Letta: "Un'occasione storica, questa volta non si può scherzare" Il parlamento nero dà via libera al percorso per riformare da destra la Costituzione Sulla legge elettorale il PD si spacca Cambierà la forma di Stato e di governo secondo il piano della P2 Altro che governo "a tempo" e "di scopo", fatto solo per cambiare la legge elettorale e fare due o tre provvedimenti economici urgenti e poi andare subito al voto: il governo Letta-Berlusconi del vergognoso inciucio PD-PDL è nato invece per durare e per fare la controriforma presidenzialista della Costituzione, come prescritto nel Piano della P2, e il regista dell'operazione è il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano! La dimostrazione è che mentre per fronteggiare la drammatica emergenza economica e sociale non ha ancora avanzato uno straccio di provvedimento, a parte la marchetta elettorale pagata a Berlusconi con la sospensione della rata di giugno dell'Imu, sulle "riforme" costituzionali sta procedendo invece come un treno, e con l'approvazione da parte del parlamento nero il 29 maggio scorso della mozione della maggioranza che definisce la procedura straordinaria per attuarlo, ha già aperto ufficialmente il processo di controriforma costituzionale e stabilito i tempi - 18 mesi a partire da settembre - in cui dovrà essere completato. La mozione, firmata dai capigruppo dei quattro partiti che reggono il governo, Speranza (PD), Brunetta (PDL), Dellai (Scelta civica) e Pisicchio (misto-Centro democratico), definisce infatti i capitoli della seconda parte della Costituzione da "riformare" - forma dello Stato (con al centro il presidenzialismo e l'elezione diretta del capo dello Stato), forma del governo, superamento del bicameralismo paritario, riduzione del numero dei parlamentari - e la procedura straordinaria per farlo, in deroga alle rigide regole fissate dall'articolo 138 della Carta per le modifiche costituzionali: e ciò attraverso la presentazione entro la fine di giugno di un disegno di legge (ddl) costituzionale del governo "che tenda - sottolinea la mozione - ad agevolare il processo di riforma, favorendo un'ampia convergenza politica in parlamento". In particolare questo ddl costituzionale istituirà un comitato di 20 senatori e 20 deputati, scelti tra i componenti delle commissioni Affari costituzionali delle due Camere: in pratica una nuova Bicamerale presieduta dai due presidenti delle commissioni (rispettivamente la PD Finocchiaro e il PDL Sisto), con poteri "referenti" per l'esame dei progetti di legge da sottoporre poi alle assemblee per la discussione e l'approvazione in aula. Non è più la famigerata Convenzione di cui si parlava all'inizio, composta anche da "esperti" o "saggi" esterni al parlamento (e della quale Berlusconi si era candidato addirittura alla presidenza), dotata di poteri "redigenti" per cui alle assemblee sarebbe toccato solo di dire sì o no a scatola chiusa ai progetti da essa deliberati: tale organismo appariva troppo viziato di incostituzionalità e di prevaricazione dei poteri del parlamento per poter passare, anche senza essere presieduto dal neoduce in persona. E tuttavia ne conserva l'ispirazione politica e le intenzioni inconfessabili, che mirano a sottrarre il dibattito sulla controriforma costituzionale alle imprevedibilità e alle "maggioranze variabili" sempre possibili in aula, confinandolo invece nel cerchio più ristretto e sicuro delle trattative dirette tra le segreterie dei partiti della maggioranza, attraverso i fedelissimi capigruppo e membri di commissione. È facile immaginarlo, se si pensa ai fior di protagonisti delle "larghe intese" che figurano attualmente nelle due commissioni presiedute da Sisto e Finocchiaro: in quella della Camera ci sono infatti Bersani, Cuperlo, Fiano, per il PD, e La Russa, Gelmini, Ravetto e Romano per la corte del neoduce. E in quella del Senato Delrio (renziano) e Minniti (dalemiano), e poi lo stesso Berlusconi con i suoi fedelissimi, come la Casellati, la Bernini e il suo avvocato Donato Bruno. E comunque il governo non rinuncia ad avvalersi di una "commissione di esperti", anche se solo nel ruolo di "consulenti", recuperando allo scopo anche alcuni componenti della commissione di "saggi" istituita a suo tempo da