Vendetta compiuta 24 manifestanti condannati a 108 anni di carcere per i fatti di Genova Si erano solo difesi dalle cariche della polizia e dei carabinieri Il 14 dicembre, dopo quattro anni di dibattimento, il tribunale del regime neofascista di Genova ha condannato in primo grado ventiquattro dei venticinque manifestanti imputati di devastazione e saccheggio nell'ambito del processo imbastito dalla Procura della repubblica del capoluogo ligure per i fatti scaturiti in seguito alla sanguinosa repressione scatenata dalle "forze dell'ordine" durante il G8 del luglio 2001. Una sentenza che sul piano politico e giudiziario ha il sapore di una vera e propria vendetta contro le centinaia di manifestanti inermi che il 20 e 21 luglio di 6 anni fa erano scesi pacificamente in piazza per manifestare il loro dissenso antimperialista. Altro che "giustizia è fatta" come hanno commentato a più riprese i caporioni fascisti con alla testa il leghista Roberto Castelli, all'epoca ministro della Giustizia, e i camerati Francesco Storace e Maurizio Gasparri che addirittura hanno chiesto anche la rimozione della lapide al Senato intitolata al martire di quelle giornate, Carlo Giuliani. La corte, composta dal presidente Marco Devoto e i giudici a latere Gatti e Realini ha condannato gli imputati a pene che vanno dai 6 mesi a 11 anni di carcere per complessivi 110 anni di detenzione, contro i 225 richiesti dai Pm Anna Canepa e Andrea Canciani al termine della loro infamante requisitoria il 24 ottobre scorso. In un solo caso, quello d'una giovane donna, è stata riconosciuta l'assoluzione per non aver commesso il fatto. In altri dieci l'imputazione mossa dall'accusa, quella di devastazione e saccheggio, è stata confermata. Per loro la Corte ha accolto totalmente la tesi dell'accusa, compresa quella del "concorso morale". In questo modo alcuni imputati che semplicemente si sono trovati nei pressi dei disordini hanno pagato solo per la propria presenza, il proprio concorso, ai fatti. Poco conta quanto si è fatto e quanto è stato provato in aula. Per quattro dei condannati per devastazione e saccheggio la Corte ha stabilito anche la sospensione perpetua dai pubblici uffici e tre anni di libertà vigilata, una volta scontata la pena. Per i restanti quattordici imputati i reati sono stati derubricati a danneggiamenti e furto. E per tutti coloro cui veniva contestata anche la resistenza a pubblico ufficiale nella prima fase dei fatti di via Tolemaide il pomeriggio del 20 luglio, ossia quando il corteo autorizzato delle e dei disobbedienti fu spazzato via ben prima di giungere al limite della "Zona Rossa" da una carica premeditata dei reparti speciali dei carabinieri, l'accusa specifica è caduta: perché è stata riconosciuta l'"illegittimità" di quella carica. Circostanza che però non è risultata decisiva per attenuare anche le incriminazioni per " furto e danneggiamenti" che, secondo l'accusa, si sarebbero verificati anche prima degli attacchi delle forze dell'ordine ai manifestanti, ivi compreso i "danneggiamenti" contestati agli imputati presenti in piazza Alimonda: il teatro dell'omicidio di Carlo Giuliani, sul quale il procedimento è stato annullato già in fase di udienza preliminare in virtù d'una perizia che ha attribuito ad un fantomatico sasso la causa che ha portato a deviare la traiettoria del "colpo sparato in aria" dal defender dei carabinieri su cui si trovava anche il carabiniere Mario Placanica che è stato prosciolto da ogni accusa. Per tutti i condannati, infine, a parte il pagamento delle spese processuali e di alcuni danni nei confronti di istituti bancari, l'ammontare dei danni patrimoniali è stato sospeso e affidato a un giudizio civile. Nella medesima sede si stabiliranno anche i risarcimenti non patrimoniali (due milioni di euro), richiesti dallo Stato italiano per i danni all'immagine. Per capire i criteri che hanno indotto i giudici di Genova a emettere questa vergognosa sentenza si dovrà attendere il deposito delle motivazioni. Ma fin da ora appare chiaro che si tratta di una sentenza già scritta, in perfetto stile mussoliniano e dall'inaccettabile carattere repressivo e intimidatorio nei confronti di quanti d'ora in avanti oseranno ancora manifestare contro il governo e la classe dominante borghese. Basti pensare che la pesantissima accusa di "devastazione e saccheggio" contemplato nel famigerato articolo 419 del codice di procedura penale è considerato un reato di guerra e fu introdotto nella giurisdizione italiana da un decreto del Luogotenente del Regno, Umberto di Savoia, nel 1944. Un reato fino ad oggi quasi mai contestato a un manifestante ma che dopo questa sentenza crea un pericoloso precedente che può portare, come appunto è successo a Genova, a condanne fino a 11 anni di carcere per una vetrina rotta. Non a caso questo tipo di reato è diventato l'accusa principale utilizzata dal regime neofascista per reprimere nelle sedi giudiziarie qualsiasi movimento di contestazione. 19 dicembre 2007 |