Sotto inchiesta tutta la Unipol
(Biografia di Consorte) Consorte e Sacchetti si dimettono L'ex presidente di Unipol è accusato di associazione a delinquere, insider trading, ricettazione e appropriazione indebita, manipolazione del mercato, ostacolo all'autorità di vigilanza e aggiotaggio Mentre D'Alema e Fassino continuano a gridare al "complotto" e tentano di liquidare la scandalosa vicenda Unipol-Bnl come frutto di una "strumentale campagna nata a comando a 90 giorni dalle elezioni", sul piano giudiziario la posizione di Unipol, dell'ex presidente Giovanni Consorte, del suo vice Ivano Sacchetti e del compare di scalate Emilio Gnutti si aggrava ogni giorno di più. Indagati da tre procure (Roma, scalata Bnl e Rcs, Milano scalata Antonveneta e Perugia rivelazione segreto d'ufficio) gli ex vertici di Unipol hanno già collezionato una raffica di reati gravi e infamanti che vanno dalla ricettazione all'appropriazione indebita, dall'aggiotaggio alla manipolazione del mercato fino all'insider trading e ostacolo all'autorità di vigilanza. Ma la tegola più grossa sul capo di Consorte, Sacchetti e Gnutti è arrivata il 4 gennaio, proprio nel giorno dei preparativi del primo Consiglio di amministrazione presieduto dai loro successori Pierluigi Stefanini e Turiddu Campaini. La nuova accusa formulata dalla procura di Milano è pesantissima: associazione a delinquere finalizzata all'appropriazione indebita. Lo stesso reato associativo (finalizzato ad aggiotaggio, appropriazione indebita e ad altri reati legati alla scalata della banca veneta) che il 13 dicembre scorso ha portato in carcere il loro alleato di scalate Gianpiero Fiorani e tutta la sua banda di malfattori a cominciare dal suo braccio destro Gianfranco Boni e dal "tesoriere personale" Silvano Spinelli, i gestori del fondo Victoria&Eagle Strategic Fund S.A. Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont e altre 6 persone. La nuova accusa allo studio dei magistrati si riferisce anche ai 50 milioni di euro con i quali Gnutti ha retribuito Consorte e Sacchetti per anni di "consulenze" prestate durante le vicende finanziarie che hanno riguardato la sua creatura finanziaria Hopa. Per poter usufruire dei "consigli" di Consorte e Sacchetti, Gnutti ha pagato i due in Italia come esperti finanziari (non come manager Unipol, ha dichiarato lo stesso Consorte), mascherando i compensi dietro plusvalenze su operazioni borsistiche particolarmente "fortunate". A ciascuno sarebbero così andati in nero 25 milioni di euro. Una delle consulenze riguardava la vendita nel 2001 a Pirelli/Benetton del 24% di Olivetti, "scalata" nel '99 da Colaninno, Gnutti e alleati (tra cui Unipol). Consorte ha detto agli inquirenti di non aver mai toccato quel denaro, se non per una piccola parte usata nell'acquisto di una casa. Il resto si troverebbe ancora nella sua disponibilità ed è stato regolarizzato fiscalmente facendo ricorso all'ultimo condono tombale varato dal governo del neoduce Berlusconi. L'aggravante ulteriore questa volta è che a finire tra le grinfie degli inquirenti non sono soltanto i vertici ma tutta l'Unipol che risulta indagata come persona giuridica per responsabilità oggettive in violazione della legge 231, cioè la normativa europea recepita dall'Italia che impone alle aziende di predisporre modelli organizzativi idonei a prevenire fatti illeciti. La stessa pesante accusa i Pm milanesi l'hanno rivolta anche al "capitano coraggioso" Emilio Gnutti, coinvolto fino al collo nelle inchieste giudiziarie sulle scalate ad Antonveneta, Rcs e Bnl, e costretto alle "dimissioni a catena" da tutte le cariche che ricopriva nei vari Cda di Unipol; Olimpia, la holding di cui è consigliere e alla quale fa capo Telecom; Hopa, la finanziaria di cui è fondatore; Monte dei Paschi di Siena