Tolta la copertura legale a Berlusconi che dovrà affrontare i processi Mills e Mediaset La consulta boccia il lodo Alfano Le responsabilità di Napolitano sul lodo. Il PD si aggrappa alla Costituzione e si cinge del tricolore, ma non ha il coraggio di chiedere almeno le dimissioni del governo e le elezioni anticipate Ora bisogna muovere la piazza per spazzar via il nuovo Mussolini Il 7 ottobre 2009 la Corte costituzionale ha bocciato il cosiddetto lodo Alfano, ossia la legge approvata dal parlamento il 22 luglio 2008 e controfirmata subito dopo da Napolitano, che prevedeva la sospensione di tutti i processi penali nei confronti delle quattro alte cariche dello Stato: presidente della Repubblica, premier, presidenti di Camera e Senato. La decisione della corte ha scatenato l'immediata e furibonda reazione del nuovo Mussolini, Berlusconi, che si credeva ormai al riparo sul piano giudiziario e che invece dovrà rispondere di gravi reati almeno in due procedimenti già avviati. Colpisce con i suoi strali tutto e tutti, dal capo dello Stato, alla Corte stessa, la magistratura, la stampa, le istituzioni e le televisioni e, soprattutto, annuncia con tono sprezzante e ducesco che non solo il suo governo andrà avanti fino a fine legislatura ma che procederà speditamente alla controriforma della magistratura e non solo, portando a compimento la "Grande Riforma", ossia il "piano di rinascita democratica" di Gelli e della P2. E tutto questo mentre la "sinistra" borghese resta sostanzialmente a guardare inerme e inebetita, rifugiandosi in una Costituzione che di fatto è già carta straccia e che essa stessa ha contribuito a calpestare e far calpestare. Basta ricordare la famigerata Bicamerale golpista di D'Alema e la controriforma del titolo V della Costituzione. Il voto della Consulta I 15 giudici della corte hanno dichiarato il lodo Alfano incostituzionale con una maggioranza di 9 a 6. Hanno votato contro il lodo il presidente della Corte Francesco Amirante e il suo vice Ugo De Siervo, il relatore Franco Gallo, Alessandro Criscuolo, Gaetano Silvestri, Sabino Cassese, Giuseppe Tesauro, Paolo Grossi e Paolo Maddalena. Maria Rita Saulle (nominata da Ciampi) invece si è schierata con Luigi Mazzella e Paolo Maria Napolitano (i due giudici amici che a maggio scorso erano a cena da Berlusconi), Giuseppe Frigo, Alfio Finocchiaro, Alfonso Quaranta. Entro una ventina di giorni il relatore Gallo stenderà le motivazioni. Intanto, in un breve comunicato, la Consulta enuncia che: "La Corte costituzionale giudicando sulle questioni di legittimità costituzionale poste con le ordinanze n. 397/08 e 398/08 del tribunale di Milano e n. 09/09 del Gip del tribunale di Roma ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione. Ha altresì dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della stessa disposizione proposte dal Gip del tribunale di Torino". L'art. 3 è quello che sancisce l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Il 138 è l'articolo che regola la procedura parlamentare per le leggi di revisione costituzionale. In sostanza, la Corte ha dichiarato illegittimo il lodo Alfano perché crea una disparità di trattamento fra i cittadini (art. 3) che può essere ammessa solo modificando la Costituzione attraverso la procedura di una legge di revisione costituzionale (art. 138). La decisione così netta della Corte, che non lascia spazio a riproposte di leggi ordinarie in materia, ha completamente spiazzato il pool governativo impegnato a sostenere il lodo, a cominciare dal guardasigilli Alfano, agli avvocati del premier Niccolò Ghedini (ex Fronte della gioventù, organizzazione giovanile del MSI, poi PLI e quindi Forza Italia) e Gaetano Pecorella (ex Potere operaio, ex avvocato di Soccorso Rosso Militante, poi Democrazia proletaria, quindi PSI e Forza Italia), che hanno sostenuto la legittimità del lodo Alfano davanti alla Corte e hanno continuato a sostenerlo a verdetto compiuto, evocando, in sintonia con il loro padrone, una sorta di "tradimento" e di "trappola" che ha vanificato una vittoria che si sentivano già in tasca. Vedremo più avanti il perché. I guai giudiziari di Berlusconi Tolta la copertura legale, ora Berlusconi dovrà affrontare i processi per i reati accertati nella compravendita dei diritti televisivi Mediaset e per corruzione in atti giudiziari contro l'avvocato inglese David Mills che è già stato condannato a quattro anni e sei mesi e ora è approdato in corte d'appello. In realtà, nel processo Mills, difficilmente Berlusconi arriverà alla condanna. La sua posizione era stata infatti stralciata da quel processo a causa del lodo Alfano e ora il procedimento a carico di Berlusconi dovrà ricominciare da capo: nuovo processo e nuova corte giudicante, diversa da quella che ha processato Mills. Si calcola che per evitare la prescrizione del reato l'intero processo dovrebbe giungere in Cassazione entro non più di due anni. Ci sono poi altre due indagini giudiziarie che pendono sul premier. La prima, sempre della procura di Milano, che l'accusa di appropriazione indebita di fondi Mediaset in concorso con il socio occulto Agrama e per la quale a breve dovrebbe essere richiesto il rinvio a giudizio. L'altra inchiesta, della procura di Roma, riguarda una presunta compravendita di senatori durante l'ultimo governo Prodi. La reazione di Berlusconi La reazione furibonda di Berlusconi non si è fatta attendere. "Abbiamo - esordisce davanti ai giornalisti assiepati a Palazzo Grazioli - una minoranza di magistrati rossi che usano la giustizia