La pena più alta mai comminata negli Stati uniti a un informatore della stampa Condannato a 35 anni per aver "compromesso la sicurezza nazionale" La sola colpa del soldato Manning è stata quella di aver fornito documenti riservati a Wikileaks Bradley Manning, il giovane analista informatico dell'esercito statunitense comparso davanti alla corte marziale di Fort Meade, nel Maryland, per aver passato documenti riservati a Wikileaks, 700mila file secretati inerenti alle attività diplomatiche e militari degli Stati Uniti è stato condannato il 21 agosto a 35 anni di prigione e il congedo con disonore. Dovrà scontare almeno un terzo della pena prima di poter chiedere la libertà condizionata a meno dei tre anni e mezzo che ha già passato già fra le sbarre e di quasi 4 mesi che la corte marziale gli ha condonato per le torture ricevute in carcere. Gli atti del processo al soldato americano sono stati per la gran parte mantenuti segreti al pubblico e raccontati da una giornalista del quotidiano inglese Guardian che ha seguito il caso e le pochissime udienze pubbliche. Il procuratore militare che rappresentava la pubblica accusa aveva chiesto una condanna a 60 anni e centomila dollari di multa. "Merita di passare la maggior parte della sua vita in carcere", dichiarava spiegando che le azioni di Manning avrebbero costituito un grave rischio per gli Stati uniti e avrebbero messo a repentaglio vite umane. Una condanna esemplare perché "la corte deve mandare un messaggio a qualsiasi soldato che stia prendendo in considerazione la possibilità di compromettere la sicurezza nazionale". Filosofia accolta dalla giudice, colonnello Denise Lind, cui bastavano meno di due minuti per leggere la pesante sentenza, la pena più alta mai comminata negli Stati uniti a un informatore della stampa. La difesa faceva notare che era una condanna ingiusta e comunque spropositata considerando anche che tra 25 anni le informazioni rilasciate da Manning sarebbero state declassificate. La "colpa" di Manning è stata quella di aver fornito documenti riservati a Wikileaks e in particolare una serie di documenti che svelavano le atrocità commesse dai soldati americani nelle guerre imperialiste di occupazione in Iraq e in Afghanistan. Fra i quali il video "Collateral murder" che testimoniava come nel luglio 2007 un elicottero americano Apache avesse sparato intenzionalmente su civili, tra i quali un padre che portava i figli a scuola e due cameraman della Reuters. La condanna di Manning è la conclusione annunciata di un processo voluto dall'amministrazione Obama e dai vertici militari per riaffermare il proprio controllo sull'informazione e la tolleranza zero per i canali non ufficiali, azzerando il principio della libertà di informazione. Come e se non peggio di quanto messo in pratica dalle amministrazioni repubblicane di Bush nel nome della "guerra al terrorismo". Che nel tempo hanno partorito i mostruosi apparati di controllo su Internet da parte dei servizi segreti americani e svelati recentemente dalla vicenda Snowden. Al tempo della guerra del Vietnam il carteggio militare top secret del Pentagono sull'andamento disastroso della guerra per gli Usa, venne trafugato da Daniel Ellsberg, un analista della Rand Corporation, e consegnato al Washington Post e al New York Times. Allora l'amministrazione Nixon non riuscì a perseguirlo per alto tradimento a causa dell'ampio consenso al diritto dei cittadini di conoscere l'operato che il loro governo voleva occultare. Un diritto sostenuto all'epoca da una sentenza della corte suprema degli Stati Uniti. Laddove aveva fallito un'amministrazione repubblicana è riuscito invece al democratico Obama. 4 settembre 2013 |