Annullata la condanna a 7 anni del braccio destro di Berlusconi e amico del boss Mangano La Cassazione salva Dell'Utri Il senatore PDL è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. L'ex premier "alla gogna per 19 anni" Con la connivenza del nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano, massimo garante istituzionale del "salvacondotto" giudiziario per il neoduce Berlusconi, e sotto l'asfissiante cappa della "concordia nazionale" instaurata dal governo della grande finanza, della Ue e del massacro sociale di Mario Monti, il 9 marzo la V sezione della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d'appello di condanna a sette anni di reclusione per il senatore del PDL Marcello Dell'Utri, braccio destro di Berlusconi nonché amico dello "stalliere" di Arcore, il boss mafioso Vittorio Mangano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il processo di secondo grado dovrà quindi essere rifatto sempre davanti alla Corte d'Appello di Palermo ma con un nuovo collegio giudicante e ciò comporterà con molta probabilità la prescrizione del reato che scatterà nel 2014. Sul piano puramente giuridico i motivi che hanno spinto la Suprema Corte a rinviare il giudizio si potranno capire solo dalle motivazioni della sentenza che saranno resi noti entro 90 giorni circa. Valutazioni politiche Mentre sul piano politico risulta lampante la volontà di salvare a tutti i costi l'ideatore di Forza Italia, ora PDL, nonché fondatore di Publitalia, da una condanna così grave e infamante che investe e travolge direttamente e in prima persona anche Berlusconi e tutto il suo impero economico-finanziario-aziendale. Si tratta di una sentenza decisa all'ombra di un vero e proprio patto politico-mafioso-giudiziario per garantire, da un lato, la piena impunità ai boss delle varie cosche parlamentari e dei massimi vertici istituzionali (collusi, corrotti e in organica simbiosi fin dal 1° Maggio 1947 con la mafia e la criminalità organizzata) e, dall'altro lato, per continuare a pieno regime con la macelleria sociale messa in campo dal governo Monti sulla pelle delle masse popolari e lavoratrici, pensionati, precari, giovani e disoccupati. La carriera giudiziaria del mafioso Dell'Utri è cominciata 18 anni fa, nel marzo del 1994, quando il nome dell'allora amministratore delegato di Publitalia venne rivelato ai Pm di Caltanissetta dal pentito Cancemi. Il 5 novembre 1997 si chiude il processo di primo grado con la condanna a 9 anni; quindi il processo d'Appello durato altri 4 anni e terminato il 29 giugno scorso con una condanna a 7 anni perché la Corte non ha considerato la ricostruzione del collaboratore Gaspare Spatuzza e ha assolto Dell'Utri per le condotte successive al '92, cioè, guarda caso, fino a pochi mesi prima della nascita di Forza Italia nel 1994. In pratica Dell'Utri è stato riconosciuto quale "specifico canale di collegamento" tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, nonché consapevole apportatore di un "rilevante contributo" al rafforzamento della criminalità organizzata siciliana, avendole fornito gli agganci e le conoscenze necessari ad arrivare alla "cospicua fonte di guadagno illecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quel periodo". Tutto ciò però sarebbe avvenuto fino al 1993 e sarebbe improvvisamente e definitivamente cessato con la "discesa in campo" di Berlusconi. Una tesi a dir poco incredibile sulla base della quale la V sezione della Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale di Palermo, Antonino Gatti, che invece chiedeva l'aggravamento della pena e l'annullamento della sentenza del 29 giugno scorso proprio nella parte in cui ha assolto Dell'Utri dalle contestazioni riguardanti il periodo successivo al 1993 ossia il passaggio da manager berlusconiano a politico. La tesi del Procuratore generale Ciononostante, nel chiedere l'annullamento della sentenza, il Procuratore generale (Pg) della Cassazione Francesco Iacoviello, ex Pubblico ministero (Pm) a Ravenna (famigerato per aver chiesto e ottenuto l'annullamento delle condanne dell'ex capo dei gip di Roma, Renato Squillante, per l'affare Imi-Sir e dell'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro per la mattanza al G8 di Genova, ma anche per aver confermato l'assoluzione dell'ex ministro DC Calogero Mannino accusato anch'egli di concorso esterno in associazione mafiosa e la prescrizione per Berlusconi nel caso Mondadori) non si è limitato a criticare la sentenza d'appello che condannava Dell'Utri fino al 1993 e lo assolveva per il periodo politico successivo. Iacoviello durante la sua sprezzante requisitoria si è scagliato con particolare veemenza contro gli investigatori, Pm, periti e i giudici che hanno