In seconda lettura alla Camera, col voto compatto della Casa del fascio Approvata la controriforma costituzionale di Berlusconi e della P2 Prepariamo a votare "NO" al referendum ll 20 ottobre, con i soli voti della Casa del fascio, la Camera nera ha approvato in seconda lettura la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. L'approvazione è avvenuta a scatola chiusa, senza alcuna modifica rispetto al testo approvato il 23 marzo scorso dal Senato nero a compimento della prima lettura parlamentare, come richiesto per le leggi di revisione costituzionale. La legge è stata passata subito al Senato per l'ultima e definitiva approvazione, che la Casa del fascio vuole celebrare al più presto, forse già nel mese di novembre. A quel punto solo il referendum popolare confermativo, che in base all'art. 138 della Costituzione può essere richiesto entro tre mesi da un quinto dei componenti di una Camera, da 500 mila elettori o da cinque Consigli regionali, potrà impedire che si compia del tutto il golpe istituzionale che completa il "piano di rinascita democratica" di Gelli e della P2. Il governo ha già deciso comunque che il referendum dovrà tenersi dopo le elezioni politiche, probabilmente nell'autunno del 2006, affinché il suo eventuale esito negativo non possa penalizzare la campagna elettorale di Berlusconi. Per l'approvazione, che ha richiesto solo quattro ore in tutto, poco più che una formalità, era richiesta la maggioranza assoluta dei componenti l'assemblea, cioè 307 voti. La Casa del fascio ne ha ottenuti 317, appena 10 in più ma sufficienti per cantare vittoria. Soltanto i democristiani Tabacci e Follini, quest'ultimo appena dimessosi da segretario dell'UDC per il suo dissenso con Berlusconi, si sono astenuti. Tutto il resto della maggioranza ha obbedito compatta agli ordini di Berlusconi, Bossi, Fini e Casini, bissando la prova di disciplina militare offerta pochi giorni prima sulla legge elettorale truffa. Ad ogni buon conto anche stavolta Berlusconi ha voluto essere presente in aula con tutto il governo al completo, per sorvegliare personalmente il comportamento dei deputati della Casa del fascio. Per presenziare al voto e non rischiare sorprese il neoduce non ha esitato nemmeno a creare un incidente diplomatico col governo giapponese, rinviando una visita già in calendario all'imperatore di quel paese. Quanto all'unica fronda che poteva impensierirlo, quella dei deputati siciliani capeggiati dal governatore inquisito per mafia Cuffaro, che chiedevano maggiori stanziamenti in Finanziaria minacciando di non votare la controriforma, è stata velocemente sedata da Tremonti con la promessa di un bel pacco di milioni. Per la "solenne" occasione i fascioleghisti avevano cercato di portare in aula anche Bossi, ma non ci sono riusciti a causa delle precarie condizioni di salute del loro menomato caporione neofascista e razzista. Si sono accontentati di esultare al termine della votazione esibendo due striscioni da stadio con la scritta "grazie Bossi", mentre i loro camerati di AN sventolavano fazzoletti tricolore: col che i fascisti sono apparsi anche visivamente i padroni assoluti del parlamento nero, trasformato ancora una volta, come molte altre in questa legislatura, in un "bivacco di manipoli" di mussoliniana memoria. I capisaldi della controriforma costituzionale Quando tra breve la controriforma costituzionale avrà avuto anche l'ultimo timbro del Senato, il nero obiettivo della Casa del fascio e della P2 di Gelli, Craxi e dello stesso Berlusconi, di cambiare la forma dello Stato da nazionale e unitario a federale, e la forma di governo da parlamentare a presidenziale, sarà pienamente raggiunto. Manomettendo e riscrivendo infatti ben 50 articoli della già demolita e vilipesa Costituzione democratica borghese e antifascista del 1948, la controriforma assegna poteri enormi di tipo mussoliniano al presidente del Consiglio, che viene eletto direttamente "dal popolo", "determina" (e non "dirige" solamente) la politica di governo, nomina e revoca personalmente i ministri, non ha più bisogno del voto di fiducia del parlamento per governare e può sciogliere le Camere se queste lo sfiduciano. Il presidente della Repubblica viene spogliato di ogni sua attuale prerogativa, tra cui quella di nominare lo stesso presidente del Consiglio e i suoi ministri e quella di sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni, e ridotto a una figura decorativa svolgente solo funzioni notarili. Il parlamento, che rappresentava almeno