Lo scandalo in Emilia-Romagna coinvolge quasi tutti i partiti compresi i grillini I partiti di regime pagavano per interviste e comparsate tv La procura di Bologna indaga per peculato Alla fine di agosto la procura di Bologna ha aperto un'inchiesta sulla scandalosa vicenda delle comparsate televisive sulle emittenti emiliano-romagnole che coinvolge tutte le cosche parlamentari, dal Movimento 5 Stelle al PD, e vede come protagonisti i vari boss politici locali che, coi soldi pubblici rubati al popolo, pagavano e addirittura stipulavano contratti per le ospitate nelle varie trasmissioni televisive. Nel fascicolo, affidato al Pubblico ministero (Pm) Antonella Scandellari, viene ipotizzato il reato di peculato e appropriazione indebita di denaro pubblico. L'inchiesta è partita col sequestro effettuato ai primi di settembre dalla Guardia di Finanza presso la sede del gruppo consiliare del Movimento 5 stelle. Durante l'operazione sono saltate fuori alcune fatture che il consigliere regionale Giovanni Favia ha detto di avere effettivamente emesso per pagare la stipula di un contratto da 200 euro al mese che gli garantiva di apparire quasi quotidianamente nelle varie trasmissioni dell'emittente 7 Gold. Ad ammetterlo è lo stesso Favia che in un primo momento ha dichiarato: "Non posso escludere che queste cose siano accadute. Io non sono mai stato intervistato in un tg dietro pagamento, ma non posso escludere che queste cose siano accadute". Poi però ha precisato che: "Era una delle opzioni possibili presenti nei contratti ma io l'ho sempre rifiutata, perché l'ho sempre ritenuta scorretta". E infine ha confessato: "In questo modo riusciamo ad arrivare a quella fascia di popolazione che non ha dimestichezza con la rete - ha spiegato - e comunque è tutto fatto nella massima trasparenza, rendicontato e pubblicato online sulle nostre pagine web". Il clamore suscitato dall'inchiesta e dalle dichiarazioni di Favia ha mandato su tutte le furie l'imbroglione politico e falso moralizzatore Grillo che, per cercare di salvarsi la faccia, ha costretto il suo consigliere ad annullare tutti i contratti ma si è guardato bene dal revocargli la "certificazione 5 stelle" ed anzi ha subito precisato che "Non caccio nessuno, ma non ha più la mia fiducia". Nel giro di pochi giorni tutti i partiti finiscono nel mirino della magistratura. In prima fila c'è il PD che attraverso Marco Monari, capogruppo in Regione, è stato costretto ad ammettere "Se sono andati in onda video o trasmissioni senza la giusta dicitura qualcuno dovrà chiarire". Una giustificazione che ha fatto da parafulmine a tutte le altre cosche parlamentari che infatti si sono giustificate sostenendo che: "Era solo un modo per far fronte al mega apparato informativo della giunta regionale a guida PD". Sulla stessa linea difensiva anche il vendoliano Gianguido Naldi che ha precisato: "Quando mi fu proposto il contratto con E'tv per le ospitate mi venne detto che mi garantiva di apparire regolarmente anche nel tg, ma non l'ho mai accettato". Davanti al Pm, insieme ai e tanti giornalisti, è sfilato anche il consigliere Mauro Manfredini, della Lega Nord, sentito come persona informata sui fatti. Il fascio-leghista ha consegnato agli inquirenti i cinque contratti e relative fatture stipulati con le emittenti "Così - ha dichiarato stizzito al termine dell'interrogatorio - avranno un quadro completo". Manfredini, secondo quanto risulta dalle indagini, ha personalmente stipulato i contratti con due emittenti, presso le quali o lui stesso o Manes Bernardini, ex candidato sindaco di Bologna e consigliere comunale, ogni quindici giorni venivano intervistati. "Una possibilità - secondo Manfredini - per avere un contatto diretto e vero con il pubblico, con i cittadini, che in queste trasmissioni davano un impulso a continuare le battaglie". 14 novembre 2012 |