Napolitano. Aggirate le regole dell'art. 138 della Costituzione Il risultato di tutto ciò è che anche se senatori e deputati potranno presentare emendamenti, questi potranno essere tutt'al più solo dei ritocchi marginali a dei progetti di legge scritti dal governo e dai suoi "esperti" e blindati nelle loro linee essenziali in seno alla Bicamerale. Un risultato nella sostanza solo un po' più laborioso di quello ottenibile con la Convenzione. Ma nemmeno poi tanto, visto che la mozione prevede anche "modalità di esame" che, "fermo restando il diritto" per senatori e deputati di presentare emendamenti, "assicurino la certezza dei tempi del procedimento", con l'obiettivo di concludere il tutto "entro 18 mesi dall'avvio". Il che può consentire alla maggioranza la facoltà di forzare i tempi e le modalità di di discussione e approvazione previsti dall'articolo 138, ad esempio riducendo l'intervallo di tre mesi per la doppia approvazione delle Camere. Il referendum confermativo della legge o delle leggi, previsto anche in caso di approvazione con maggioranza qualificata, poi, è solo uno specchietto per le allodole per tranquillizzare i timori dei costituzionalisti, un rischio calcolato minimo da parte della maggioranza politica "bulgara" che sostiene la controriforma presidenzialista della Costituzione. Sarebbe anche un modo per darle il crisma di essere stata approvata da un plebiscito popolare. È una "occasione storica, questa volta non si può scherzare", ha proclamato Letta in parlamento, ammonendo che "non è immaginabile che si continui facendo finta di niente, che si finga di fare le riforme, di litigare sulle riforme da fare non combinando nulla". E pochi giorni dopo, parlando ad un convegno a Trento, è andato ancora oltre, spingendosi a sponsorizzare apertamente l'elezione diretta del capo dello Stato, ossia la repubblica presidenziale (o "semipresidenziale", come viene definita riferendosi al modello francese). E per farlo ha preso a pretesto la vergognosa vicenda della rielezione di Napolitano, affermando che "non è più possibile eleggere ancora il capo dello Stato con il sistema dei grandi elettori. Quella di metà aprile è stata una settimana drammatica per la nostra democrazia". Parole che non a caso sono suonate come musica alle orecchie del partito del neoduce, che per bocca di Alfano le ha subito sottoscritte, parlando di "segnali molto importanti dal PD", per chi come il PDL è sempre stato favorevole al presidenzialismo. Anche la P2, tramite Cicchitto, ha preso atto con soddisfazione che "le parole di Letta portano all'elezione diretta del presidente della Repubblica". La regia del presidenzialista Napolitano Ma il ruolo di regista dell'operazione spetta senza dubbio al rinnegato Napolitano. Ormai, esercitando in pieno i poteri presidenzialisti di fatto che gli sono stati conferiti dal parlamento nero con la sua rielezione al Quirinale, non cerca più nemmeno di dissimularlo nelle pieghe dei suoi discorsi e interventi, ma lo fa apertamente, convocando regolarmente a rapporto i protagonisti di questa partita (Letta, il ministro delle Riforme costituzionali Quagliariello, il ministro per i Rapporti col parlamento Franceschini, i presidenti delle commissioni Affari costituzionali Sisto e Finocchiaro), spronando il governo e il parlamento a "tenere il ritmo", e ammonendo, come ha fatto nel discorso per la festa del 2 Giugno, che lui vigilerà "perché non si scivoli di nuovo verso opposte forzature e rigidità e verso l'inconcludenza". E detta anche i tempi della controriforma, imponendo addirittura che il governo anticipi a molto prima della fine di giugno, probabilmente già nel prossimo Consiglio dei ministri, il varo del ddl costituzionale che istituisce il Comitato dei 40 e la scelta della commissione di "saggi" che dovrà coadiuvarlo. Siamo ormai al paradosso che un presidente, che per la Costituzione dovrebbe limitarsi ad un ruolo "notarile" e di difesa della Costituzione stessa, si fa promotore e garante in prima persona di una controriforma che ne manomette quasi l'intera seconda parte (i titoli I, II, III e V), proclamandosi oltretutto ipocritamente "neutrale" sull'ipotesi di elezione diretta della sua stessa carica, facendo finta di non rilevare che ciò rovescerebbe radicalmente