e Asm Brescia, l'azienda ex municipalizzata che fornisce acqua, gas ed energia elettrica. Dagli atti dell'inchiesta emerge che Consorte non solo ha utilizzato metodi illeciti per scalare una banca che sul mercato vale 5 volte l'Unipol; ma ha anche sfruttato le informazioni finanziarie di cui era in possesso per realizzare insieme a Gnutti e Sacchetti da una parte, e con Fiorani e la sua banda dallŽaltra, guadagni illegittimi e plusvalenze dorate nel giro di poco tempo e sulla pelle dei piccoli risparmiatori. Il nuovo capo d'accusa a carico di Consorte e Gnutti pare sia stato notificato in "diretta" dal procuratore aggiunto Francesco Greco al termine degli interrogatori a cui sono stati sottoposti a fine dicembre i due indagati e durante i quali sia Consorte, ma ancora di più Gnutti, avrebbero, sia pure parzialmente, ammesso le loro responsabilità. Da qui scaturisce il nuovo filone d'inchiesta su cui si sta concentrando ora la procura di Milano inerente i guadagni illeciti di Consorte e Sacchetti accantonati nei rispettivi conti cifrati presso la filiale monegasca dell'Unione delle banche svizzere (Ubs). L'ipotesi investigativa è diretta a verificare l'esistenza di una sorta di "seconda testa" dell'associazione delinquenziale di Consorte, Sacchetti e Gnutti che si sarebbe mossa in perfetta sintonia con Fiorani e Boni, con cui aveva numerosi affari in comune. Perciò, in attesa di sentire nuovamente i tre protagonisti di questo nuovo e non meno inquietante filone di inchiesta (Sacchetti dovrebbe essere interrogato per la prima volta, Gnutti e Consorte dovrebbero invece tornare e portare documenti e memorie difensive), gli inquirenti si preparano a dare la caccia ai conti bancari cifrati depositati dall'ex coppia del vertice Unipol a Montecarlo. Nella filiale monegasca dell'Ubs, per esempio, tra la fine del 2001 e l'inizio del 2002 gli inquirenti hanno accertato che sono stati accreditati circa 5 milioni di euro su un conto riferibile e Consorte. Ma si tratta solo di un passaggio intermedio, perché dopo pochi mesi quei soldi sono ripartiti alla volta dell'Italia. L'operazione fu gestita dal banchiere Paolo Di Nola, attualmente alla Compagnie Mongasque de Banque, che la scorsa estate fu intercettato più volte al telefono con Gianfranco Boni. Ma i "panni sporchi" che Consorte e Sacchetti avrebbero preferito "lavare in famiglia" non finiscono qui, perché i due, come riferisce una nota dell'Ufficio Italiano dei Cambi, erano in grado di mettere in piedi operazioni davvero strabilianti. Come nel marzo del 2003, quando guadagnarono 3,5 milioni di euro a testa in un solo giorno, comprando due pacchetti di obbligazioni Antonveneta per un controvalore di 25.037.500 euro e rivendendole all'indomani alla Banca Popolare di Lodi per 28.521.307 euro. Oltre ai 2 milioni e 400 mila euro frutto di un'operazione su titoli Unipol e versati in parti uguali sui conti di Consorte e Sacchetti, secondo gli ultimi sviluppi dell'inchiesta (basati sull'interrogatorio dell'agente di borsa e cliente "vip" della Bpi, Bruno Bertagnoli, quello del cataletto custodito nel caveoux della banca lodigiana), esistono altri "tesori" cifrati a Montecarlo riconducibili a Consorte dove, secondo quanto riferito da Bertagnoli, egli stesso depositò personalmente a partire dal febbraio 2002 almeno altri 600 mila euro anche questi frutto di plusvalenze ricavate da complesse operazioni di scambio tra titoli Bpi e Unipol. Di fronte a simili accuse, provate e circostanziate, solo un rinnegato come D'Alema può continuare ad affermare "non siamo colpevoli di nulla". Mentre l'ex capo di Unipol Consorte, pur ammettendo che: "ho sbagliato sul piano morale e privato" ha però ancora la faccia tosta di dire che "non ho mai preso un soldo all'Unipol". 11 gennaio 2006 |