Col compito di far rispettare una no-fly zone "rafforzata" Il comando per l'intervento imperialista in Libia passa alla Nato Il vertice di Londra si prende il diritto di vigilare sul futuro del paese Dal 28 marzo la cosiddetta "coalizione dei volenterosi" il gruppo dei paesi imperialisti e dei loro alleati che si sono assunti l'onere di mettere in pratica la risoluzione Onu numero 1973 che ha autorizzato l'uso della forza per imporre una zona di non volo sul paese nordafricano e dato il via libera a usare "tutte le misure necessarie", salvo l'intervento di truppe di terra, per "proteggere i civili", ha passato la mano alla Nato. Non più Odyssey dawn (Alba di Odissea), ora l'intervento militare si chiama Unified protector (Protezione unificata) per rappresentare già nel nome il ruolo di comando unico da parte dell'alleanza militare imperialista. Dalla sede Nato di Napoli, il generale canadese Charles Bouchard annunciava l'assunzione in breve tempo del comando delle operazioni militari e si presentava ai giornalisti con alcune significative precisazioni: "stiamo agendo per proteggere e prevenire ogni attacco alla popolazione civile libica", una sottolineatura dello scopo "umanitario" della missione e nel contempo del compito più esteso del solo controllo della zona di non volo. La seconda precisazione faceva a cozzi con la prima: "ogni azione che verrà compiuta dal Comando della Nato sarà intrapresa con l'obiettivo di ridurre al minimo i danni collaterali", leggi le vittime civili. La direzione politica della missione, sul modello di quanto già avviene per la missione in Afghanistan, sarà esercitata dal Consiglio Atlantico, allargato per l'occasione ai rappresentanti dei paesi che non fanno parte della Nato ma della coalizione, come Qatar ed Emirati. Una partecipazione sollecitata in particolare da Obama e che non è solo simbolica: il 25 marzo anche aerei del Qatar hanno sorvolato il territorio della Libia. La direzione politica effettiva dovrebbe però essere determinata dal cosiddetto gruppo di contatto per la Libia, la cui prima riunione si è tenuta a Londra il 29 marzo. I partecipanti al summit londinese, 35 tra ministri degli Esteri e rappresentanti di organizzazioni internazionali quali, l'Onu, la Nato, l'Ue, la Lega Araba e l'Unione Africana, hanno affermato nella dichiarazione della presidenza della Conferenza che "il popolo libico deve essere libero di determinare il proprio futuro". Sul tavolo della conferenza era arrivato il manifesto in otto punti varato dal Consiglio nazionale transitorio, le cui forze avevano ripreso il controllo delle città della Cirenaica e erano arrivate fino a poche decine di chilometri da Sirte, nel quale si esprime la "visione per la ricostruzione di uno stato libico democratico'' che "risponde ai desideri e alle aspirazioni del popolo''. Il documento prevede tra gli altri la stesura di "una Costituzione che definisca chiaramente la sua natura, la sua essenza e i suoi obiettivi e crei le istituzioni giuridiche, politiche, civili, legislative, esecutive e giudiziarie''; la "formazione delle organizzazioni politiche e delle istituzioni civili, compresi i partiti politici'', la garanzia del "pluralismo intellettuale e politico'', "il diritto di voto in elezioni parlamentari e presidenziali libere e giuste'', il "rispetto della libertà di espressione dei media'' e "la libertà di manifestare pacificamente'', "l'uso dell'economia nazionale a beneficio del popolo'', gli "investimenti nell'istruzione, nella ricerca e nello sviluppo'', il "rispetto della dottrina religiosa e la condanna dell'intolleranza, dell'estremismo e della violenza'', relazioni internazionali da costruire sui principi del "rispetto dei vicini'', il "riconoscimento dell'indipendenza e della sovranità delle altre nazioni'', il "rispetto del diritto umanitario internazionale e delle dichiarazioni dei diritti umani'' e la condanna di ogni "razzismo, discriminazione e terrorismo''. Un programma accolto dalla conferenza ma sottoposto a un controllo cui si è candidato l'Onu. Il segretario dell'Onu Ban Ki-Moon si è offerto di guidare le iniziative per coordinare lo sforzo internazionale per delineare il futuro della Libia. Al momento però il potere decisionale resta comunque circoscritto alle tre maggiori potenze imperialiste, Usa, Francia e Gran Bretagna che hanno tirato dentro anche la Germania che pure non partecipa agli interventi militari; sgomita, ma è ancora indietro l'imperialismo italiano che rischia di non essere in prima fila nell'auspicato banchetto dei vincitori che vorrebbero spartirsi lo sfruttamento di gas e petrolio libico. Nonostante si sia assicurato il comando del blocco navale attuato dalla Nato e abbia spedito il presidente Napolitano all'Assemblea generale dell'Onu a perorare la causa della "legittimità" dell'intervento in Libia. Una decisione tutt'altro che legittima e che viola la sovranità nazionale della Libia. Era stato un giro di telefonate tra il presidente americano Barack Obama, quello francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron, il 22 marzo a definire un accordo affinché "la Nato giochi un ruolo chiave nella struttura di comando" nelle operazioni militari in Libia. Ma ci vorranno ancora tre giorni di consultazioni per mettere a punto i particolari di un'intesa che doveva tra l'altro tenere di conto della volontà della cancelliera Merkel di essere nel gruppo decisionale ma senza prender parte alle operazioni militari e di recuperare la partecipazione della Turchia, tagliata fuori dall'iniziale protagonismo di Francia e Gran Bretagna che non avevano invitato Ankara nemmeno al vertice di Parigi del 19 marzo che aveva dato il via all'intervento militare. Infine la soluzione è stata trovata con il passaggio del comando militare alla Nato e la convocazione della conferenza di Londra per fornire "l'ombrello politico-strategico" sotto cui agirà la Nato e determinare il futuro del paese nordafricano. 30 marzo 2011 |