La Camera di Berlusconi approva il conflitto d'attribuzione L'obiettivo è quello di impedire il processo al neoduce per il Rubygate. La Corte costituzionale dovrà giudicare se il premier sarà giudicato dal tribunale dei ministri o da quello di Milano Martedì 5 aprile, giusto alla vigilia dell'apertura del processo sul cosiddetto Rubygate in cui Berlusconi è imputato di concussione e prostituzione minorile, una Camera militarizzata dal governo presente al gran completo ha approvato con 12 voti di scarto il conflitto di attribuzione sollevato dalla maggioranza davanti alla Corte costituzionale per togliere il processo al Tribunale di Milano e assegnarlo al Tribunale dei ministri. 314 deputati della maggioranza PDL-Lega-"Responsabili", compresi altri tre nuovi acquisti dell'ultim'ora (i Lib-Dem Melchiorre e Tanoni e l'ex IDV e MPA Misiti), hanno cioè controfirmato la balla colossale e indecente che la famosa telefonata di Berlusconi alla questura di Milano per far rilasciare Ruby fu fatta in veste ufficiale di capo del governo per evitare un incidente internazionale, in quanto egli credeva davvero che la minorenne dei festini di Arcore fosse la nipote di Mubarak. Solo con questo ridicolo ma tuttavia sufficiente trucco il governo ha potuto inventare e motivare il ricorso alla Consulta per scippare il processo ai giudici milanesi e avocarlo per competenza al Tribunale dei ministri, compiendo così il primo passo per rinviarlo di mesi, se non addirittura cancellarlo del tutto. A questo punto, infatti, se la Corte costituzionale dovesse giudicare ammissibile il ricorso, il che potrebbe avvenire già entro questa estate, il processo di Milano potrebbe essere sospeso in attesa della sentenza, il che richiederebbe almeno un anno. Se poi la sentenza fosse di riconoscimento del conflitto il processo a carico di Berlusconi verrebbe tolto ai giudici naturali e assegnato al Tribunale dei ministri, che è sempre formato da magistrati, ma che dovrebbero chiedere l'autorizzazione a procedere contro il premier al parlamento, col risultato che è facile immaginare. E il neoduce ha fondati motivi di sperare in una sentenza a lui favorevole, visto che a breve dovrà essere eletto il nuovo presidente della Consulta e che il candidato più favorito, Alfonso Quaranta, è ritenuto vicino alla maggioranza. Il che, con l'uscita dell'attuale e meno schierato presidente De Siervo, lo renderebbe arbitro di una Corte praticamente spaccata a metà. "Toni bassi" come vuole Napolitano Anche se il voto ha confermato che la maggioranza di governo "tiene", sia pure grazie alla presenza massiccia di tutti i ministri in aula (assenti solo Berlusconi, per "decenza istituzionale", e Maroni in missione in Tunisia), la maggioranza nero-verde ha evitato stavolta le solite scene di becera esultanza. Il neoduce aveva dato infatti ordine preciso di non ripetere le sconce esibizioni della settimana precedente, culminate con la sfuriata squadristica del fascista La Russa per aver subito la lapidazione a base di monetine davanti a Montecitorio; esibizioni che avevano disgustato l'opinione pubblica interna e la stampa internazionale e costretto Napolitano a richiamare ufficialmente i capigruppo di Camera e Senato. Il nuovo Mussolini non vuole che altri incidenti possano ostacolare il cammino degli altri provvedimenti ammazza-processi in discussione in parlamento, primo fra tutti la "prescrizione breve" per gli incensurati che vuole approvata ad ogni costo entro questa settimana, e poi non vuole irritare oltre l'inquilino del Quirinale che dovrà controfirmarli. Per questo ha raccomandato ai suoi gerarchi e tirapiedi vari di tenere un "profilo basso" in aula. Quel che stupisce e indigna di più, però, è che lo stesso "profilo basso" sia stato tenuto