Sciagurata capitolazione di Epifani No alla "riforma" del contratto nazionale Un grosso regalo ai padroni e al governo del neoduce Berlusconi Svenduti gli interessi dei lavoratori Erano mesi che le segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil, si può dire in segretezza, lavoravano per la definizione di una proposta unitaria di "riforma" della contrattazione, in sostituzione dell'accordo del 23 luglio 1993 considerato logoro e superato dalle parti interessate. Ed era forte il timore, date le avvisaglie, che questa proposta avrebbe colpito pesantemente il contratto collettivo nazionale di lavoro. Questi timori si sono rivelati fondati allorché i segretari dei sindacati confederali Epifani, Bonanni e Angeletti il 7 maggio scorso hanno reso pubblico il loro documento recante il titolo "Linee di riforma della struttura della contrattazione". Poco importa che costoro lo abbiamo magnificato senza pudore e in modo ingannatorio. In particolare (notare bene!) Bonanni che lo ha definito addirittura "di portata storica", aggiungendo che quello siglato tra le confederazioni "è un accordo storico che costruisce un sindacato nuovo... più forte, rinnovato, aggressivo, capace di contare di più nella società italiana". Per Angeletti la proposta avanzata sarebbe utile "a far aumentare i salari attraverso un modello contrattuale molto più efficace di quanto avuto fino ad ora". Chiude Epifani con le seguenti fantasie: il documento messo a punto, afferma con spregiudicatezza, "si pone tre obiettivi: realizzare un sindacato più democratico, più vicino ai lavoratori dipendenti e ai pensionati e definire un sistema contrattuale che sia in grado di aumentare le retribuzioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati". Si tratta di affermazioni per la maggior parte false, senza corrispondenza con i contenuti fissati nella proposta di "riforma". I capi bastone dei sindacati di regime, che a questo punto stanno correndo verso un sindacato unitario omogeneo della terza repubblica, hanno stabilito il seguente iter di approvazione: un passaggio nei singoli direttivi nazionali di Cgil, Cisl e Uil; un successivo passaggio in una riunione unitaria dei tre direttivi; infine un'informativa in assemblea agli iscritti e ai lavoratori. Il tutto in tempi strettissimi e senza alcuna possibilità di cambiare una virgola, per andare al tavolo della trattativa con Confindustria, come sollecitato, sarebbe meglio dire ordinato, dal neo-presidente dell'Associazione dei grandi industriali, Emma Marcegaglia. Non c'è bisogno di grande intelligenza e di fine acutezza per capire che questa consultazione è più formale che reale: di democratico non ha nulla. Il primo a riunirsi, nello stesso giorno in cui le segreterie hanno licenziato il suddetto documento, è stato il direttivo della Cgil. In questa riunione si è potuta misurare la svolta a destra compiuta in modo progressivo da Epifani dall'ultimo congresso ad oggi. Sì perché in quell'Assise furono prese delle posizioni in materia di contrattazione di rappresentanza e democrazia sindacali assai diverse, per non dire opposte a quelle fissate insieme a Bonanni e Angeletti. Si affermava la centralità del contratto nazionale, si sosteneva la necessità di avviare una politica di incrementi salariali legati all'inflazione reale e non a quella programmata che recuperasse anche parte della ricchezza andata ai profitti e alle rendite, ed era sancito il diritto vincolante dei lavoratori di votare su piattaforme e accordi sindacali. Epifani ha presentato il documento senza lasciare spazio ad alcuna modifica, ad alcun emendamento, ha chiesto direttamente il voto su di esso sapendo benissimo che avrebbe spaccato la Cgil. Ed ecco i risultati: l'ordine del giorno presentato dalla segreteria a sostegno del documento ha ottenuto 105 voti; mentre un documento alternativo presentato da "Lavoro e Società" di Nicolosi e appoggiato da "Rete28aprile" di Cremaschi ha raccolto 25 Sì; un terzo documento presentato da Wilma Casavecchia, Carlo Baldini e Ferruccio Danini ha ricevuto 3 voti; 2 gli astenuti. Da segnalare la posizione di forte dissenso assunta dal segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, che ha scelto di non partecipare al voto per protestare contro l'ingiusto, abnorme e fascista provvedimento disciplinare assunto dalla Cgil Lombarda contro quattro dirigenti della Fiom di Milano. Nel dichiarare questo atto Rinaldini ha anche chiarito la sua netta contrarietà alla proposta di "riforma" della contrattazione che svuota di efficacia il contratto nazionale. Dunque, la proposta di "riforma" della struttura della contrattazione delle segreterie confederali migliora o peggiora il "patto" del 23 luglio '93 che per 15 anni ha regolato la materia? Invece di migliorarla, come sostengono coloro che l'hanno formulata, mentendo spudoratamente, la peggiora. Il che è tutto dire considerando la perdita pesantissima di potere d'acquisto dei salari e delle pensioni registrata nel periodo considerato a favore dei profitti e delle rendite. Perché modifica radicalmente, in senso peggiorativo, la funzione del contratto nazionale; prevede la riduzione, anch'essa drastica del numero dei contratti attraverso massicci accorpamenti; prevede la triennalità della durata del Ccnl, comprensivo della parte normativa e di quella economica in luogo dell'attuale quadriennalità normativa con due bienni economici; subordina la richiesta di aumento salariale in sede nazionale a un parametro di misurazione dell'inflazione fittizio; stabilisce un forte potenziamento della contrattazione di secondo livello, ossia quello aziendale, proprio come chiede da tempo il padronato, dove trattare parti consistenti di salario legati alla produttività, alla redditività e agli utili aziendali. Inoltre perché prevede meccanismi di elezione dei delegati e di compiti che rafforza il controllo delle burocrazie sindacali territoriali sulle Rsu. Le regole per la contrattazione e la rappresentanza sindacali dovranno essere uguali sia per i settori privati che per quelli pubblici. Un principio giusto: peccato che sia realizzato alle condizioni peggiori! Il Ccnl Epifani nel direttivo della Cgil ha cercato di giustificarsi sostenendo che: è stato salvaguardato il contratto nazionale e sono stati confermati i due livelli contrattuali tra loro "complementari". Ha sorvolato però su un punto centrale che è quello dello spostamento di funzione e potere dal livello nazionale a quello aziendale o territoriale. E questo avviene in particolare sulla parte economica. Il documento di Cgil, Cisl e Uil svilisce infatti il Ccnl al solo compito di "recuperare" il potere d'acquisto perso a causa dell'inflazione. Non però a quella reale, misurata dall'Istat, sulla base di un paniere aggiornato di prodotti di largo consumo, ma a una fantomatica "inflazione realisticamente prevedibile" (sic!). In pratica al contratto nazionale è vietato, di partenza, un incremento salariale che vada oltre il "recupero del potere d'acquisto", magari rosicchiando un po' dei profitti padronali. Il che è un fatto gravissimo considerato che in Italia il rapporto salari-profitti-Pil è 10 punti in meno rispetto agli altri paesi industrializzati dell'Unione europea. Nuovo calcolo dell'inflazione Il salario legato ai "tetti d'inflazione programmata" non ha difeso il potere d'acquisto dei salari, anzi ha fatto perdere terreno ad essi. Una verità questa inconfutabile che nemmeno i vertici sindacali potevano ormai negare senza rischiare il ridicolo. Sarebbe gradita una seria e vera autocritica. Il superamento del metodo concertativo e cogestionario dei "tetti d'inflazione programmata" con la formula di "inflazione realisticamente prevedibile" non risolve certo il problema. E' una formula fumosa, aleatoria, nient'affatto fondata su indicatori della dinamica del costo della vita certi, non manipolabili in sede governativa e istituzionale. Nel documento è detto, peraltro, che in caso di scarto tra previsione e realtà inflazionistica "vanno definiti meccanismi di recupero". Quali? Mistero! In ogni caso, senza l'introduzione di un meccanismo automatico di adeguamento dei salari e delle pensioni (leggi scala mobile) all'inflazione reale è dura ottenere una effettiva difesa del potere d'acquisto delle retribuzioni. Contratti triennali Altra novità della "riforma" Bonanni, Epifani e Angeletti è rappresentata dal "superamento del biennio economico e la fissazione della triennalità della vigenza contrattuale, unificando così la parte economica e normativa". Introducendo contestualmente "penalizzazioni in caso di mancato rispetto delle scadenze". Dall'accordo del luglio '93 il rinnovo dei contratti avveniva ogni quattro anni per la parte normativa e ogni due anni per la parte economica. La triennalità proposta danneggia, con tutta evidenza, l'adeguamento dei salari: che avverrà con un anno di ritardo (nei primi tre anni), con due (nei sei anni) e così moltiplicando. E' vero che fino agli inizi degli anni '90 esisteva una vigenza contrattuale di tre anni. A quel tempo però funzionava la scala mobile che adeguava le retribuzioni al costo della vita ogni tre mesi. Secondo livello di contrattazione Il pezzo forte della controriforma filopadronale della contrattazione oggi in discussione lo si trova nel capitolo dedicato al secondo livello di contrattazione. Nel documento si dice chiaramente che "va sostenuta la diffusione qualitativa e quantitativa del secondo livello di contrattazione", che deve crescere d'importanza rispetto a quello nazionale; ciò in sede aziendale o alternativamente in sede territoriale (regionale, settoriale, di filiera, di comparto, di distretto, di sito). Per rafforzare il secondo livello di contrattazione, i segretari Cgil, Cisl e Uil chiedono il potenziamento degli strumenti già definiti nell'accordo del 23 luglio 2007, ovvero la decontribuzione dell'orario straordinario e dei premi di produzione, cui aggiungere la defiscalizzazione degli aumenti salariali contrattuali. A questo livello, invece che al contratto nazionale, viene assegnato il compito di incrementare i salari "oltre" il recupero dell inflazione. Si chiamerà salario per obiettivi collegato a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza. Si tratta di un cambiamento radicale di stampo neoliberista le cui conseguenze, nel tempo, saranno nefaste per i lavoratori. Diminuendo il ruolo del contratto nazionale, si ridurrà inevitabilmente la quota di salario contrattata collettivamente e valida per tutti i lavoratori della stessa categoria; aumentando il campo di azione del secondo livello si amplieranno le differenze salariali tra lavoratore e lavoratore (magari dello stesso settore, con la stessa mansione) in fabbriche differenti e nella stessa fabbrica, prevarrà insomma il salario individuale. Lo stesso avverrà a livello territoriale, tornando alle vecchie e inaccettabili "gabbie salariali". In ogni caso, chi vorrà guadagnare qualcosina di più dovrà prima lavorare di più o aumentando i ritmi (ricordate il cottimo?) o allungando ulteriormente la giornata di lavoro. Va aggiunto infine che le piccole aziende, che sono la maggioranza delle attività produttive nel nostro Paese, poco o niente sindacalizzate, non sono assolutamente in grado di svolgere contrattazione aziendale. E' un problema che i vertici sindacali vorrebbero recuperare col livello territoriale, ma la Confindustria non ne vuole nemmeno sentir parlare. Democrazia e rappresentanza sindacali Nel documento unitario dei segretari confederali vi sono delle novità anche riguardo a democrazia e rappresentatività sindacali; si vocifera per volontà di Epifani, perché gli altri due ne avrebbero fatto a meno. Sono però novità negative che segnano una regressione rispetto alle regole e alla prassi vigenti, per nulla eccelse. Pur confermando per il settore pubblico l'accordo quadro del 7 agosto 1998 poi tramutato in legge, si indica la "via pattizia" con le associazioni padronali per definire le norme della rappresentanza sindacale e per l'esercizio della democrazia sindacale nei luoghi di lavoro. Il peggio non è nel metodo ma nel merito delle proposte. Non tanto il percorso individuato per certificare la rappresentatività delle singole organizzazioni, affidato al Cnel, quanto al sistema di elezione dei delegati della Rsu e ai compiti assegnati. In pratica si prevede che solo una parte dei delegati potranno essere eletti dall'insieme dei lavoratori; gli altri saranno emanazione dei sindacati territoriali. Non è tutto. Queste nuove Rsu, che assomigliano alle vecchie commissioni interne, avranno come compito prioritario se non assoluto, di applicare a livello aziendale quanto stabilito dai sindacati confederali di riferimento. Nel punto dedicato alla democrazia sindacale si nota un restringimento dei margini per la base dei lavoratori e un rafforzamento dei poteri della burocrazia sindacale. Le decisioni sulle piattaforme e sugli accordi si prendono nelle segreterie e nei direttivi nazionali. Poi si passa alla consultazione dell'insieme dei lavoratori e dei pensionati in pratica per cercare una ratifica a quanto già stabilito. Il metodo è assolutamente verticistico. Il diritto al voto dei lavoratori non è menzionato da nessuna parte. Abbiamo accennato della bufera che si è scatenata in Cgil. "Lavoro e Società" avendo votato contro il documento di Epifani, di fatto è uscita dalla sua maggioranza per passare all'opposizione, insieme a "Rete28aprile" e alla maggioranza della Fiom. Cremaschi ha chiesto il congresso anticipato perché ormai nulla è più come quando venne celebrato l'ultimo congresso nazionale della Cgil. Vedremo come si svilupperà questa crisi. C'è però un'esigenza primaria da soddisfare tempestivamente che è quella di organizzare, a partire dai luoghi di lavoro e dalle strutture sindacali aziendali, un'ampia opposizione contro questa sciagurata controriforma contrattuale che, davvero sarebbe un grosso regalo ai padroni e al governo del neoduce Berlusconi. I lavoratori militanti e simpatizzanti del PMLI si diano subito da fare. 13 maggio 2008 |