Nell'assemblea nazionale Esplodono le contraddizioni sul futuro dell'area de "La Cgil che vogliamo" Cremaschi: "O un nuovo inizio o prendere atto che una fase si è conclusa" Tre posizioni a confronto su come rilanciare l'area Cosa sta accadendo all'interno dell'Area programmatica "La Cgil che vogliamo"? È una domanda che sorge spontanea dopo l'assemblea nazionale svoltasi il 30 marzo scorso a Roma e nella quale sono emerse posizioni diverse, insoddisfazioni sulle attività e l'incisività dell'Area, contraddizioni molto marcate su come impostare l'indirizzo futuro. Un clima assai diverso, insomma, da quello più caldo ed entusiastico della precedente assemblea nazionale del 21 novembre 2010, svoltasi sulla spinta dello sciopero generale e della combattiva manifestazione nazionale della FIOM, e conclusasi con il proposito di rafforzare politicamente e di radicare organizzativamente "La Cgil che vogliamo". Tra le decisioni di quella riunione, il lancio "di una grande campagna di iniziativa e mobilitazione contro il patto sociale" e la costituzione di quattro gruppi di lavoro su: Mercato del lavoro; Modello contrattuale; Welfare e diritti; Mafia ed Economia criminale. Che l'appuntamento del 30 marzo sarebbe stato differente lo si poteva intuire da un intervento di Giorgio Cremaschi (ex leader de "La Rete28aprile" e attuale presidente del CC della FIOM), reso pubblico alcuni giorni avanti, dal titolo: "Considerazioni in vista dell'assemblea del 30 marzo". Il quale da subito mette le carte in tavola: "'La Cgil che vogliamo' così come è oggi non ha peso e una funzione corrispondente al senso e alle dimensioni della battaglia congressuale. La nostra è un'area in evidente crisi politica e organizzativa" perciò conviene affrontare la situazione "prima di doverne constatare il precipitare definitivo". Di fronte all'accentuarsi della crisi operativa e burocratica della CGIL "la nostra area programmatica - insiste Cremaschi - non ha sinora dato il segno di essere una forza in grado di costruire un'efficace battaglia politica per un'alternativa". Anzi, essa "è stata in generale posta ai margini della vita della Cgil... non è stata in grado di esercitare una vera opposizione". Diversamente dalla FIOM che "non è stata solo un punto di riferimento interno al sindacato ma un vero e proprio riferimento per l'opposizione sociale". Ecco perché Cremaschi chiede "un nuovo inizio, sia sul piano dei contenuti, sia su quello delle scelte e dei comportamenti che indica in questi: No alla guerra in Libia; radicalizzare il conflitto sociale nei confronti di Confindustria e delle controparti pubbliche; prendere atto dell'impossibilità di ripristinare l'unità con CISL e UIL per costruire una nuova unità nei luoghi di lavoro "per coinvolgere tutti coloro che vogliono lottare contro il modello Marchionne"; elaborare una nuova piattaforma sindacale; rifondazione democratica dell'organizzazione basata sul potere e la partecipazione dei lavoratori, degli iscritti dei rappresentanti aziendali; autonomia e indipendenza della CGIL "dall'opposizione politica e in particolare dal Partito Democratico". O c'è una reale condivisione su queste scelte, che definisce di tipo costitutivo, oppure, conclude "se verifichiamo che questo non è possibile, dobbiamo prendere atto che una fase è conclusa". Se questo non è un addio, poco ci manca. Le questioni poste da Cremaschi hanno influenzato e condizionato inevitabilmente i lavori dell'assemblea, a partire dalla relazione tenuta dal coordinatore nazionale Gianni Rinaldini, e a seguire il dibattito; senza però trovare "un comune sentire" né "una reale condivisione delle scelte" da lui auspicate. Dai resoconti sono emerse viceversa tre posizioni su come rilanciare l'area "La Cgil che vogliamo". La prima, quella di Cremaschi, propone una più incisiva azione di opposizione che utilizzi anche le crepe che si sono prodotte nella maggioranza, per esempio sulle modalità dello sciopero generale del 6 maggio, ma che non si subordini ad esse e non attenui il suo profilo di opposizione e di movimento. La seconda posizione, sostenuta in particolare da Maurizio Scarpa (FILCAMS) e Carlo Podda (FP), contrappone un orientamento che mette al centro della riflessione la dialettica che si è aperta all'interno della maggioranza, come occasione per modificare gli equilibri politici e organizzativi della confederazione. Propone quindi un'azione per la minoranza non dissimile da quella opportunista e fallimentare portata avanti da "Lavoro e Società" negli ultimi anni. Infine, la terza posizione che ipotizza una difficile se non impossibile mediazione che, valuta chi non la condivide, rischia di "metter l'area in una situazione di paralisi e attesa, di inazione e indecisione". A noi marxisti-leninisti la prima posizione sembra la più giusta, e l'appoggiamo. Per Rinaldini, ex segretario generale FIOM, siamo di fronte a contraddizioni che non tarderanno ad aprirsi all'interno della Confederazione. Si tratta di verificare gli spazi di "riformabilità della Cgil", dice. Pur delineando un'analisi del più grande sindacato italiano a dir poco desolante: una gestione accentratrice, nessuno spazio alla dialettica interna, in primis alle posizioni critiche della sinistra, documenti non discussi nelle sedi appropriate, uso strumentale delle regole statutarie per colpire il dissenso, silenzio sull'ennesimo accordo separato nel commercio ai danni della FILCAMS. Per Rinaldini questa strada va praticata sulle questioni concrete come la precarietà e il salario. Sta di fatto che le differenze di linea invece di comporsi si sono accentuate tanto da impedire la conclusione dell'assemblea con un documento finale. Ci dovrà pensare la prossima assemblea nazionale a fare chiarezza sul futuro di quest'area sindacale, se cioè riuscirà a stare ancora insieme e a darsi una strategia convincente ed efficace a realizzare gli obiettivi dati: dalla difesa del contratto nazionale alla definizione di regole democratiche per la rappresentanza sindacale che garantiscano il diritto dei lavoratori di votare sugli accordi e di eleggere propri rappresentanti, che impediscano accordi separati. Un'area questa ancora giovane, nata da meno di un anno, costituitasi esattamente il 7 luglio 2010 dopo la conclusione del XVI congresso della CGIL per iniziativa di 27 membri del direttivo nazionale con una storia alle spalle alquanto eterogenea. Specie per alcuni di loro che nella CGIL guidata da Epifani facevano parte della maggioranza e avevano incarichi di potere persi nell'epilogo congressuale. 20 aprile 2011 |