anche dalla cosiddetta "opposizione" che, a parte Di Pietro ("Berlusconi ha scelto Montecitorio per non andare a San Vittore") e pochi altri deputati isolati, ha evitato anch'essa i toni accesi da contrapposizione frontale che l'arrogante e indecente golpe imposto dalla maggioranza avrebbe meritato; mostrando così di obbedire a bacchetta alle raccomandazioni che il nuovo Vittorio Emanuele III aveva rinnovato, proprio alla vigilia del voto sul Rubygate, anche durante l'incontro con i magistrati dell'ANM, saliti al Quirinale per chiedergli solidarietà contro i quotidiani attacchi del neoduce, e che si sono invece sentiti ammannire l'ennesimo sermone sulla necessità di un "confronto senza pregiudiziali" e sulla "massima disponibilità all'ascolto e alla considerazione delle diverse impostazioni e proposte", affinché le nuove regole "siano ispirate al principio di un'ampia condivisione", ecc. Perfino lo stesso presidente della Camera, il fascista ripulito Fini, nonostante che il suo partito FLI abbia votato contro, è stato elogiato dalla maggioranza per aver ammesso la votazione in aula sul conflitto di attribuzione, cosa che avrebbe anche potuto rifiutarsi di fare a norma di regolamento. Questo per sottolineare il clima più "disteso" calato nel parlamento nero dopo gli accorati appelli di Napolitano. Anche le manifestazioni che fuori da Montecitorio e in alcune piazze di Roma hanno animato l'intera giornata del voto sul Rubygate hanno risentito di questo clima appiccicoso ed equivoco, in quanto il PD le ha accortamente gestite, depotenziate e deviate in chiave istituzionale e patriottarda, tra bandiere tricolori e inni patriottici come l'inno di Mameli e il "Vapensiero", proibendo invece tassativamente lanci di monetine, canzoni antifasciste e slogan troppo espliciti, in ottemperanza ai "toni bassi" e al "rispetto dei luoghi istituzionali" pretesi dal nuovo Vittorio Emanuele III. Un ingorgo di leggi vergogna Alle ormai sempre più insistenti richieste dei movimenti democratici, antifascisti e antiberlusconiani che chiedono alla "sinistra" parlamentare di bloccare il parlamento, il PD risponde con Bersani che "restiamo in parlamento per evitare colpi di mano". Come se i colpi di mano del governo non fossero invece pane quotidiano in un parlamento ridotto dal neoduce a un timbrificio per le sue leggi vergogna. Che ormai non si contano più, dalla "prescrizione breve" che dovrebbe essere licenziata in questi giorni dalla Camera, al "processo lungo" in discussione al Senato, che consentirà agli avvocati del premier di poter citare un numero illimitato di testimoni a discarico per allungare all'infinito i tempi del processo così da far scattare appunto la "prescrizione breve". Per non parlare di altri provvedimenti ad hoc, come il divieto di usare le sentenze passate in giudicato come prova in altri procedimenti giudiziari, tra cui, guarda caso, quella della Cassazione sul caso Mills che attesta l'avvenuta corruzione dell'avvocato inglese da parte del premier. Mentre alla Camera è stata presentata un'altra "leggina" per impedire l'uso delle intercettazioni come prova nei processi. E non bisogna dimenticare la norma sulla "responsabilità civile" dei magistrati, per ora solo rinviata per dare la precedenza alla "prescrizione breve" e il ddl Gasparri-Quagliariello per vietare al Consiglio superiore della magistratura di aprire pratiche a tutela dei magistrati. Provvedimenti, questi ultimi due, estrapolati dalla "grande riforma" costituzionale della giustizia, a dimostrazione che essa è solo una cornice formale i cui contenuti verranno fatti passare ad uno ad uno con leggi ordinarie a colpi di maggioranza, saltando così a pie' pari la barriera dell'articolo 138 della Costituzione. 13 aprile 2011 |