Comunicato del Forum Palestina Il passo indietro dell'ANP sulla soluzione dei "due popoli due Stati" e l'impellenza di un confronto sullo "Stato unico" per la Palestina Riceviamo e volentieri pubblichiamo. La dichiarazione dello scorso 5 novembre con cui Saeb Erekat, il capo negoziatore dell'Autorità Nazionale Palestinese, ha definito come fallita la soluzione dei "due popoli per due Stati" e come inevitabile l'alternativa dello "Stato unico", segna in sé un passaggio significativo. Arriva da un'istituzione in difficoltà, che ha al suo vertice un presidente in crisi di popolarità e di credibilità agli occhi del suo popolo, Abu Mazen, che dopo aver assecondato negli anni il percorso inaugurato dagli Accordi di Oslo e basato sulla "pace in cambio di terra", non ha fatto che favorire l'indebolimento della lotta palestinese sul terreno politico e la progressiva espansione delle colonie senza ottenere in cambio alcuna pace. È un messaggio rivolto all'esterno, agli USA di Obama, piuttosto che alle organizzazioni politiche e della società civile che l'ANP vuole rappresentare, e in quanto tale esercita una pressione non pienamente maturata a livello collettivo. Ma pone senz'altro le basi affinché finalmente l'unica soluzione possibile per una pace che sia anche giusta sia inserita nell'agenda politica palestinese come terreno di lotta e di negoziato credibile. Ci siamo confrontati più volte con attivisti, intellettuali ed esponenti politici palestinesi, ma anche israeliani antisionisti, in merito alla soluzione dello Stato Unico, sottolineando proprio come quella che appare come l'unica ipotesi realistica per la fine del colonialismo sionista non trovi ancora ufficialmente spazio nella piattaforma politica dei partiti palestinesi. Oggi in qualche modo il passo indietro dell'ANP obbliga a rivolgere l'attenzione alla possibilità di uno Stato che, senza coincidere con la "Grande Israele" auspicata dai fondatori dell'ideologia sionista, sia realmente democratico con pari diritti per tutti i suoi cittadini. Da Oslo a Camp David e a Madrid, tutti gli accordi internazionali basati sulla soluzione dei due popoli per due Stati (mentre porzioni sempre più ampie di territorio palestinese venivano strappate dal Muro e dalle colonie) hanno sempre fatto da paravento all'obiettivo sionista di ampliare il territorio israeliano, di rendere sempre più puramente ebraico il carattere dello Stato di Israele, e di mantenere in piedi l'immagine di Stato democratico di fronte alla politica internazionale e all'opinione pubblica mondiale. Ormai la realtà dei fatti dimostra da tempo che è proprio mettendo in discussione i presupposti di Oslo, su cui fino ad oggi si sono fondati i cosiddetti "negoziati di pace" con il coinvolgimento delle potenze occidentali complici dell'occupazione, che la lotta per l'autodeterminazione palestinese potrà concretamente mettere in discussione i presupposti su cui si basano il sionismo e la sua strategia colonialista. La dichiarazione di fallimento che arriva dal negoziatore palestinese e dai vertici dell'ANP spalanca una finestra sulla realtà e sulla possibilità di ridefinire su nuove basi gli obiettivi strategici della lotta di liberazione palestinese offrendo un'ulteriore occasione di riflessione anche al movimento di solidarietà internazionale che attraverso la campagna BDS si sta allargando producendo risultati concreti ed efficaci. Assumere oggi la soluzione dello Stato Unico come ipotesi su cui dare battaglia politica significa contrastare apertamente la strategia sionista: è anche per questo motivo che nell'ultima delle 10 domande su cui studiosi, giornalisti e attivisti italiani, palestinesi e israeliani saranno chiamati a rispondere il 28 e 29 novembre a Roma, poniamo il seguente interrogativo: "Il progetto di uno Stato Unico per ebrei e palestinesi è da ritenersi una minaccia o una soluzione possibile per la pace in Medio Oriente?". A nostro avviso innanzitutto è la realtà che ci sta dando delle indicazioni e di queste occorrerà tenere necessariamente conto. Il Forum Palestina 11 novembre 2009 |