Congresso di scioglimento dei DS Finisce un altro inganno dei rinnegati che si riciclano nel partito democratico di matrice liberale Come da tempo gli chiedeva la classe dominante borghese, col congresso di scioglimento dei Democratici di sinistra, svoltosi dal 19 al 21 aprile a Firenze, i rinnegati del comunismo hanno finalmente celebrato il funerale del partito sopravvissuto alla fine del PCI revisionista, per essere pronti ad entrare nel partito democratico di matrice liberale e cattolica disegnato dall'economista democristiano Prodi. Un funerale non soltanto in senso metaforico, visti i fiumi di lacrime versati, sia da chi va sia da chi resta, che in certi momenti hanno trasformato questa quarta ed ultima assise dei DS in uno stucchevole psicodramma collettivo, degno più di una fiction televisiva che di un evento politico definito tanto pomposamente "storico" dai suoi stessi protagonisti. Finisce così un altro inganno, dopo quello durato 70 anni del PCI revisionista di Gramsci, Togliatti e Berlinguer, una fine che era già scritta nella "svolta della Bolognina" del rinnegato Occhetto e dei suoi "colonnelli" di allora, tra cui D'Alema, Veltroni e Fassino, oggi protagonisti della chiusura definitiva di quella storia che di tradimento in tradimento, passando per la socialdemocrazia e il riformismo, è approdata definitivamente al liberalismo borghese, principio fondante del partito democratico di stampo americano che i DS andranno a costruire insieme alla Margherita. Un trapasso che si è compiuto senza alcuna scossa, visto che la "sinistra" interna di Mussi e Salvi ha rinunciato anche a questa ultima occasione per dare battaglia, e il suo unico intervento è stato quello peraltro lacrimoso e tutto giocato sul registro sentimentale del ministro dell'Università, che si è limitato a confermare la non adesione del correntone al PD. Del resto i giochi erano già stati fatti nei pre-congressi locali dove la mozione di Fassino aveva ottenuto i tre quarti dei consensi, e quindi non ci si aspettavano sorprese dalla platea super selezionata del congresso. Una platea dove gli operai e i lavoratori bisognava cercarli col lanternino, formata nella stragrande maggioranza da funzionari di partito, consiglieri comunali, provinciali e regionali, assessori, sindaci e amministratori di enti, studenti, professori, imprenditori, professionisti, ormai avvezza al potere, ai compromessi e al pragmatismo senza principi, pronta ad accettare senza problemi anche quest'ultima e definitiva "svolta" in braccio al capitalismo, al liberalismo e perfino al clericalismo, come rivela il sondaggio Swg secondo cui tra i personaggi più apprezzati dai congressisti, dopo Berlinguer e Gramsci, al terzo posto c'è nientemeno che il democristiano De Gasperi, prima del revisionista Togliatti. Il disgustoso show del neoduce Berlusconi Non sorprende che una simile platea prettamente borghese non si sia trovata a disagio nella coreografia hollywoodiana del Mandela Forum (primo assaggio di quel che saranno le future convention all'americana del PD), tutta colorata di arancione (il colore, guarda caso, delle cosiddette "rivoluzioni democratiche" fomentate a est dall'imperialismo occidentale), o a cantare patriotticamente in coro l'inno di Mameli mentre centinaia di teleschermi mandavano l'immagine del tricolore. Non sorprende nemmeno - in un congresso tanto americanizzato - l'accoglienza calorosa tributata al leader del Partito Democratico americano, Howard Dean, il cui intervento è stato interrotto da numerosi applausi con le congratulazioni finali di Fassino che gli ha anche alzato il braccio in segno di vittoria. Più sorprendente, anzi francamente disgustoso, è lo show che il neoduce Berlusconi ha potuto fare impunemente piombando in platea con relativo codazzo di tirapiedi e giornalisti, rilasciando dichiarazioni e interviste, ricevendo gli omaggi e le strette di mano dei dirigenti DS, e senza che dai congressisti si levasse nemmeno un fischio o un accenno di contestazione. Tanto che la stampa di regime ha potuto dare per avvenuto lo "sdoganamento" di Berlusconi presso il "popolo della Quercia", mettendo in relazione l'accoglienza quantomeno non ostile al neoduce da parte del congresso con le parole di Fassino, da lui sottolineate con enfasi nella relazione, che "nella democrazia matura e forte non ci sono nemici", ma solo "avversari che si combattono anche aspramente, ma si riconoscono e si rispettano". Ecco chi fa tornare e rimette in gioco Berlusconi! Non certo chi contesta la politica antipopolare e interventista del governo Prodi, bensì proprio quei partiti che lo rappresentano e che ricattano l'elettorato di sinistra evocando lo spettro di Berlusconi per zittire ogni critica, salvo poi rilegittimare il neoduce e inciuciare con lui ad ogni occasione. Come questa del congresso di Firenze, dove da una parte Berlusconi, rispondendo ai demenziali inviti della "sinistra" di regime, è venuto a fare la parte del "salvatore della patria" offrendosi di comprare la Telecom per mantenerne l'"italianità" (chiedendo per di più in cambio l'accantonamento della legge Gentiloni sulle tv e di quella sul conflitto di interessi); e dall'altra Fassino gli ha gettato un robusto ponte sulle "riforme istituzionali", dalla legge elettorale (collegi