formalmente l'istituzione centrale e caratterizzante della prima Repubblica, viene drasticamente ridimensionato sia numericamente sia per importanza e poteri, nonché‚ completamente stravolto nelle funzioni, per piegarlo al nuovo assetto istituzionale federalista e presidenzialista dello Stato. Sparisce il bicameralismo perfetto, che garantiva in una certa misura la legiferazione dagli assalti delle lobby e dai soprusi della maggioranza. Nasce il Senato federale, espressione diretta degli interessi e degli egoismi delle borghesie regionali. La politica del governo ha la precedenza su tutti i provvedimenti in discussione in parlamento: se si considera anche la controriforma neofascista dell'ordinamento giudiziario da poco varata, è l'intero principio democratico-borghese dell'equilibrio tra i tre poteri dello Stato - legislativo, giudiziario ed esecutivo - che viene sovvertito alla radice in favore di quest'ultimo. La Corte costituzionale viene piegata ancor di più agli interessi della maggioranza e delle lobby federaliste, attraverso la riduzione dei giudici nominati dalla presidenza della Repubblica e dai vertici della magistratura e l'aumento di quelli nominati dal parlamento, di cui tra questi la maggior parte spetta al Senato federale. La devoluzione federalista distrugge il principio di universalità e uguaglianza dei servizi primari come i diritti all'istruzione e alla salute, che dipenderanno dalla ricchezza o dalla povertà delle regioni eroganti: è l'anticamera dello spezzettamento dell'Italia in 20 staterelli e del disfacimento dell'unità nazionale sotto le spinte secessioniste delle borghesie delle regioni del Nord più ricco che vogliono staccare il Sud, più povero e arretrato, dal resto del Paese. Le responsabilità della "sinistra" borghese Anche se L'Unione ha votato no e ha annunciato che chiederà il referendum per bocciare la legge, la responsabilità di questa che il suo leader Prodi ha definito "una tragedia cui solo il popolo italiano con il referendum potrà porre rimedio", è anche sua. Erano almeno due anni che questo nero disegno andava avanti e indietro nelle commissioni e nelle aule parlamentari, e fino all'ultimo l'"opposizione", invece di chiamare le masse a scendere in piazza per affossarlo con la lotta, ha offerto alla Casa del fascio di "fare insieme le riforme", tanto dall'essersi astenuta la prima volta alla Camera sull'istituzione del Senato federale e aver cercato di mercanteggiare su diversi emendamenti. Ancora oggi la "sinistra" borghese non denuncia fino in fondo il disegno piduista e mussoliniano che sta dietro questa controriforma costituzionale e ha lasciato passare praticamente sotto silenzio questo suo penultimo infame atto, tutta occupata a crogiolarsi col "successo" delle primarie, a partecipare alle futili polemiche sugli echi del programma tv di Celentano e a discutere sul rilancio del "listone" dell'Ulivo. Lo stesso intervento in aula del leader dei DS Fassino, debole e sottotono, non è andato al di là della definizione di "brutta revisione della Costituzione" riguardo alla nera controriforma della Casa del fascio, mettendo unicamente l'accento sulla contraddizione tra il premierato, che mira a dare più poteri al presidente del Consiglio e la legge elettorale "proporzionale", che a suo dire glieli toglierebbe. Come se fosse questo il punto, e comunque Fassino non sapesse che le due leggi non sono affatto in contrasto fra loro, essendo quella elettorale pensata unicamente per consentire al neoduce di tornare al governo per altri cinque anni, dopodiché può essere benissimo liquidata di nuovo per blindare il suo nuovo mandato col premierato. A questo punto solo il referendum confermativo promosso e sostenuto con forza da tutte le forze democratiche, antifasciste e antiberlusconiane, a cui bisogna cominciare a lavorare subito, può affossare la Costituzione del regime neofascista. Ma non saremmo dovuti arrivare a questa soluzione, con tutti i rischi che essa comporta, in quanto esiste il pericolo concreto che il referendum si tenga sotto la spada di Damocle di un nuovo governo Berlusconi, rafforzato da un potere mediatico senza più limiti e magari con uno dei suoi uomini al Quirinale. Bisognava pensarci prima, raccogliendo il nostro appello alla lotta di piazza per buttare giù il neoduce Berlusconi e il suo governo neofascista. Appello che comunque rimane più che mai attuale e valido e che non ci stancheremo mai di ripetere finché il nuovo Mussolini resterà in sella. 26 ottobre 2005 |