Avanza la terza repubblica Via libera dal Senato alla controriforma della Pubblica amministrazione Finisce la contrattazione nel settore pubblico. Sanzioni pesanti, fino al licenziamento La forsennata campagna portata avanti dal ministro della Funzione pubblica, l'egocentrico e megalomane, nonché ex socialista e oggi berlusconiano, Renato Brunetta, contro i cosiddetti "fannulloni" nel pubblico impiego (ma sarebbe più corretto dire contro l'insieme dei lavoratori pubblici) ha segnato un ulteriore grave e inaccettabile passo avanti. Il 25 febbraio scorso il Senato ha approvato, infatti, in modo sbrigativo e senza colpo ferire, il disegno di legge presentato dal ministro che si configura come una vera controriforma della pubblica amministrazione nel segno della terza repubblica che avanza velocemente provvedimento dopo provvedimento. Una controriforma che, con un colpo di spugna, cancella anni e anni di lotte, demolisce il contratto nazionale, mette fine alla libera contrattazione collettiva, di conseguenza assesta un colpo mortale al ruolo e alla funzione del sindacato, introduce norme poliziesche e punitive, apre la strada a una drastica riduzione del personale. Hanno votato a favore in 154, uno contrario. Mentre i gruppi di "opposizione", hanno preferito opportunisticamente uscire dall'aula e non partecipare alla votazione. Ecco il commento sbracato e quasi delirante del gerarca Brunetta, cioè di colui che, a tutti gli effetti, si propone arrogantemente come nemico e persecutore dei pubblici dipendenti. Straparla di "rivoluzione" e di "prima riforma istituzionale del governo Berlusconi". Si auto-compiace in modo davvero esagerato, fino al ridicolo, quando afferma che "per la prima volta una riforma che mette al centro 60 milioni cittadini, 60 milioni di clienti, considerati fino ad oggi sudditi e non utenti". Gonfiando il petto aggiunge: "È la rivoluzione e mi metto in gioco personalmente a dar conto... di come questa rivoluzione sarà implementata e realizzata". Di tutt'altro tenore il giudizio di Michele Gentile, segretario confederale della Cgil, responsabile per i settori pubblici. "La nuova legge - dice - mette fine alla contrattazione nel settore pubblico". Inoltre, "introduce per legge la derogabilità dei contratti e ridà nuova linfa alle leggine che tanti danni hanno prodotto nel sistema pubblico". In sostanza "si è voluto chiudere - continua - la stagione della contrattualizzazione del lavoro pubblico, dell'unità del modo del lavoro, per rendere più deboli i lavoratori pubblici e privati, attraverso il ritorno del primato della legge". Sugli effetti del provvedimento, il dirigente della Cgil sostiene che "ci troveremo con tantissimi precari che perderanno il loro posto di lavoro; con la penalizzazione dei lavoratori disabili; con l'aumento dell'età pensionabile delle lavoratrici; con retribuzioni tagliate; con contratti di lavoro che non difendono il potere d'acquisto; con un sistema contrattuale che penalizza il reddito dei lavoratori pubblici; con il ritorno in campo del dominio della politica nella gestione quotidiana delle pubbliche amministrazioni". La controriforma Brunetta del governo Berlusconi giunge, è bene sottolinearlo, dopo lo sciopero generale del pubblico impiego (e dei metalmeccanici) e la grande manifestazione nazionale a Roma del 13 febbraio scorso. Com'è nella tradizione fascista, è stata completamente ignorata quella straordinaria mobilitazione, così come sono state ignorate le rivendicazioni sindacali avanzate, in particolare quelle relative al lavoro precario. "Il lavoro pubblico - denuncia il segretario della Fp Cgil, Podda - fa uno spaventoso passo indietro e con esso 60 mila precari quest'anno e circa 200 mila precari nei prossimi due anni, si apprestano ad essere licenziati, sprovvisti di qualsiasi tutela e di ammortizzatori sociali e con la conseguente chiusura di servizi reali e necessari ai cittadini". Le misure Il cuore della legge si trova nella "riforma" della contrattazione collettiva e dell'Aran. "Riforma che sarà attuata attraverso alcuni decreti legislativi per precisare gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro pubblico riservati alla contrattazione collettiva e a quelli riservati alla legge; saranno riordinate le procedure di contrattazione collettiva nazionale integrativa, in coerenza con il settore privato, come stabilito nel recente accordo separato, non sottoscritto dalla Cgil, sul modello contrattuale padronale e corporativo. Sarà, inoltre "riformata" l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran). Sempre con decreti delegati, il governo punta alla mobilità dei lavoratori, per ridurre il ricorso, si afferma, a contratti di lavoro a termine, a consulenze e a collaborazioni. Intanto ha già deciso di non rinnovare il contratto alle centinaia di migliaia di precari attualmente (spesso da anni) impiegati nella pubblica amministrazione. Pensare di tamponare le carenze di personale, rese strutturali dai continui blocchi del turn-over, con la mobilità è un'ipotesi senza fondamento. Altro capitolo, le valutazioni delle strutture e del personale sulla base di criteri fumosi, e ad oggi misteriosi, di produttività e meritocratici. Ogni amministrazione, recita la legge, dovrà predisporre degli obiettivi ogni anno. Spetterà all'Aran "riformata" controllare e valutare. In questo ambito saranno introdotti "strumenti di valorizzazione del merito" e metodi di incentivazione della produttività, secondo modalità stabilite dalla contrattazione collettiva. Non una parola viene spesa sul fatto che i dipendenti pubblici italiani sono tra i peggio pagati in Europa, sul fatto che essi hanno visto, negli ultimi anni, ridurre pesantemente il loro potere d'acquisto. Non certo recuperato con il ridicolo aumento salariale contenuto nel recente accordo contrattuale, anch'esso contestato dalla Cgil, per il secondo biennio economico. Dopo la carotina, rappresentata da questi fantomatici premi meritocratici, tutti da verificare nella loro consistenza, c'è il bastone bello grosso contenuto nelle sanzioni. La legge Brunetta le vuole certe e pesanti, fino al licenziamento. Ecco come: saranno razionalizzati i tempi per la conclusione dei provvedimenti disciplinari. Saranno previsti meccanismi per il controllo medico durante i periodi di assenza per malattia dei dipendenti. È prevista anche la definizione della tipologia delle infrazioni più gravi, che comportano il licenziamento. A proposito dei permessi sindacali, il governo trasmetterà annualmente al parlamento e alla Corte dei Conti una relazione sulla spese relativa all'applicazione degli istituti connessi alle prerogative sindacali, in favore dei dipendenti pubblici. Lo scopo, più volte dichiarato, è giungere a un taglio consistente dei suddetti permessi sindacali. La legge assegna nuovi compiti al Cnel, tra cui la redazione di un rapporto annuale sulla qualità dei servizi erogati, e alla Corte dei Conti per effettuare controlli sulla gestione di fondi pubblici statali in svolgimento. In quest'ultimo caso c'è chi sostiene che sia un'anomalia l'uso della Corte dei Conti per finalità governative. Questa controrifoma, in definitiva, non è finalizzata a migliorare la pubblica amministrazione e il lavoro pubblico; oltre a colpire i diritti dei lavoratori e le prerogative del sindacato, mira alla riduzione della spesa, alla progressiva demolizione del pubblico impiego, magari per favorire le privatizzazioni. La misura è colma, questo governo è da abbattere. 4 marzo 2009 |