Offensiva diplomatica e commerciale della Cina in Africa e America Latina Per la prima volta la cricca revisionista e fascista di Pechino invia una forza militare fuori dalle coste nazionali per combattere i "pirati" nel Golfo di Aden Il vento della crisi economica soffia verso la Cina e costringe i rinnegati e fascisti di Pechino a sostenere con nuovi finanziamenti pubblici l'industria nazionale ma possono, con ancora minori difficoltà rispetto i concorrenti imperialisti Usa, Ue e Giappone, rafforzare nel contempo le alleanze e cercare di occupare nuovi spazi nel mondo. Come emerge dalla recente offensiva diplomatica e commerciale in particolare in Africa e America Latina. Il presidente Hu Jintao, dopo la tappa in Arabia Saudita, si è fatto il giro di Mali, Senegal, Tanzania e Mauritius. Era stato preceduto nel mese di gennaio dal ministro del Commercio Chen Demin che aveva visitato Kenya, Zambia e Angola. Al vice premier Hui Liangyu è toccata parte dell'America Latina, dall'Argentina all'Ecuador, Barbados e Bahamas mentre il vicepresidente Xi Jinping ha messo in fila Giamaica, Colombia, Venezuela, Brasile e Messico. La missione africana del presidente Hu Jintao, salvo la tappa in Arabia Saudita che rappresenta la maggior fonte di approvvigionamento petrolifero della Cina, ha toccato paesi che sono poveri di materie prime e ha permesso alla portavoce presidenziale di poter sottolineare che lo scopo del viaggio era solo quello di sviluppare "l'amicizia e la cooperazione" a "sostegno dello sviluppo dei paesi africani" oltreché di "incoraggiare le compagnie cinesi affinché continuino ad investire e fare affari in Africa". Dal recente rapporto dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) del dicembre scorso risulta però che una buona parte degli investimenti cinesi all'estero si sono diretti verso l'Africa. I dati sono quelli del 2006 e riportano un flusso di investimenti cresciuto fino a 520 miliardi di dollari con una crescita di sette volte rispetto al volume del 2003. I soldi sono andati a 48 paesi del continente africano ma la maggior parte si è concentrata verso cinque stati ricchi di risorse naturali come Algeria, Nigeria, Sudafrica, Sudan e Zambia. Per alcuni paesi la Cina è diventata il primo investitore con un evidente potere condizionante per paesi quali il Niger dove rappresentano il 27,5% di tutti gli investimenti in entrata dall'estero; per altri paesi quali il Madagascar e la Guinea sono il 10% circa. La Cina ha bisogno dell'energia e delle materie prime che questi paesi possono darle e se li assicura con un flusso di investimenti che solo la recente crisi mette in difficoltà. Come nel caso del contratto che prevede lo scambio della fornitura di minerali contro finanziamenti per infrastrutture con la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), un contratto dal valore di 9 miliardi di dollari che rappresenta il maggiore investimento finora compiuto dal governo di Pechino in Africa. Il Congo ha chiesto una riduzione del debito col Fondo monetario internazionale che in cambio vorrebbe la revisione dell'intesa con la Cina che fornisce al paese africano prestiti agevolati in "concorrenza" con i capitali forniti dal Fmi. La Cina è il secondo partner commerciale dell'Africa dopo gli Usa. E l'Africa occupa il terzo posto tra i fornitori di petrolio alla Cina dopo Arabia Saudita e Iran. E non è un caso che la nuova offensiva diplomatica cinese nel continente abbia fatto seguito alla decisione del governo di Pechino del dicembre scorso di inviare una flotta militare contro i "pirati" nel Golfo di Aden per proteggere le proprie navi mercantili nella regione; nel 2008 sono state oltre 1.200 le navi cinesi transitate per il golfo di Aden e di queste 7 sono state attaccate dai "pirati". Per la prima volta la cricca revisionista e fascista di Pechino ha inviato una forza militare fuori delle coste cinesi a difesa dei propri interessi imperialisti nella regione; una dimostrazione di forza a sottolineare lo sviluppo anche militare della superpotenza cinese. Non meno importanti le missioni diplomatiche cinesi in America Latina. La Cina è il terzo partner commerciale della regione con un volume di scambi che ha superato i 100 miliardi di dollari. In termini percentuali la quota dell'export latinoamericano verso la Cina rappresenta ancora solo il 7% del totale ma con un alto potenziale di sviluppo secondo le comuni esigenze di differenziazione degli approvvigionamenti e dei mercati. Come nel caso del Venezuela che esporta il 60% del suo petrolio verso gli Usa ma ha interesse a farlo viaggiare in sempre maggiori quantità anche verso la Cina. Da parte di Pechino l'attenzione verso lo sviluppo degli affari col continente latinoamericano è messo per iscritto nel suo primo Libro bianco sull'America latina e la regione caraibica pubblicato nel novembre scorso. 25 febbraio 2009 |