Secondo uno studio del Financial Times Nel 2013 Cina e Brics più forti economicamente di Usa, Europa e Giappone I "vecchi" paesi imperialisti sotto il 50% del Pil mondiale Incrociando i dati del Fondo monetario internazionale (Fmi) e quelli del McKinsey Global Institute, uno studio del Financial Times ha calcolato che il 2013 sarà l'anno durante il quale la Cina e gli altri quattro paesi del gruppo Brics, ossia Brasile, Russia, India e Sudafrica avranno un peso economico complessivo superiore a Usa, Europa e Giappone messi assieme. Un "sorpasso" segnato anche dal dato che vede l'agglomerato dei "vecchi" paesi imperialisti scendere sotto il 50% del prodotto interno lordo (pil) mondiale, scavalcati dalla somma tra le economie dei Brics e delle altre potenze minori emergenti. È quello che i marxisti-leninisti chiamano sviluppo ineguale del capitalismo. Il primato di Usa, Europa e Giappone resta nel calcolo del reddito medio pro capite che nei paesi di vecchia industrializzazione con una popolazione relativamente inferiore è ancora maggiore di cinque volte rispetto a quello degli altri. Ma è un primato che sarà, seppur più a lungo termine, insidiato dato che il potere d'acquisto regredisce in Europa, cresce pochissimo negli Usa, cresce nel resto del mondo. Cresce vorticosamente solo per il pugno dei nuovi ricchi capitalisti che controllano l'economia nei Brics a partire da Cina, Russia e India. La crisi finanziaria e economica iniziata nel 2008 ha in particolare accelerato il declino dei "vecchi" paesi imperialisti che nel migliore dei casi, gli Usa, sono ancora a livelli di crescita economica bassa; nel peggiore, l'Europa, sono ancora in recessione e varie stime indicano che ci vorranno ancora anni, forse anche 10 anni, per superarla. Nel frattempo le potenze economiche emergenti galoppano. La crisi ha tagliato i loro livelli record di crescita, qualcuno sopra il 10% all'anno, ma una Cina che vede il suo pil crescere ancora dell'8% all'anno ha un passo a tripla velocità rispetto agli Usa che crescono del 2,5%. E non a caso è divenuta la seconda economia del pianeta dietro gli Usa. Cina e India insieme coprono quasi la metà di tutta la crescita globale e entro il 2018, secondo il Fmi, tutti i paesi di "nuovo sviluppo" faranno il 55% della crescita mondiale. L'Europa, ma in parte anche il Giappone, registra un vero tracollo. Trenta anni fa l'Unione europea generava quasi il 20% della crescita mondiale e dei paesi del G7, sei erano presenti tra le dieci economie più dinamiche del mondo. Allora le dimensioni assolute delle economie di Cina e India erano ancora relativamente piccole. Nel 2013 nessuna nazione europea, neanche la forte Germania, è presente fra le prime dieci protagoniste della crescita mentre l'Unione europea nel suo complesso pesa appena per il 5,7% della crescita mondiale. Per la legge dello sviluppo ineguale del capitalismo ci sono paesi imperialisti che salgono e altri che scendono, impegnati per il momento in guerre solo economiche e finanziarie. La fotografia del momento è scattata dal McKinsey Global Institute che valutando la media ponderata delle economie ha stabilito che il centro di gravità mondiale dell'economia era situato nell'Atlantico, a metà strada fra Usa e Europa, dagli anni Cinquanta del secolo scorso fino all'inizio di questo millennio. Con gli ultimi aggiornamenti il centro si sposta a gran velocità verso l'Asia, nel 2013 è già arrivato in Siberia e continua a galoppare verso Oriente. Dove si trovava nel XVI secolo. Lo studio del Financial Times ha confermato tra l'altro quanto già analizzato dal "Global Trends 2030. Alternatives Worlds", il rapporto messo a punto dalle varie agenzie dei servizi americani per fornire al presidente neoeletto un prospetto dei possibili sviluppi della situazione mondiale. Un documento certamente piegato a sostegno delle tesi utili all'inquilino di turno della Casa Bianca ma che segnala senz'altro quelle che sono le preoccupazioni della più forte potenza imperialista mondiale. Il documento che il presidente Barack Obama ha trovato sulla sua scrivania lo scorso 21 gennaio, all'inizio del suo secondo mandato, afferma che, per la prima volta a partire dal XV secolo, i paesi occidentali stanno perdendo potere di fronte all'ascesa delle nuove potenze emergenti. Anche se gli Stati Uniti rimarranno una delle principali potenze planetarie, perderanno la loro egemonia economica a favore della Cina. E non eserciteranno più la loro "egemonia militare solitaria". Il documento afferma che il declassamento delle economie occidentali sarà tale che nel 2030 la loro quota nell'economia globale passerà dal 56% al 25%. In meno di vent'anni l'Occidente perderà più della metà del suo predominio economico. E a pagare dazio sarà soprattutto l'Europa. Secondo questo rapporto la crisi in Europa durerà almeno un decennio, fino al 2023. Nel frattempo emerge la Cina quale seconda economia mondiale, puntando al primo posto mentre gli altri paesi del gruppo dei Brics si piazzeranno nella seconda fila in competizione diretta con il gruppo di Giappone, Germania, Francia, Regno unito. Dietro a poca distanza incalzeranno altre potenze emergenti fra le quali Indonesia, Nigeria, Turchia e Vietnam. 17 luglio 2013 |