Bertinotti concepisce il "conflitto di classe" in funzione delle riforme borghesi e capitalistiche La conferenza dei lavoratori del PRC ignora la lotta di classe e il socialismo Pochi operai, quasi assenti quelli della ThyssenKrupp, e pochi giovani Giordano e Zipponi sdraiati sul riformismo Com'è andata la Conferenza nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori del PRC, svoltasi il 9 febbraio a Torino, sotto un tendone montato davanti alla fabbrica ThyssenKrupp? Quasi un fallimento per partecipazione, come si apprende dalla cronaca apparsa su "Liberazione" del giorno dopo: pochi operai, appena una dozzina i lavoratori presenti della ThyssenKrupp che non molto tempo fa a centinaia avevano marciato contro la strage operaia subita, quasi assenti i giovani. Circa l'analisi e le proposte portate in questa Conferenza, che si trovano nel messaggio inviato da Bertinotti, nella relazione di Maurizio Zipponi, responsabile del settore lavoro della segreteria PRC, negli interventi del segretario Giordano e del ministro Ferrero c'è una piena conferma della natura riformista, nella versione trotzkista, di questo partito, c'è la conferma della svolta governativa da esso compiuta con la partecipazione al governo Prodi, c'è la conferma di una crisi profonda di credibilità che cresce tra militanti ed elettori. L'intervento di Bertinotti ruota attorno al binomio "conflitto di lavoro-conflitto di classe" dal quale la "sinistra in Europa e in Italia" deve ripartire - sostiene - per evitare il declino e perfino lo "sradicamento". Ma per lui questo "conflitto di classe" ha un contenuto riformista borghese, non è finalizzato ad aggredire e sconfiggere le cause del lavoro salariato, della precarietà, dei bassi salari, degli infortuni e delle morti sul lavoro, del peggioramento complessivo delle condizioni di vita delle masse popolari, in una parola il capitalismo, ma a correggerne le storture e a innovarlo. "Lo stesso pensiero liberale - scrive infatti - ne ha dovuto riconoscere il carattere progressivo. Un'intera letteratura sociologica ha studiato il conflitto come spinta all'innovazione del processo produttivo e delle relazioni sociali, e ancora come stimolatore dell'economia". Bertinotti lamenta un capovolgimento ad opera del neoliberismo e della globalizzazione capitalistica di questa visione (riformista di stampo liberale e socialdemocratico) che aveva prodotto un progresso nel diritto e nella legislazione, cita lo "Statuto dei lavoratori" e l'art.1 e 3 della Costituzione italiana, facendo diventare il lavoro una variabile dipendente del sistema economico e riducendolo nella sola dimensione di merce. A parte l'ambiguità del termine generico lavoro, invece che parlare di operai, di lavoratori, di proletariato, nel capitalismo, sia nella sua versione più selvaggia e reazionaria sia in quella riformista, la forza-lavoro è sempre schiava ed è sempre considerata merce. Da quando Marx lo denunciò nella sua opera "Il Capitale" questa realtà non è mutata. Il leader di Rifondazione insiste con il "conflitto di lavoro, come conflitto di classe, fondamento della politica di trasformazione", ma non dice di quale trasformazione si tratti sui piani economico, istituzionale, politico e sociale. Evita persino di evocare, come ha fatto altre volte, il cosiddetto "Socialismo del XXI secolo". Manca del tutto un'impostazione anticapitalista in Bertinotti, per quanto ami discettare di "sinistra" e di "antagonismo". D'altra parte cosa ti puoi aspettare da uno che occupa la terza carica dello Stato borghese e che si propone addirittura come candidato premier nelle prossime elezioni politiche? La stessa linea si riscontra negli interventi del ministro della solidarietà Paolo Ferrero e del sottosegretario al Lavoro, Rosa Rinaldi, che non vanno oltre una politica di "riforme legislative", "per rendere dignità al lavoro", le quali non indeboliscono ma rafforzano il sistema capitalistico. La relazione di Zipponi sembra essere stata pensata e scritta prima della crisi di governo, per quella "seconda fase" dell'esecutivo Prodi vagheggiata dal vertice della Sinistra arcobaleno. Una relazione priva di un bilancio e di un'autocritica sulla fallimentare esperienza governativa. Priva di una corretta e approfondita critica al sistema capitalistico e alle sue istituzioni. Nemmeno una parola sul socialismo e sulla lotta di classe. Non fa alcuna chiarezza sull'attuale momento politico caratterizzato dal lavorio per il passaggio dalla seconda alla terza repubblica per iniziativa di Berlusconi e Veltroni. Non abbozza alcuna critica alla linea e all'operato concertativi e neocorporativi dei vertici sindacali confederali. Una relazione con un taglio meramente sindacale che si limita ad elencare una serie di problemi in materia di sicurezza sul lavoro, precarietà, previdenza, salari, contratti, che si limita ad avanzare alcune proposte rivendicative alcune contenute nei progetti di legge presentati nella legislatura appena conclusa anticipatamente, ed altre di nuovo conio assai discutibili. Come quella di riunificare gli attuali 260 contratti nazionali in tre soli contratti di area: pubblico impiego, industria e servizi. Si tratta comunque di una piattaforma rivendicativa, quella proposta nella Conferenza, del tutto insoddisfacente, non c'è, per dirne una, la richiesta dell'abrogazione della legge 30, confermata dal Protocollo Prodi del 23 luglio 2007, votato anche dal PRC in sede di trasformazione legislativa. Zipponi, come Giordano nel suo intervento, entrambi sdraiati sul riformismo, portano avanti una tesi mistificatoria che va smascherata. Poiché, sostengono, il PD di Veltroni ha assunto una posizione di "equidistanza" tra imprenditori e lavoratori, spetta al PRC e con esso alla Sinistra arcobaleno, rappresentare i lavoratori e farsi carico dei loro bisogni. Come a dire: siamo noi il partito degli operai e dei lavoratori. Niente di più falso e infondato. Perché? Il PRC non è mai stato e men che meno lo è oggi un partito proletario per ideologia, programma, modello organizzativo e pratica sociale. Il PRC non solo non si fonda sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao che rappresenta l'ideologia e l'esperienza storica del proletariato internazionale, ma non riconosce neanche la centralità della classe operaia. Il PRC non è un partito di opposizione di classe, ma parte integrante della "sinistra" borghese. Non per caso è in procinto di autosciogliersi e di confluire nel calderone della Sinistra arcobaleno, e con ciò cancellare i simboli della falce e martello e abbandonare la denominazione comunista. Non punta sulla lotta di classe ma sul riformismo, l'elettoralismo, il parlamentarismo e la nonviolenza. Il suo orizzonte non è il socialismo, ma il capitalismo: riformato quanto si vuole, ma sempre capitalismo. 13 febbraio 2008 |