineando fra l'altro che: "l'autorizzazione delle intercettazioni solo in presenza di gravi indizi di colpevolezza distrugge o limita fortemente la possibilità di intercettazioni". Inoltre secondo il Csm, che definisce il ddl Alfano "distruttivo" per le indagini ed "eccessivo" per le sanzioni penali contro giudici e giornalisti aggiunge che stando alla necessità dei "gravi indizi di colpevolezza": "Le intercettazioni non si dovrebbero più effettuare per scoprire gli autori di omicidi, violenze sessuali, rapine o altri reati gravissimi, per i quali il fatto sia immediatamente noto, mentre assolutamente ignoto ne sia l'autore. Il ritrovamento di un cadavere e l'evidenza che si tratta di una persona uccisa non sarebbero più sufficienti per autorizzare le intercettazioni, essendo necessario anche aver già individuato il possibile autore". Nel mirino anche i limiti alla durata (la massima è di 30 giorni prorogabili di altri 30): "La fissazione di termini così limitati non corrisponde alla realtà e pone gli uffici di procura e le forze di polizia nella evidente difficoltà di svolgere seriamente il loro lavoro". Sullo stesso fronte sono schierati anche la Federazione nazionale della stampa italiana, l'Ordine dei giornalisti, l'Unione Cronisti Italiani e la Federazione degli editori (Fieg) che in un documento congiunto annunciano: "le nuove iniziative comuni e unitarie di tutta la categoria dei giornalisti per contrastare le interferenze e le gravi minacce al diritto di cronaca che, con le novità che stanno emergendo nella Commissione Giustizia alla Camera, porterebbero addirittura alla cancellazione della cronaca giudiziaria". Secondo la Fnsi: "L'assalto ai giornali e ai giornalisti che vogliano rispondere al diritto dei cittadini a conoscere come vanno le cose che riguardano la propria vita, a sapere se e come procedono le inchieste giudiziarie su vicende di rilevanza pubblica sta assumendo dimensioni intollerabili e incivili. L'emendamento che introduce, nel ddl intercettazioni, il carcere fino a 3 anni per chi pubblica notizie, non solo di conversazioni poste agli atti, ma anche di riassunti della documentazione sulle indagini è profondamente illiberale. Non è in gioco un privilegio di una categoria, quella dei giornalisti, o il preteso potere di un'impresa, quella editoriale. Si vuol trattare da criminali queste due categorie e da poveri di diritti i cittadini, privati di un bene costituzionalmente garantito: l'informazione. I giornalisti, per deontologia professionale e per le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo, hanno sempre l'obbligo di non tacere sui fatti di pubblico interesse e di darne conto ai cittadini, anche qualora le notizie dovessero provenire da fonti riservate che altri avevano l'obbligo di custodire assicurandone la segretezza". Per questi motivi anche la Fieg ha annunciato l'adesione alla manifestazione, intitolata "Intercettazioni, no al bavaglio all'informazione", tenutasi il 24 febbraio dalle 10:30 nella sede della Fnsi (Corso Vittorio Emanuele II, 349, Roma) che "vede schierato l'intero mondo del giornalismo italiano - ricorda una nota delle organizzazioni sindacali - nella difesa della libertà di stampa che le norme del disegno di legge del governo vorrebbero imbavagliare e annullare con un 'segreto tombale". "L'adesione degli editori - conclude la nota - è molto importante per testimoniare la difesa delle libertà costituzionali e per rinforzare il fronte dei giornalisti che dallo scorso giugno si batte unito come non mai contro il ddl Alfano e che martedì 3 marzo metterà in campo un'altra importante iniziativa dell'Unione cronisti". 25 febbraio 2009 |