uninominali, soglia di sbarramento), alla "riforma" del parlamento (riduzione dei parlamentari, Senato federale), al "rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio", al "completamento dell'assetto federale dello Stato". In altre parole gli ha offerto di fare insieme, PD e Casa del fascio, la stessa controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione già approvata nella scorsa legislatura a suon di voti di fiducia dal "centro-destra" e bocciata dal referendum popolare dello scorso giugno! In questo rispondendo anche al messaggio di auguri di Napolitano al congresso, in cui il rinnegato del Quirinale auspicava "il più ampio confronto e possibili vaste intese, alla richiesta di riforma delle istituzioni e del sistema elettorale". Non per nulla, durante questo passaggio della relazione, il neoduce annuiva ripetutamente e applaudiva in maniera ostentata il discorso di Fassino. Il partito americano dei rinnegati Nella sua relazione, iniziata come per una star sulle note mielose di "Over the rainbow", il rinnegato Fassino ha tratteggiato il volto borghese, liberale, liberista e interventista, in una parola americano del "nuovo" partito democratico, cercando di infondere entusiasmo nella platea con un'alluvione di superlativi e di retorica giovanilista e futuristica. Ma ancor meglio di lui lo ha fatto il neopodestà di Roma, Veltroni, il più "amerikano" tra i papabili alla guida del PD, che ha rivendicato il primato di pensare ad esso da almeno dieci anni, e che tra i suoi padri spirituali ha messo Gandhi e Luther King, Olaf Palme e Willy Brandt, John Kennedy e Bill Clinton. E se Fassino si è arrampicato sugli specchi per eludere la questione della collocazione europea del PD nel PSE (che Rutelli e la Margherita rifiutano categoricamente), l'ecumenico Veltroni l'ha semplicemente liquidata come un aspetto secondario e senza importanza, dato che secondo lui la "nuova sinistra democratica" dovrà guardare alle persone e non ai partiti. Anche lui, come Fassino, come D'Alema e gli altri aspiranti alla guida del PD, ha voluto ribadire che "è prematuro parlare di leadership". Ma intanto, a dispetto dell'immagine di unità che il gruppo dirigente dei rinnegati ha cercato di dare ai congressisti, la corsa tra i boss è già cominciata, e ciò è apparso palese dalle ovazioni e dal tifo da stadio che i supporter dei vari Fassino, D'Alema, Veltroni, Finocchiaro e Bersani, hanno inscenato facendo a gara a far salire l'applausometro per i loro candidati preferiti. Il che conferma che nel partito che sta per nascere è ancora più esasperato il dominio dell'individualismo, del leaderismo, delle correnti e dei gruppi di pressione, come del resto accade da sempre nel Partito Democratico americano che i rinnegati vogliono copiare. Il disegno neodemocristiano di Prodi, Parisi e Rutelli Intanto la Quercia in liquidazione ha già perso dei pezzi, con l'uscita del correntone annunciata da Mussi, che darà vita ad un'assemblea costituente parallela per un nuovo raggruppamento a sinistra del PD, mentre il gruppo di Angius, sia pure confermando il dissenso, ha deciso di restare per ora nel vecchio partito in liquidazione e di partecipare al processo costituente del PD che dovrebbe concludersi entro il prossimo autunno. Ma neanche quella di Mussi si può considerare una vera scissione, dato che in tutti gli interventi non è stato fatto altro che ripetere fino alla noia "ci rivedremo", e che lo stesso Mussi ha così spiegato le intenzioni del suo gruppo: "La nostra intenzione è di costruire un movimento politico autonomo che si propone di aprire un processo politico nuovo più a sinistra ma alleato del PD". E poi, tra le lacrime, dopo aver confermato "noi ci fermiamo qui", ha concluso: "Si aprono due fasi costituenti, sarebbe bello un doppio successo". In sostanza, cioè, il gruppo di Mussi si propone come una copertura a sinistra del PD, non chiudendo del tutto le porte a un futuro rientro in quel partito, come del resto gli ha profetizzato il suo vecchio amico D'Alema, ricordandogli maliziosamente anche i suoi sarcastici giudizi di un tempo contro i nostalgici del PCI che resistevano alla sua liquidazione dopo la "svolta della Bolognina". Quale sia l'egida sotto la quale si è consumato questo ultimo atto del partito dei rinnegati e chi sia al timone della barca che li dovrà traghettare armi e bagagli nel partito democratico di matrice liberale lo si capisce dai diktat di Rutelli, che anche a congresso di scioglimento dei DS in corso, dalla tribuna del parallelo congresso di scioglimento della Margherita che si teneva in contemporanea a Roma, non ha mai smesso di sparare a zero sull'ipotesi di collocamento del PD tra i partiti socialisti europei. Ma lo si capisce anche e soprattutto dalla lettera che Prodi, dopo essere intervenuto al congresso DS per incassare uno scontato riconoscimento di leader indiscusso del PD, almeno finché non emergerà un suo successore più giovane, ha inviato a "La Repubblica" per rivendicare a sé stesso e a Parisi, ben 12 anni fa, il disegno del partito democratico. Come dire che si sta puntualmente realizzando l'inglobamento dei superstiti dell'ex PCI nella vecchia DC risorta nella Margherita da lui stesso creata con singolare preveggenza proprio per quello scopo. 24 aprile 2007 |