Con un maxi-emendamento in discussione al Senato Il governo del neoduce Berlusconi vuole imporre la controriforma della docenza universitaria Come abbiamo scritto sullo scorso numero la coppia di prestigiatori Moratti-Pera ha cacciato dal cilindro un maxiemendamento dal titolo "nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari", che riscrive in altra forma quel disegno di legge approvato nel luglio scorso alla Camera e duramente contestato dalla stragrande maggioranza dei docenti e dei ricercatori universitari. Con un vero e proprio "golpe politico-istituzionale" tutti gli oltre 800 emendamenti presentati dall'"opposizione" in discussione in Commissione Istruzione del Senato vengono a decadere e l'approvazione dell'ultimo tassello della controriforma universitaria da parte del senato nero può proseguire spedita secondo lo stile tanto caro al governo del neoduce Berlusconi: a colpi di "voto di fiducia". I 6 articoli del precedente testo vengono accorpati in un unico articolo con un gran numero di commi e sottocommi. L'"idoneità nazionale" stravolge lo status giuridico della docenza Viene introdotta l'"idoneità scientifica nazionale per professori associati ed ordinari" (comma 5). Con decreto annuale, entro il 30 giugno di ogni anno, il ministero definirà 1) il numero massimo di soggetti che possono accedere a tale idoneità, "pari al fabbisogno indicato dalle università per cui è garantita la relativa copertura finanziaria, incrementato di una quota non superiore al 40%" 2) la durata del giudizio di idoneità "non superiore ai 4 anni" e "i limiti di riaccesso per gli esclusi" 3) "le procedure ed i termini per l'espletamento e la conclusione dei giudizi formulati dalle commissioni giudicatrici nelle singole università". Queste ultime sono formate, con oneri a carico degli Atenei, mediante sorteggio di 5 commissari nazionali da una lista complessiva di eletti per ciascun settore scientifico-disciplinare. "Per ciascun settore deve essere bandito - si legge nel testo - almeno un posto di idoneo per quinquennio per fascia" ed ai professori che hanno ricevuto l'idoneità è garantita la rappresentanza negli organi accademici e collegiali, l'utilizzo dei fondi e titolo preferenziale nei concorsi per la dirigenza pubblica e negli altri concorsi per titoli. "L'idoneità non comporta diritto all'accesso alla docenza", passaggio questo molto importante per comprendere il senso del provvedimento, essa è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente, essendo l'assunzione in ruolo vincolata alla chiamata degli idonei da parte delle università, che ne stabiliscono anche le modalità. Di fronte a questa rilevante stravolgimento dello status giuridico dei docenti universitari, che si intende vincolato all'idoneità, bisogna stare attenti a non farsi fuorviare dalle dichiarazioni degli intellettuali di regime, come Ferdinando Adornato, che spacciano le succitate norme come "anticorporative ed antinepotiste", né farsi ingannare dai contentini pensati apposta per convincere i professori ad ingoiare il rospo, come quei sottocommi che stabiliscono che "nelle prime 4 tornate per l'idoneità per professore associato e per le prime due tornate per ordinario la quota massima stabilita potrà essere incrementata del 100%". Bisogna invece tener ben presente che "l'idoneità nazionale" in realtà è un mezzo funzionale alla demolizione dell'università pubblica ed alla nascita, sulle sue ceneri, dell'università d'èlite, ossia privatizzata e gerarchizzata, classista, meritocratica e neofascista. Con essa infatti si punta dritto alla precarizzazione a vita del ruolo e della funzione di docenti e di conseguenza dei diritti degli stessi. Al governo si consente di avere mano libera nel ridurne a proprio piacimento il numero complessivo, vincolandolo, anno per anno, università per università, facoltà per facoltà, alle risorse finanziarie disponibili; agli stessi atenei, autonomi ed aziendalizzati, si dà il potere di selezionare e tenere sotto costante e stretto ricatto il proprio corpo docente, perennemente sotto la spada di Damocle dei "giudizi idoneativi", che in sostanza dalle mani corrotte del baronato passano in quelle non certo più linde, dei presidi e dei rettori manager, sempre più fantocci del governo, della Confindustria, del Vaticano e delle borghesie locali. Le cattedre d'azienda e i nuovi contratti precari all'insegna dell'università privatizzata La privatizzazione dei servizi, elemento caratterizzante della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista ormai instaurata nel Paese, è ben delineata fin dal comma 1 che garantisce alle università "la completa libertà di gestione che si ispira ai principi della autonomia", che