Compromesso al ribasso alla Conferenza Onu a Bali sul clima Alla fine anche gli Usa votano a favore. Dissenso degli ambientalisti Entro il 2009 un piano per ridurre l'inquinamento Nel caso della Conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Bali, in Indonesia, dal 3 al 14 dicembre scorsi è il caso di dire che la montagna ha partorito un topolino. Partita dalla necessità di dare risposte concrete per abbattere le emissioni di gas inquinanti e dare un seguito al protocollo di Kyoto che scade nel 2012 si è risolta in un accordo al ribasso che definisce in particolare un percorso di discussione, una "road map" per raggiungere un possibile accordo nel 2009. Un progetto che ha visto alla fine anche il consenso degli Usa, il maggior paese inquinante e il più riottoso a prendere provvedimenti, In un appello lanciato alla vigilia della conferenza da oltre duecento scienziati dell'Intergovernamental Panel on Climate Change (Ipcc), l'organismo istituito dall'Onu per studiare l'evoluzione del clima, si affermava che "abbiamo a disposizione solo una finestra di 10-15 anni per trasformare il picco delle emissioni di CO2 in una riduzione di almeno il 50% entro il 2050", avvisavano i climatologi che spronavano i partecipanti a muoversi immediatamente per "invertire la tendenza nella crescita delle emissioni" e per trovare un nuovo accordo globale che fissasse limiti forti e vincolanti alle emissioni della grande maggioranza delle nazioni. Altrimenti, denunciava l'appello, "milioni di persone saranno esposte a eventi atmosferici estremi come ondate di calore, siccità, inondazioni, tempeste e innalzamento del livello del mare", mentre "molti ecosistemi, piante e specie animali, saranno in serio pericolo di estinzione". Un serio allarme per nulla raccolto dai rappresentanti delle 180 nazioni paretcipanti alla XIII Conferenza dell'Onu sui mutamenti climatici. La "road map" approvata a Bali non prevede nessun impegno concreto sulla riduzione dei gas inquinanti ma solo un percorso per negoziare un nuovo accordo sui mutamenti climatici, un accordo da negoziare entro il 2009 e che dovrebbe entrare in vigore alla fine del 2012 e essere vincolante per tutti i Paesi. Su pressioni degli Usa il testo dell'accordo in particolare non fa alcun riferimento a cifre per quanto riguarda la riduzione delle emissioni. Il precedente Protocollo di Kyoto, mai ratificato dagli Stati Uniti, indicava a tutti i maggiori paesi industriali il taglio delle emissioni di gas serra tra il 2008 e il 2012 mentre non erano interessati i Paesi in via di sviluppo a partire da Cina e India che si stanno conquistando a grandi passi la vetta delle nazioni più inquinanti in parallelo alla loro scalata verso l'alta classifica delle superpotenze economiche. E proprio per non concedere vantaggi alle concorrenti Cina e India gli Usa hanno preteso che comunque il nuovo accordo non abbia sconti di nessun genere per nessuno. L'unica concessione fatta dai rappresentanti americani è stata quella di far riferimento nei documenti alle "raccomandazioni" contenute nel rapporto dell'Ipcc, senza ovviamente l'obbligo di metterle in pratica. Una ridicola concessione in cambio della cancellazione dal testo finale di qualunque riferimento alle cifre, ovvero a quei tagli delle emissioni di gas serra del 25-40 per cento entro il 2020, rispetto alle emissioni del 1990, che erano considerati già un compromesso da numerose organizzazioni ambientaliste. Molte delegazioni sono uscite da Bali con la consolazione che senza un accordo si sarebbe arrivati al 2012 col Protocollo di Kyoto scaduto e nessun nuovo impegno o negoziato aperto. Con queste premesse è arduo solo pensare che nel 2009 a Copenaghen un accordo possa essere raggiunto. Tra l'altro è da ricordare che il protocollo di Kyoto fu già un compromesso insufficiente tra le maggiori potenze economiche tanto che, secondo un indagine di varie organizzazioni ambientaliste, i paesi più industrializzati fra il 1990 e il 2005 hanno aumentato le loro emissioni di gas inquinanti dell'11%. L'intesa di Bali secondo le organizzazioni ambientaliste non assicura affatto che i paesi industrializzati negozieranno impegni vincolanti per la riduzione dei gas serra. Tra le altre Greenpeace ha criticato anche quello che sembrava uno dei pochi passi avanti nella lotta all'inquinamento ambientale, ossia l'accordo per la protezione delle foreste tropicali minacciate dallo sviluppo dei bio-combustibili: troppi interessi a favore del nuovo "oro nero" e troppo poca contro la deforestazione provocata dall'estensione delle colture necessarie alla produzione dei nuovi carburanti. 9 gennaio 2008 |