osato condannare il galantuomo Dell'Utri sentenziando fra l'altro che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non esiste, perché si tratta, a suo dire, di: "un reato autonomo a cui non crede più nessuno". Giudizi e affermazioni che esulano dal compito di un Pg della Cassazione che deve semplicemente proporre il rigetto o l'accoglimento dei ricorsi contro una sentenza di grado inferiore e sulla base di ciò valutare se la sentenza è ben motivata in punto di legittimità o necessita di una nuova pronuncia di merito. Di sicuro fra i compiti di un Pg di Cassazione non c'è quello di abrogare i reati. Dunque si è trattato di una vera e propria entrata a gamba tesa, con affermazioni e giudizi di merito che dovrebbero immediatamente indurre la stessa Procura generale della Cassazione ad aprire un procedimento disciplinare contro Iacoviello e che non hanno minimamente turbato il presidente Aldo Grassi: allievo e degno erede di Corrado Carnevale soprannominato non a caso "l'ammazzasentenze", ma più volte elogiato da Iacoviello come giudice di "grandissimo e indiscusso profilo professionale". "Vi esorto a ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno fatto piazza pulita dell'importanza attribuita dai giudici di merito a questi elementi", ha aggiunto Iacoviello, sottolineando che "descrivere l'imputato come il referente o il terminale politico della mafia come ha fatto il Pg, non significa nulla: non si fanno così i processi, si devono descrivere i fatti in concreto". Parole durissime di fronte alle quali è difficile credere che non vi sia stata nessuna intesa preventiva fra Iacoviello e Grassi. Non solo. C'è anche il fondato sospetto che il ritardo di un anno con cui è stato fissato in Cassazione il ricorso di Dell'Utri non è casuale ma fatto apposta per consegnare il fascicolo proprio nelle mani del nuovo "Carnevale". Comunque non è un'assoluzione Segno evidente che questa volta senza l'intervento della Cassazione il senatore PDL rischiava di finire veramente in galera. Infatti il processo contro Dell'Utri non si basa su "semplici frequentazioni e conoscenze con mafiosi", come sostiene Iacoviello paragonandolo al caso Mannino. Su Dell'Utri, a parte le rivelazioni dei pentiti in gran parte tutte verificate, ci sono montagne di prove autonome, documentali e testimoniali, di intercettazioni e addirittura di parziali ammissioni dello stesso imputato sullo scambio di favori intercorso prima, durante e dopo la discesa in campo di Berlusconi e mai interrotto. Del resto non è certo un caso se il nome di Dell'Utri in qualità di testimone e/o indagato compare in tutte le più losche e sanguinose inchieste giudiziarie: dalle stragi, alla P4, dalla corruzione, ai furbetti del quartierino, dalla frode fiscale, alla mafia e alla 'ndrangheta. E comunque l'annullamento del processo d'appello per Dell'Utri con rinvio, non significa che sia stato assolto come vorrebbero far credere gli scagnozzi del neoduce in camicia nera con alla testa Alfano, Schifani, Cicchitto e Gasparri. Rimane in piedi la sentenza di condanna a 9 anni inflitta in primo grado anche se lo spettro della prescrizione si fa sempre più concreto. Con Berlusconi che non a caso parla di "diciannove anni di sofferenza e di gogna" e, dopo la vergognosa prescrizione incassata appena 12 giorni fa per l'accusa di corruzione in atti giudiziari nell'ambito del processo sul caso Mills, adesso attende con rinnovata fiducia che Monti gli annulli anche il reato di concussione di cui, assieme a quello di prostituzione minorile, è imputato davanti al Tribunale di Milano per il caso Ruby. Ed è sintomatico che tutto ciò avvenga proprio nel momento in cui emergono nuove e inquietanti verità sullo stragismo mafioso e i suoi mandanti e referenti politici. Alla luce di ciò il messaggio intimidatorio che questa sentenza lancia in particolar modo contro i "collaboratori di giustizia" presenti e futuri è a dir poco inquietante: state zitti, tanto i processi contro i vertici politici e istituzionali collusi con la mafia non si faranno più o, se si faranno, finiranno nel nuovo "porto delle nebbie" della Cassazione. Non a caso il Pm di Palermo Nino Di Matteo, segretario dell'Anm locale, che conduce l'inchiesta sulla trattativa mafia- Stato ha affermato: "Il giudizio del pg della Cassazione Francesco Iacoviello espresso a discarico di Dell'Utri è gravissimo ed irresponsabile perchè ponendosi perfino in contrasto con la giurisprudenza delle sezioni unite della Corte, delegittima in partenza, centinaia di indagini, di processi che si stanno celebrando per quel tipo di reato o perfino decine di condanne definitive che concorrenti esterni alla mafia stanno scontando nelle patrie galere''. 21 marzo 2012 |