quindi da finanziaria e didattica, diviene anche gestionale, patrimoniale, tecnica e amministrativa. Le università a tal proposito possono assumere associati ed ordinari con "trattamento economico iniziale attribuito ai professori di ruolo a tempo pieno ovvero a tempo definito della corrispondente fascia anche a carico totale o parziale di altri soggetti pubblici o privati, mediante la stipula di apposite convenzioni pluriennali di durata almeno pari alla durata del rapporto" (comma 8). "Imprese, fondazioni, soggetti privati possono attivare programmi di ricerca e posti di professore straordinario, con oneri a loro carico, della durata massima di tre anni, rinnovabili" (commi 12 e 13). Si tratta delle odiose "cattedre d'impresa", riservate a professori ordinari (baroni) ed a non meglio precisati "soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale", che vengono a pieno titolo inserite nell'"offerta formativa" degli atenei, rendendoli di fatto un cordone ombelicale delle imprese. Per dottorati e specializzandi, ossia la "forza-lavoro" più sfruttata, precaria e ricattabile delle università, ci sono le delizie della legge Biagi, ossia "contratti di diritto privato a tempo determinato (lavoro parasubordinato), della durata massima di tre anni e rinnovabili una sola volta, con trattamento economico nei limiti delle compatibilità di bilancio". Chi ha stipulato codesto tipo di contratto, non potrà cumularli con gli assegni di ricerca, sarà posto "in aspettativa" o "fuori ruolo", senza copertura previdenziale, per tutta la durata dei contratti stessi, non potrà accedere alla rappresentanza negli organi accademici e collegiali di governo dell'università, né potrà eleggere i commissari nazionali. Se la precarizzazione dei rapporti di lavoro nell'università viene iniettata in dosi massicce, dall'altra parte un massimo del 10% di posti di ordinario e associato potrà essere assegnato dalle università "per chiamata diretta di studiosi stranieri o italiani impegnati all'estero o di chiara fama", a cui - si specifica - "è garantito il livello retributivo più alto spettante ai professori ordinari". E chi ci garantisce che con la scusa di far fronte alla "fuga dei cervelli" non si voglia imporre al vertice dei dipartimenti universitari più strategici un nucleo di fedeli lacchè del governo, delle multinazionali o del Vaticano? Il nulla osta, non a caso, rimane di stretta competenza ministeriale. Per quanto riguarda la distinzione tra assunzione a tempo pieno e a tempo definito, la prima consiste in un minimo di 35 ore di didattica di cui 120 frontale, mentre la seconda in un minimo di 250 di didattica di cui 80 di didattica frontale. L'età pensionabile, per chi ci arriverà, è fissata a 70 anni. Scontato, infine, che la controriforma è a costo zero per lo Stato, ce lo ricorda l'ultimo comma, il 25, per cui "dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica" Un altro schiaffo ai precari e ai ricercatori in lotta Il maxiemendamento come già detto è, nel metodo e nel merito, l'ennesimo schiaffo a tutto il mondo universitario e in primo luogo ai precari ed ai ricercatori in lotta, quel pilastro della didattica e della ricerca pubblica che il governo vuole demolire e spazzare via. In tutto il testo di legge non vengono mai citati come parte integrante della docenza universitaria e quando sono citati è per farsi beffa di loro. "Ai ricercatori, agli assistenti del ruolo ad esaurimento e ai tecnici laureati (decreto 382/80) possono essere affidati corsi e moduli curriculari, tutorato e didattica integrativa", ma ad essi "è attribuito il titolo di professore aggregato" e solo "per il periodo di durata degli stessi moduli". Che il governo non intendeva né stabilizzare le numerose figure precarie dell'università, né riconoscere il ruolo docente dei 30mila ricercatori universitari, né tanto meno sbloccare i concorsi, è un fatto assodato, ha tuttavia provato a placare gli animi con il classico piatto di lenticchie: "Per i posti di ricercatore - si legge al comma 7 - sono bandite, fino al 30 settembre 2013, le procedure di cui alla legge 3 luglio 1998 n. 210". Solo "per le prime 4 tornate dei giudizi di idoneità per la fascia dei professori associati è riservata una quota del 15% aggiuntiva ai professori incaricati stabilizzati, agli assistenti del ruolo ad esaurimento ed ai ricercatori confermati che abbiano svolto almeno tre anni di insegnamento". Un'altra quota dell'1% è riservata ai tecnici laureati, mentre per l'accesso all'idoneità per professore ordinario, sempre per le prime quattro tornate, un 25% del totale "è riservato agli associati con anzianità di servizio di 15 anni" (comma 5 sottocommi b e c). 5 ottobre 2005 |