La Consulta boccia il ricorso di Berlusconi "Una riunione del Consiglio dei ministri non sempre è impedimento legittimo" Il neoduce: "Vogliono eliminarmi dalla politica, ma il governo non rischia" Il 19 giugno la Consulta ha respinto il ricorso avanzato dal neoduce Berlusconi per il "mancato riconoscimento" da parte dei giudici di Milano del legittimo impedimento dell'ex premier a comparire nell'udienza del processo Mediaset del primo marzo 2010 in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri non programmato. La Corte costituzionale ha sottolineato fra l'altro come la riunione del governo, già prevista in una data libera da udienze, fu fissata dall'imputato in altra data coincidente con un giorno di udienza. In una nota diffusa dal palazzo della Consulta si legge fra l'altro che: "La Corte in relazione al giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato vertente fra il Presidente del Consiglio dei ministri e il Tribunale ordinario penale di Milano, ha deciso che, in base al principio di leale collaborazione - e fermo rimanendo che il giudice, nel rispetto del principio della separazione dei poteri, non può invadere la sfera di competenza riservata al Governo - spettava all'autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all'udienza penale del 1° marzo 2010 l'impegno dell'imputato Presidente del Consiglio dei ministri di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno, giorno che egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all'udienza... A questa decisione la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato Presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la 'non rinviabilità' dell'impegno, né circa una data alternativa per definire un nuovo calendario". Dunque ha dato ragione ai giudici di Milano che hanno detto no alla richiesta di legittimo impedimento di Berlusconi e in primo grado e in appello lo hanno condannato a 4 anni di reclusione (3 coperti da indulto) e a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici. Nei prossimi mesi è atteso il pronunciamento della Cassazione che, salvo clamorosi colpi di scena, dovrebbe rendere definitiva la sentenza e interdire in via definitiva l'ex premier dai pubblici uffici. Furibonda la reazione del neoduce che, da un lato cerca di farsi garante della fedeltà al governo ma, dall'altro, scatena le sue truppe camellate contro i magistrati politicizzati che: "Tentano di eliminarmi dalla politica ma vado avanti, confermo leale sostegno al governo. L'odierna decisione della consulta, che va contro il buon senso e tutta la precedente giurisprudenza della corte stessa, non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo né su quello del Popolo della libertà". Immediata la replica dell'Associazione nazionale dei magistrati che in una nota definisce: "Inaccettabile parlare di sentenza politica". Anche perché la sentenza politica per il neoduce dovrebbe arrivare il 9 luglio prossimo con la Giunta per le elezioni del Senato che in tale data ha fissato la seduta sui ricorsi per l'ineleggibilità di Berlusconi presentati dal Movimento 5 stelle. 26 giugno 2013 |