Caso Ruby I capigruppo della maggioranza chiedono a Fini di sollevare il conflitto di attribuzione Il primo marzo i capigruppo di maggioranza, Fabrizio Cicchitto (PDL), Marco Reguzzoni (Lega) e Luciano Sardelli (Iniziativa responsabile), nel tentativo di sottrarre ancora una volta il neoduce Berlusconi al processo immediato per concussione e prostituzione minorile chiesto dai giudici di Milano per il caso Ruby, hanno inviato al presidente della Camera, Gianfranco Fini, una lettera nella quale chiedono di sollevare il conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato "a tutela delle prerogative della Camera", sulla base dell'articolo 96 della Costituzione e per "l'assoluta infondatezza ed illogicità dei capi di imputazione". "All'Organismo parlamentare - si legge nella missiva dei capigruppo del nuovo Mussolini - non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria. Né tantomeno ove non condivida la conclusione negativa espressa dal Tribunale dei ministri - la possibilità di sollevare conflitto d'attribuzioni davanti alla Corte costituzionale - assumendo di essere stato menomato per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall'Articolo 96 della Costituzione". Una mossa orchestrata a sommo studio dai gerarchi del nuovo Mussolini che di fatto ha costretto il fascista ripulito Fini a venire allo scoperto e ad assecondarli per salvare la poltrona di presidenza della Camera evitando l'accusa di "parzialità" che in caso di opposizione avrebbe permesso al PDL di sollevare il problema della eccessiva politicizzazione della presidenza della Camera, magari anche davanti a Napolitano. Non a caso i capigruppo nella missiva sottolineavano fra l'altro che tocca proprio al presidente della Camera stoppare le pretese dei magistrati milanesi sempre più determinati a occuparsi del caso Ruby nonostante il pronunciamento di Montecitorio che sulla vicenda aveva chiesto l'intervento del tribunale dei ministri. E che i magistrati di Milano decidendo di continuare a occuparsi del "caso Ruby" avrebbero leso le prerogative dell'assemblea di Montecitorio e avrebbero dato della disciplina vigente "un'interpretazione scorretta". Del resto lo stesso Fini pochi giorni prima aveva pubblicamente dichiarato: "non ci sono precedenti. Sarà una decisione presa alla luce dei regolamenti... Non ci sarà conflitto istituzionale tra il mio ruolo di presidente della Camera e il mio ruolo politico". La questione, aveva anche detto, "sarà valutata dall'ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento". Tant'è che nel giro di poche ore Fini ha fatto sapere che non opporrà alcun ostacolo all'iter parlamentare del conflitto sollevato da Berlusconi perché, ha tentato di giustificarsi il falso moralizzatore in camicia nera: "Se mi mettessi per traverso, se mi opponessi al conflitto, se non lo portassi in aula, ne verrebbe intaccato il mio ruolo, non sarei più un presidente super partes. E loro non aspettano che questo per sollevare un conflitto, questa volta su di me". Ma ciò non basta al neoduce Berlusconi e ai suoi gerarchi che adesso premono affinché "Fini si spicci" perché "è opportuno che la Camera mandi il conflitto alla Consulta prima che a Milano cominci il processo Ruby" e ipotizzano che il conflitto possa essere discusso dall'Aula nel giro di quindici giorni, in modo che possa arrivare sui tavoli della Corte prima della fine di marzo. 9 marzo 2011 |