Alla Convenzione del principale partito della "sinistra" borghese Tra i tre galli liberali vince Bersani, per ora Vietato il diritto di parola ai delegati. Dalle primarie uscirà il nuovo segretario PD. Nessuno dei tre osa denunciare la natura neofascista del governo Berlusconi Alla Convenzione del PD si sono confrontate le due principali correnti del partito della "sinistra borghese", quella rappresentata dall'ex-Margherita Dario Franceschini e dall'ex-DS Pierluigi Bersani, in vista delle primarie del 25 ottobre che incoroneranno il nuovo segretario. Dietro la facciata unitaria della parata mediatica, lo scontro in atto è furibondo, si gioca soprattutto sulla caccia alle tessere e sui colpi di mano su Statuto e Regolamento interno, e ricorda da vicino i congressi del Psi e della Dc degli anni '80. Franceschini sconfitto seccamente nei congressi di circolo dalle liste di Bersani ha attaccato: "mai avrei candidato Bassolino alle primarie nelle mie liste. I cambiamenti per essere reali richiedono coraggio, Loiero e Bassolino sono impresentabili". Non le nomina ma si riferisce alle correnti dalemiane come quella di Amendola, collegata all'asse Bassolino-Bersani, che in Campania ha fatto man bassa di voti tesserando persino un camorrista pluriomicida accusato dalla magistratura di essere l'esecutore materiale del recente assassinio di un consigliere comunale di Castellammare di Stabia! "Fa problema Bassolino nelle mie liste? Eppure c'era pure prima nel PD e nessuno di voi ha detto niente" gli ha replicato il vincitore in pectore, politico di riferimento del lobbismo delle cooperative emiliane e di una parte dei padroni della Confindustria. Il terzo candidato è il medico e barone universitario Ignazio Marino che ha puntato da un lato a fare da paciere nella guerra sulle tessere in bianco tra i due capi-bastone nazionali, dall'altro a dare l'immagine dell'"outsider" per procacciarsi i voti degli elettori di "centro-sinistra", in subbuglio dopo che i parlamentari del Partito democratico hanno permesso al governo Berlusconi il varo dello scudo fiscale per mafiosi e grandi evasori fiscali. Lo abbiamo visto quindi mettere qua e là il dito nella piaga: "Voi due avevate un ruolo importante nel secolo passato ma non avete fatto una legge sul conflitto di interessi", ha detto chiamando in causa sia l'ex-ministro del governo Prodi, che questa volta non poteva che tacere, sia Franceschini che provava a smarcarsi: "quando quella legge andava fatta non ero nemmeno in Parlamento" e a sua volta lanciava una frecciatina a Bersani: "il dialogo con il centro-destra è diventato un ritornello insopportabile. Dobbiamo fare un'opposizione ferma. Basta inciuci e sorrisi". Loro malgrado queste dichiarazioni fuori dal cerimoniale hanno fatto emergere un altro tema caldo dello scontro interno, quello sul cosiddetto "Lodo Scalfari", che stracciando le regole congressuali da poco approvate, prevede una vittoria decisa il 25 ottobre anche se nessuno prendesse il 50%, eliminando ogni ipotesi di ballottaggio. Questa proposta accettata ovviamente da Bersani ma anche da Franceschini, taglierebbe fuori il "terzo incomodo" Marino, presentato inizialmente come specchietto per le allodole e che invece ora sembra stia recuperando un notevole consenso nella base del partito disgustata dalle collusioni filo-mafiose e dall'opposizione di cartone al governo del nuovo Mussolini. "E cosa ho scritto in fronte Giocondo? Le regole non si cambiano in corsa" ha sbottato infatti Marino appena si è accennato all'argomento con Franceschini che a scanso di equivoci provava a tranquillizzarlo: "se il 25 ottobre avrò la fortuna di restare segretario le prime due persone che chiamerò a lavorare con me sono Bersani, per le sue competenze economiche, e Marino, per le sue competenze scientifiche". Chiarito quindi che "le primarie" sono una farsa preconfezionata e antidemocratica, tanto è vero che è stato vietato persino il diritto alla parola ai delegati, a tenere banco nel dibattito a tre è stato il tema delle alleanze a livello nazionale "per battere, in futuro, Berlusconi", Marino punterebbe più ad una alleanza "con l'Italia dei valori di Di Pietro" ed ha una linea un po' più dura degli altri due nei confronti delle ingerenze della Chiesa, Bersani è per una linea d'opposizione morbida "non strillata" che tenga sempre in piedi gli accordi bipartisan con Berlusconi su temi di politica economica, controriforme costituzionali presidenzialiste e quant'altro, Franceschini punta invece a scompaginare le alleanze centriste convincendo l'Udc ad appoggiare il "centro-sinistra" già alle prossime regionali, per questo vuole tenere a tutti costi dentro la sua corrente i clericali come Fioroni, che ha annunciato di uscire dal PD se vincerà Bersani, e la Binetti, che ha votato con i fascio-leghisti per affossare la legge contro l'omofobia e la transfobia, garantendo ad entrambi l'intenzione di chiudere definitivamente l'esperienza delle "larghe alleanze" con la "sinistra radicale" che ha caratterizzato il governo del DC Prodi. Quel che è certo è che nessuno dei tre galletti liberali ha osato denunciare la natura neofascista del governo Berlusconi, nessuno ha intenzione di mobilitare la piazza per abbatterlo ("è legittimato a governare e governi" hanno detto in coro), nessuno ha denunciato il secessionismo federalista che sta frazionando l'Italia in 20 staterelli e spingendo il Mezzogiorno nelle mani della criminalità organizzata e nelle condizioni del Terzo Mondo, come prescrive quella Lega secessionista che D'Alema ebbe a definire "una costola della sinistra"! In questo quadro è davvero arduo identificare una sinistra interna al PD anche perché l'omologazione a destra abbraccia ormai troppi argomenti. Qualche altro esempio? Tutti e tre i candidati sono favorevoli alle privatizzazioni, con Bersani a fare da apripista, tutti e tre si sono detti favorevoli a una nuova controriforma pensionistica che preveda "l'innalzamento dell'età pensionabile", tutti e tre si sono detti concordi con la Gelmini in tema di "meritocrazia nella scuola e nell'università", ecc, ecc. Infine c'è da registrare che per ora si sono tenuti fuori dalla mischia gli assenti Veltroni, Rutelli e Prodi i quali evidentemente attendono dai risultati delle prossime elezioni regionali la resa dei conti con D'Alema, una resa dei conti che non è azzardato prevedere porterà, ad appena due anni dalla nascita, ad una scissione a catena di questo mostriciattolo informe, fondato in sostanza soltanto sull'anticomunismo, il liberalismo e una sorta di berlusconismo senza Berlusconi. 21 ottobre 2009 |