la forma della Repubblica, da parlamentare a presidenziale. Facendo finta di non sapere che questo è precisamente l'obiettivo da sempre coltivato e perseguito accanitamente dal nuovo Mussolini, Berlusconi, e disegnato nel "Piano di rinascita democratica" di Gelli e della P2. Ma è l'intera "sinistra" borghese che partecipa a questo sporco gioco. Al punto che pur di starci dentro il PD ha accettato delle vere e proprie umiliazioni dal partito del neoduce, consentendo che la nuova Bicamerale per le "riforme" fosse paritetica tra Senato e Camera, pur avendo una maggioranza schiacciante a Montecitorio; e accettando di rinunciare anche alla cancellazione del "porcellum", avendo ceduto al diktat di Berlusconi che non vuol sentirne parlare se non dopo e in funzione stretta della controriforma presidenzialista. Questo perché vuol tenersi il "porcellum" come "assicurazione sulla vita" nel caso fosse condannato e decidesse di far cadere il governo e andare alle elezioni anticipate. Nella mozione della maggioranza, infatti, a proposito della nuova legge elettorale, che secondo gli accordi per la formazione del governo Letta-Berlusconi doveva essere al primo posto, c'è solo un accenno, nel caso di "intervento urgente in materia" (caduta del governo e nuove elezioni) a far sì che esso sia "ampiamente condiviso". Un PD spaccato e sempre più votato al presidenzialismo Avendo firmato questa clausola il PD non potrebbe, nemmeno nel caso che il neoduce gli facesse lo sgambetto facendo cadere Letta, allearsi per esempio col M5S per abolire il "porcellum" e ritornare così al vecchio "mattarellum". Una tale vocazione all'autocastrazione, già emersa nella disastrosa vicenda dell'elezione del capo dello Stato, il PD l'aveva riconfermata del resto votando insieme al PDL per bocciare una mozione del renziano Giachetti, firmata da parlamentari dei diversi gruppi, tra cui alcune decine dello stesso PD, e votata anche da SEL e dal M5S, che chiedeva appunto l'abolizione pura e semplice del "porcellum", con il conseguente ripristino del "mattarellum". E ciò perché il PDL, fiutando in questa operazione un possibile precedente per quelle "maggioranze variabili" che paventa ancora tra PD e grillini in parlamento, aveva minacciato di far saltare tutta la partita delle "riforme", provocando un allarmato intervento di Napolitano sul PD per stroncare con decisione l'iniziativa di Giachetti: "intempestiva", un vero "atto di prepotenza che mette a rischio le riforme", secondo la Finocchiaro. Tuttavia questo era solo un primo assaggio delle spaccature che l'accelerazione sulle "riforme" sta provocando nel partito di Epifani. Sta venendo allo scoperto una sua consistente parte apertamente favorevole al presidenzialismo a doppio turno alla francese, che annovera tra le sue file, oltre allo stesso neo segretario e a Letta, anche Prodi, Veltroni, Renzi, e con qualche distinguo D'Alema. Altri invece, come Bersani, Bindi, i "giovani turchi", Cuperlo, sono con motivazioni varie più orientati verso il "premierato forte" alla tedesca (vecchio cavallo di battaglia di D'Alema). Mentre scriviamo è in corso la Direzione del PD che deve prendere posizione anche su questo tema. Comunque se non è zuppa è pan bagnato, e nessuno di costoro mette in dubbio che le "riforme istituzionali" siano all'ordine del giorno di questa legislatura e che la Costituzione del 1948 vada cambiata. Nemmeno i grillini, che sul presidenzialismo non si pronunciano nettamente e si limitano a chiedere un referendum popolare preliminare "di indirizzo" sulle "riforme" per orientare il parlamento. Tantomeno si oppongono gli imbroglioni vendoliani di SEL, che nella mozione e in tutte le dichiarazioni esprimono "apprezzamento" per certe aperture della maggioranza sul principio della "larga condivisione" delle "riforme", sul referendum confermativo, ecc.: "Ascolteremo con attenzione e staremo pienamente dentro il percorso delle riforme, perché abbiamo cose da dire, non ci vogliamo sottrarre", ha assicurato a Letta il capogruppo di SEL al Senato, Stefano Quaranta. E da parte sua Letta si è detto "meravigliato" del voto contrario di SEL alla mozione governativa, segno che forse SEL gli aveva fatto capire che avrebbe avuto anche il suo voto. 5 giugno 2013 |