a fini di lotta politica. Abbiamo il 72% della stampa che è di sinistra. Abbiamo tutti gli approfondimenti della Tv pubblica che sono di sinistra. Ci prendono in giro anche con gli spettacoli comici. Il capo dello Stato sapete da che parte sta... Abbiamo inoltre i giudici della Corte eletti da tre capi di Stato di sinistra, che fanno della consulta non un organo di garanzia ma politico". In un crescendo di delirio mussoliniano telefona in diretta a "Porta a porta" di Bruno Vespa su Rai1: "Queste cose qua a me mi caricano, agli italiani li caricano. Viva Berlusconi!". Va a Palazzo Venezia insieme al cardinal Bertone a inaugurare una mostra sui santi e marca: "Manca il ritratto di san Silvio da Arcore che fa sì che l'Italia non sia in mano a certi signori della sinistra". E ancora, alla faccia della repubblica parlamentare ancora formalmente esistente: "Io sono l'unico ad essere stato eletto direttamente dal popolo". L'accordo con Napolitano Ma lo scontro più duro è proprio con Napolitano che pure l'aveva assecondato controfirmando immediatamente il lodo Alfano e accompagnando la sua firma con una nota che sembrava fatta apposta per creare alla legge un viatico favorevole alla Consulta. Di fronte alla replica di Napolitano alle accuse di Berlusconi, questi sprezzante risponde: "Mi sento preso in giro, non mi interessa cosa dice". L'arcano viene successivamente chiarito. Già Berlusconi nell'intervento-comizio a "Porta a porta" aveva svelato: "il presidente della Repubblica aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra della Corte". E rivolto ai suoi avvocati e al ministro Alfano: "Mi avete detto che il lodo era inattaccabile, che l'avevate scritto a quattro mani con Napolitano". E su quest'ultimo aggiunge: "le mie dichiarazioni potrebbero essere anche più esplicite e dirette". A renderle più "esplicite" e "dirette" ci pensa poi il direttore de "Il Giornale" di famiglia, Vittorio Feltri, che rivela che sarebbe stato proprio il Quirinale a proporre al governo di ripresentare il lodo Maccanico-Schifani (bocciato dalla Corte costituzionale qualche anno fa), corretto e modificato secondo le raccomandazioni dei giudici, in cambio del ritiro dell'emendamento governativo al pacchetto sicurezza che bloccava i processi per 18 mesi, assicurando un iter breve in parlamento e il parere questa volta favorevole della Consulta. Un "patto fra gentiluomini" lo definisce Feltri, tutt'altro smentito dal comunicato ufficiale della presidenza della Repubblica che sì definisce "del tutto falso che al Quirinale si siano stipulati patti", ma che di fatto conferma l'esistenza di un accordo là dove ammette la "collaborazione tra gli uffici della Presidenza e dei ministeri competenti", che sarebbero "una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione". La "sinistra" borghese inerme Tanto non è bastato per ottenere un sussulto di vita da parte della "sinistra" borghese e in particolare dal PD che si è aggrappato alla Costituzione democratica borghese e si è cinto di tricolore, ma non ha avuto il coraggio di chiedere almeno formalmente le dimissioni del governo e le elezioni anticipate. Al contrario, ha minimizzato il valore del responso della consulta e negato che ciò possa pesare sul futuro del governo, mentre si è rintanato sotto le giacchette del presidente della Repubblica e addirittura dell'"equilibrato" caporione fascista Fini. "L'Unità" pubblica in prima pagina una grande bandiera tricolore con la scritta "la legge è uguale per tutti", in perfetto stile missino. Da parte sua anche "il manifesto" trotzkista pubblica in prima pagina una grande foto con una mano che esce da un fiore tricolore e che impugna la Costituzione e il titolo "Carta vince". La Federazione della sinistra (PRC, PdCI, Salvi) non è da meno. In una nota firmata da Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto, Cesare Salvi e Giampaolo Patta pubblicata su "Liberazione" dell'8 ottobre in prima pagina, chiede sì le dimissioni del governo e le elezioni anticipate, ma per proporre "alle forze democratiche" (dal PD, all'IdV, all'UDC) "un accordo per una brevissima legislatura di garanzia costituzionale". La "Grande Riforma" Incassata così la blanda reazione della "sinistra" borghese e rassicurato sulla tenuta della sua maggioranza dopo l'incontro fra Bossi e Fini poche ore prima della sentenza della Corte, nel quale i due hanno ribadito che il governo doveva andare avanti comunque perché, come ha spiegato Bossi, "dobbiamo fare le riforme", Berlusconi ha finito per capovolgere a suo favore la situazione e per spingere l'acceleratore sulla controriforma istituzionale e costituzionale annunciando da Benevento che è intenzionato a portare a compimento la "Grande Riforma" piduista e presidenzialista: sia per quanto riguarda la magistratura, attraverso la separazione delle carriere dei giudici e l'assoggettamento dei Pm all'esecutivo, sia per quanto riguarda il governo, ossia l'introduzione non solo di fatto del presidenzialismo, sia per quanto concerne il completamento della controriforma federalista. Cos'altro deve accadere per riconoscere che siamo già in pieno regime neofascista i cui caratteri sono il presidenzialismo, il federalismo, l'interventismo, il razzismo e la xenofobia? Come fa Franceschini a continuare a definire Berlusconi un "ominicchio" e a non riconoscere che egli è in realtà il nuovo Mussolini? Non c'è più tempo da perdere. È ora di muovere la piazza per liberarsi del nuovo Mussolini e per abbattere la nuova dittatura fascista. 14 ottobre 2009 |